autogestione a milano
Un gruppo di studenti di un controcorso di pedagogia, dopo aver esaminato le esperienze di educazione alternativa decisero con un gruppo di genitori, assistenti sociali e studenti di fondare un asilo autogestito. L’asilo venne aperto nel gennaio del 1970 nel quartiere di Porta Ticinese a Milano, dove venne affittato un appartamento (salone, bagno e stanzino). Diciotto bambini, dai 2 ai 5 anni presero parte all’esperienza. Nove provenivano da famiglie di operai immigrati, gli altri da famiglie borghesi. Solo 10 bambini rimasero per tutto il periodo in cui è durato l’asilo pagando circa 8.000 lire di retta mensile. Maschi e femmine accudivano ai bambini, occupandosi anche delle pulizie e dei pasti, a cui partecipavano anche i genitori. L’ostilità dei vicini, annoiati dal chiasso dei bambini portò a una diffida legale a continuare ad operare senza autorizzazione, e l’asilo dovette chiudere.
Principi pedagogici
Dato che quest’esperienza pur riferendosi ad altri esperimenti antiautoritari e pur avendo dei precisi intenti politici non aveva alla base un’elaborazione teorico-politica articolata come nel caso delle comuni tedesche,, o di quelle americane, pensiamo che il miglior modo di illustrare quali ne fossero gli scopi e gli intenti sia di citare le riflessioni scritte da alcuni partecipanti che mettono in risalto l’evoluzione avvenuta nei loro orientamenti teoricamente antiautoritari durante questi mesi di prassi quotidiana: ecco come Nando Ballot, uno degli educatori descrive la sua evoluzione:
« All’apertura dell’asilo, da parte mia esisteva l’ingenua illusione che i miei rapporti con i bambini sarebbero nati spontaneamente dal semplice fatto della convivenza con essi e dall’idea antiautoritaria che avrebbe dovuto essere caratteristica di questi rapporti.
Ma praticamente questa impostazione si rivelò un fallimento perché la comprensione dei bisogni reali dei bambini non è automatica e quindi nella realtà venivano soddisfatte solo le richieste del momento. La mancata comprensione del mio ruolo di adulto, attuato quasi solo in senso fisico, determinò il mio comportamento passivo, nei confronti dei bambini. Conseguenza di ciò nella comunità dei bambini fu la forma-zione di nuovi rapporti autoritari e la nascita di una aggressività e di una distruttività sfrenata che ebbero come conseguenza l’allontanamento di alcuni dei bambini più piccoli e più passivi… In seguito dopo che vennero individuate nelle discussioni di gruppo le cause di quest’aggressività nei bambini assunsi un ruolo più attivo… L’aumentata partecipazione ai giochi dei bambini mi fece comprendere ed accettare sempre più il ruolo di adulto. Questo determinò con l’andar del tempo l’instaurazione di rapporti effettivi coi bambini. I bambini scoprirono che esisteva una figura di adulto vero e nello stesso tempo non autoritario, cioè che l’asilo era una realtà positiva. La dipendenza autoritaria dei bambini dall’adulto diminuì ed iniziarono così ad organizzare giochi collettivi.
Cioè cominciarono a rappresentare delle storie che venivano raccontate da me o che inventavano loro, o giocavano agli assistenti. Si organizzarono spontaneamente processi in cui l’autore di azioni aggressive o distruttive ne individuava le cause: « la mamma mi ha fatto mangiare per forza », « il mio papà mi ha picchiato » mentre tutti gli altri ascoltavano: uno di loro leggeva su un libro una storia inventata e tutti lo ascoltavano e infine si spogliavano tutti insieme buttandosi sul lettone immaginato come piscina »4.
Secondo lo psicanalista Facchinelli che partecipò a questa esperienza, una volta superata la prima ingenua posizione astensionistica, il problema da affrontare rimane quello del giusto rapporto dell’adulto con il bambino, del loro uso reciproco in vista di un reciproco imparare a divertirsi e modificarsi insieme. Per fare questo ci sembrano essenziali due cose. In primo luogo un numero limitato di bambini per ogni adulto. Già a tre anni di età, molti bambini arrivano all’asilo come rattrappiti, coartati — si ha l’impressione che qualcosa che era disponibile si è ormai congelato —.
« Per di più si tratta spesso di comportamenti rigidi; che tendono a ripetersi e che sembrano costringere l’adulto ad assumere una posizione puramente coercitiva, analoga a quella che è stata assunta dai genitori e che è probabilmente all’origine di questi tratti del comportamento.
Per fare un esempio la distruttività di Nino fa veramente venire voglia di prenderlo a schiaffi — e se lo si facesse: non faremmo probabilmente che ripetere
l’atteggiamento coercitivo di suo padre, a cui egli risponde appunto prendendo a calci le cose; e così via. Il rischio di un continuo rafforzamento ripetitivo dell’esperienza precoce è dunque sempre presente.
Per tentare di sciogliere queste membra paralizzate — e dico solo tentare — è essenziale che si presenti al bambino un adulto diverso e questo adulto potrà essere diverso — a parte ogni ‘ qualità ’ personale — solo se la struttura dell’asilo sarà tale da consentirgli o meglio da costringerlo a confrontarsi personalmente con tutti i bambini del suo gruppo e non pochi scelti in una massa di esclusi. Se questo non sarà possibile è fatale che l’esperienza dell’asilo si limiti ad aggravare e fissare quei tratti anchilosati che si notano all’ingresso; in più vi si aggiungerà la nozione di un’autorità coercitiva e discriminante, e la subordinazione a questa stessa autorità…
La seconda condizione fondamentale riguarda appunto l’educatore stesso. E’ probabilmente chiaro che chi tenta un’esperienza liberatoria nel campo dell’educazione infantile è spinto a farlo, spesso, anche in nome della propria infanzia fallita, sbagliata. Il bambino che egli vuole liberare è, anche, egli stesso. Di qui deriva la tendenza a un atteggiamento più o meno accusatorio nei confronti dei genitori reali dei bambini reali, sentiti come suoi genitori — con il pericolo di isolamento e di inaridimento dell’esperienza che tutti possono capire. In più nei momenti di crisi e sfiducia, egli tenderà ad assumere verso i bambini l’atteggiamento che secondo lui i suoi genitori hanno tenuto verso di lui. La necessità di controllo di queste tendenze mi sembra dunque chiara, lascio aperto il problema del modo, individuale e collettivo insieme, in cui esso possa venir effettuato»5, (d.f.)
- Intervento di un gruppo di maestre d’asilo di Milano, in L’Erba Voglio, a cura di E. Fachinelli, L. Murano Vaiani, G. Sartori, Einaudi 1971, p. 56.
- Chiara Saraceno, Dall’educazione antiautoritaria all’educazione socialista, De Donato 1972, p. 123.
- Saraceno, op. cit., p. 252.
- Erba Voglio, pratica non autoritaria nella scuola, p. 51-52.
- Erba Voglio, p. 48.