un antifemminista al mese

pier paolo pasolini

luglio 1974

 

Le provocazioni che Pasolini periodicamente lancia dalle prime pagine dei grandi quotidiani sono ancora, incredibilmente, oggetto di dibattito in un’Italia diventata forse ’ moderna ’come afferma Pasolinima rimasta ineluttabilmente provinciale. Nel 1968 amò i poliziotti. L’anno scorso teorizzò che si può essere ’ schiavi e felici ’. Era inevitabile che oggi non ci risparmiasse il suo commento alla strage di Brescia chiamandocicon una mirabile citazione di Dostojevskia prosternarci davanti agli assassini.

La novità, questa volta, sta nel fatto che Pasolini non solo legge male la società italiana, ma legge male anche Dostojevski.

E questo (cultura per cultura) ci sembra una cosa seria. Secondo la nuovissima lettura che dei Fratelli Karamazov ci dà Pasolini, padre Zo- sima si prosterna (e noi dovremmo fare altrettanto) davanti a Dimitri, il « parricida ». (Corriere della Sera, 24 giugno u.s.). Eh no, professore. Che non abbia letto il libro fino in fondo? Padre Zosima si prosterna davanti a Dimitri Karamazov non perché è (cioè sarà) parricida, ma perché verrà a torto accusato di parricidio: e dovrà, sì, sopportare « il più disumano dolore », ma non per avere, come i fascisti di Brescia, ucciso. Non è una differenza da poco. Nella sua cella affollata dei vari personaggi del romanzo, padre Zosima seppe effettivamente distinguere: chi non distingueil vero dal falso, il fascista dall’antifascista, le apparenze dalla realtà — è Pasolini, che con tanta presunzione ci impone il suo uso approssimativo della semiologia.

Di fronte alla costernazione dell’Italia intera per la strage di Brescia, Pasolini sfoglia il manuale di semiologia e sentenzia che i giovani fascisti e i giovani antifascisti « sono culturalmente, psicologicamente, e quel che è più impressionante, fisicamente interscambiabili ». Ora, che PPP non distingua tra i jeans di boutique di un giovane borghese e quelli macchiati di chi li usa per lavorarci, perché sembrano stinti tutti e due, passi; ma che affermi che « si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista » è troppoe personalmente ci sembra anche incredibile che si possa parlare casualmente per ore. Pasolini ammette tuttavia che tra fascisti e antifascisti una distinzione c’è: una sola: « una ’ decisione ’ aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta ». In altre parole, Pasolini distingue un fascista dinamitardo solo se quel fascista dinamitardo gli dice di essere un fascista dinamitardo. Più o meno come la polizia italiana: di questo passo, lo assumeranno presto al Ministero degli interni. E nella o- scura notte pasoliniana, in cui tutti gli italiani sono neri, dove pensate che siano le donne? Accomunate forse nell’indistinto polverone generale? Nossignori. Le donne, puramente e semplicemente, non ci sono. Tanto è vero che quando Pasolini analizza il voto del 12 maggio, sentenziandopoiché « conosce la semiologia » — che è avvenuta negli italiani una « mutazione antropologica » (gli italiani non sono più quelli), non coglie quella che è stata la « mutazione » più significativa rivelata dal referendum su Idivorzio: i passi avanti compiuti dalla donna nella sua presa di coscienza.

La donna, per Pasolini, è emblematicamente seduta sul sellino posteriore della motocicletta, oggetto soddisfatto della propria condizione, e serve soltanto a definire l’uomo così come serve a definirlo il possesso della Honda: due accessori ’ e- sornativi ’, la donna e la Honda.

E’ vero che Pasolini attribuisce questa immagine della donna alla società borghese; ma intanto è il primo a crederci: se l’uomo sogna la Honda (o la Ferrari, o la Porsche), se cerca di uniformarsimarsi ad un certo modello « borghese » e consumistico, è, secondo lui, su istigazione della donna (vedi il settimanale ’Tempo’ del 16 giugno u.s.) Non vede che oggi la donna rifiuta di essere oggetto di consumo, e che questo suo rifiuto è il primo passo verso il rifiuto del consumismo; e lamenta la sorte del maschio italiano dolorosamente sottratto alla civiltà contadina e guadagnato, appunto, alla società dei consumi.

Non stupisce quindi che su ’Tempo’ del 16 giugno u.s., in una recensione del libro di Dacia Marami ’ Donne mie ’, dove per altro non ha il coraggio di firmarsi anche se non rinuncia all’uso reiterato dell’aggettivo ’ e- sornativo ’, Pier Paolo Pasolini si esprima come segue, descrivendo la tanto rimpianta età dell’oro cattolico-contadina come era vissuta in una borgata romana: « Dopo il crepuscolo non c’era più una ragazza per strada. Nelle compagnie dei ragazzi non compariva mai una ragazza. L’educazione dei ragazzi avveniva tutta tra maschi: il ‘ modello ’ da realizzare, per un ragazzo, era un modello popolare culturalmente elaborato da maschi ».

Oggilamenta Pasolini non esistono più « an- drocei e ginecei: il quartiere è pieno di bande ’ miste ’ di ragazzi e ragazze; i giardinetti sono pieni di coppie che si sbaciucchiano… In ogni caseggiato c’è almeno una minorenne che fa l’amore indistintamente con tutti i maschi coetanei ». Dove, come si vede, la semiologia si colora di una sospetta competitività.

In fondo, Pasolini non è altro che lo spettatore- tipo di Carosello. Seduto davanti al televisore, guarda delle immagini stereotipe sorridenti e identiche e, « anomica- mente », aspetta che esse si spieghino: aspetta che, dopo aver riso, sorriso, volteggiato e compiuto una serie di azioni dallo scopo ignoto, ma tutte molto decorative e interscambiabili, si voltino verso l’obiettivo e dicano la parola magica, la « decisione aprioristica »: si tratta di birra tot, di dentifricio tat, di motocicletta tut. Se l’ultima scena di Carosello salta, se il televisore si rompe, se la spiegazione non viene, la scena, il mondo, è incomprensibile, la realtà è irraggiungibile: il giovane dai capélli lunghi reclamizzava uno shampoo, un aperitivo, una cucina a gas, o una bomba?

Su questo televisore così perversamente rottosi nel 1968 Pasolini costruisce la sua teoria sociale e culturale. Perché, per sua stessa esplicita ammissione, la sua incapacità di distinguere ha una precisa data di inizio, il ’68. « Dal 1968 gli italiani sono divenuti indistinguibili » afferma. Cioè, il mondo gli si è trasformato in immagini fisse dietro alle quali non riesce più a vedere. E’ una cosa che si potrebbe anche capire, o addirittura qualche volta condividere, se Pasolini, con la presunzione dello ’ esperto ’ (semiologo e uomo di lettere) non rovesciasse la situazione: pretendendo che tutto sia divenuto uguale ( « parricidi » e accusati a torto di parricidio), va a prostrarsi davanti agli assassini fascisti di Brescia.

Vogliamo lasciarlo, una volta per tutte, « esornativamente » prostrato lì?