a colloquio con Simone De Beauvoir
La psicanalisi, il marxismo, i problemi del movimento femminista: questi i temi affrontati
nell’ intervista rilasciata ad Alice Jardine apparsa nell’ultimo numero della rivista americana “Signs”.
Partiamo un po’ del movimento femminista. Sappiamo che esistono molte divisioni interne: tempi propri, marginalità, marxismo… Esiste anche in Francia quel tipo di femminismo che si può facilmente cooptare? Sì, è quel femminismo del “vogliamo solo essere come gli uomini”, vale a dire gli uomini come sono oggi, quando in realtà abbiamo bisogno di cambiare la società stessa, uomini e donne, di cambiare tutto. In Betty Friedan tutto questo è molto evidente: quello che vuole è che le donne abbiano lo stesso potere degli uomini. Invece, se sei sinceramente di sinistra, se rigetti l’idea del potere e della gerarchia, quello che vuoi è l’uguaglianza. Altrimenti non lavoro affatto.
D’altro canto ci sono donne — marxiste e non — che lavorano ai margini della società, per la sovversione, per l’esplosione dell’ideologia dominante. Come vede la funzione della marginalità nel movimento?
Questo è di nuovo un punto difficile. Ma non mi piace chiamarlo così… Rifiuto la parola marginalità. Direi piuttosto rivoluzionario, radicale, qualunque altra cosa.
Va bene, allora, lei crede che si debba rimanere “radicali” o che si debba lavorare con le donne che stanno, se vuole, nel sistema?
Non porrei la questione proprio in questi termini, anche se è vero che questo è uno dei problemi che sorgono spesso fra le mie amiche femministe radicali: bisogna stare nel sistema o no? Da un lato, se non lo fai, rischi di essere inefficace. Ma se lo fai, da quel momento poni il femminismo al servizio di un sistema dal quale vuoi tenerti separata, dal momento che per me e per le mie amiche, in fondo, il femminismo è un modo di attaccare la società così come ora esiste. Perciò è un movimento rivoluzionario… differente dalla lotta di classe, dal movimento operaio, ma che deve essere di sinistra. Con ciò intendo di estrema sinistra, un movimento che lotta per rovesciare l’intera società. Oltretutto, se le donne avessero davvero completa uguaglianza con gli uomini, il sistema ne sarebbe completamente stravolto. Per esempio, c’è il problema del lavoro domestico, che rappresenta milioni e milioni di ore lavorative non pagate e sul quale è saldamente fondata la società maschile. Porre fine a tutto questo significherebbe mandare a gambe all’aria l’attuale sistema capitalista. Però non possiamo farcela da sole; bisogna che ci siano altri tipi di attacchi al sistema. Così, una certa alleanza con movimenti rivoluzionari è necessaria, anche se sono maschili. Ma questo è molto difficile, perché in Francia molte donne sono arrivate al femminismo dopo il ’68, cioè dopo aver sperimentato l’ipocrisia nei movimenti di sinistra. Le donne si accorsero che anche lì, dove tutti pensavano di poter realizzare la vera uguaglianza, la fraternità fra uomini e donne, e di poter combattere insieme contro questa società marcia, anche lì i compagni, i militanti, le tenevano “al loro posto”: le donne facevano il caffè mentre gli altri facevano i discorsi; erano quelle che battevano a macchina. Perciò questo oggi è un punto scivoloso: come allearsi con le altre forze della sinistra senza perdere la propria specificità femminista. Tutto dipende da casi particolari.
Talvolta puoi accettare un posto elevato, a condizione che questo ti ponga realmente in grado di aiutare le altre. Purtroppo le donne che occupano posti importanti adottano modelli maschili — potere, ambizione, successo personale — e si allontanano dalle altre donne. D’altra parte, rifiutare qualunque cosa, anche quando realmente si potrebbe fare, dire “ah, questo non è abbastanza femminista”, è una tendenza pessimistica, quasi masochistica delle donne, risultato dell’abitudine alla inerzia e al pessimismo. Essere femministe non significa semplicemente non far nulla, ridursi alla totale impotenza col pretesto di rifiutare valori maschili. Esiste una problematica, una dialettica molto, difficile tra l’accettare il potere e il rifiutarlo, accettando certi valori maschili e volendo trasformarli. Io penso che valga la pena tentare.
Lo stesso problema esiste coi sistemi di pensiero? Per esempio, cosa pensa delle donne che rifiutano Marx o Freud perché erano uomini? Credo che Freud non evesse capito assolutamente nulla delle donne — come lui stesso ammette. Ammiro molto Freud come persona e come pensatore. Nonostante tutto trovo il suo lavoro molto, molto ricco, ma penso che per le donne è stato del tutto disastroso. E ancora di più, tutti quelli che sono venuti dopo di lui.
Compreso Lacan?
Certo, Lacan. Tutta questa disciplina ancora svalorizza le donne. Mi piacerebbe proprio vedere qualche giovane donna che si assume seriamente la psicanalisi e la ricostruisce da un punto di vista assolutamente nuovo. Ce n’è una in Francia si chiama… Luce Irigaray? Certo, Irigaray… Lei sta tentando di fare qualcosa. Non è andata abbastanza lontano, secondo me. Ma sta tentando di costruire una psicanalisi che vorrebbe essere femminista. Cosa pensa del suo libro “Speculum, l’altra donna”?
Lo trovo faticoso da leggere a causa dello stile lacaniano che permane, nonostante tutto… invece ho letto il suo secondo libro con molto più piacere: Questo sesso che non è un sesso. E’ scritto in uno stile molto più semplice, molto più diretto, senza un vocabolario “scolastico” — gli psicanalisti sono caduti in una sorta di scolasticismo orrendo, quasi aristotelico. Nel complesso, però, mi interessa il tipo di lavoro che la Irigaray sta facendo. Ancora però mi sembra che le manchi l’audacia necessaria per demolire le idee di Freud sulla psicanalisi femminile. Rimanendo nello stesso argomento, cosa pensa del movimento antipsichiatrico? Deleuze, Guattari, R.D. Laing? Fondamentalmente Fantipsichiatria rimane psichiatria. E non si occupa realmente dei problemi delle donne. Però sono stati pubblicati libri interessanti su donne e follia. Date delle norme maschili, è evidente che le donne sono da considerarsi pazze con maggiori probabilità — non sto dicendo che sono pazze. Appena una donna rifiuta di essere perfettamente felice lavorando in casa otto ore al giorno, la società tende a volerle praticare una lobotomia. Ho visto questo genere di cose, assolutamente orribili. Il rinnovato uso della lobotomia oggi è particolarmente facile da applicare alle donne: poiché fanno cose di routine, è possibile tagliar via il loro spirito di rivolta, di dibattito, di critica e lasciarle perfettamente capaci di preparare stufati o di lavare i piatti. E’ terribile questa tendenza a considerare le donne qualcosa di pericoloso per la società… Però, parlando sinceramente, esse sono pericolose, anche le non femministe, perché è sempre esistita una rivolta delle donne. Solo, si è sempre tradotta in manifestazioni solitarie, individualiste, sgradevoli — l’intera storia dell’addomesticamento della bisbetica, bisbetica-donna. Non erano bisbetiche senza motivo. Invece penso che il femminismo permetta alle donne di parlare tra loro, piuttosto che essere piene di risentimento, fare lamenti personali, che non le portano da nessuna parte e che le rendono malaticcie e di cattivo umore, depresse… e avvelenano la vita del marito e dei figli. E’ molto meglio arrivare ad una consapevolezza collettiva del problema, che è insieme una terapia e la base di una lotta.
Dunque bisogna lavorare prima di tutto nel mondo così com’è prima di sognare uno scenario alla Deleuze o Guattari, dove non ci sarebbero più divisioni fra i sessi.
Indubbiamente, nei fatti, questo è utopico e mutile. Devi partire da dove sei oggi e da quello che puoi fare. Conosce il lavoro di Laing? Cosa ne pensa?
Lo trovo un’interessante rivolta contro la psichiatria classica… Nel complesso concordo con la sua posizione. Mi piace anche Cooper, molto — mi è piaciuto Family Life — mi piace chiunque tenti dì dimostrare che la follia è, in larga parte, condizionata dalla società e in particolare dalla famiglia, e per questo colpisce fortemente le donne. Conosce il lavoro di Hèléne Cixous? Sì, ma appartengo ad un’altra generazione, non posso leggerla, capirla. E penso che sia sbagliato scrivere in un linguaggio totalmente esoterico quando vuoi parlare di cose che interessano un gran numero di donne. Non puoi rivolgerti alle donne parlando un linguaggio che nessuna donna media comprenderà. Secondo me, è sbagliato. C’è qualcosa di falso in questa ricerca del puro stile di scrittura femminista. Il linguaggio come tale, è ereditato da una società maschile e contiene molti pregiudizi maschili. Dobbiamo liberarle da -tutto questo. Tuttavia un linguaggio non si crea artificialmente; il proletariato non può usare un linguaggio diverso dalla borghesia, anche se entrambe lo usano in modo diverso; anche se di volta in volta inventano qualcosa, parole tecniche o anche una sorta di slang operaio, che può essere molto bello e ricco. Pure le donne possono farlo, arricchire il loro linguaggio, liberarlo. Ma crearne uno, di sana pianta, che vorrebbe essere quello delle donne, beh, lo trovo completamente folle. Non esiste una matematica che sia solo matematica delle donne, o una scienza femminile… Possiamo ri-orientare la scienza, per esempio lavorare a un tipo di medicina molto più diretta all’enorme numero di problemi della salute delle donne che ora sono trascurati. Ma i dati originali di questa scienza sono gli stessi per gli uomini e per le donne. Le dorme debbono semplicemente sottrarre lo strumento; non debbono romperlo o tentare, a priori, di fare qualcosa di totalmente diverso, sia rubarlo e usarlo per il proprio benessere. Sì, ma ne la “Jeune née”, per esempio, il libro che Hélène Cixous e Catherine Clément hanno scritto insieme, insistono sulla nozione di “voce”, Lei vede il linguaggio come una pratica sociale, come comunicazione o come qualcos’altro? Per esempio, come vede il ruolo dell’inconscio nella produzione del linguaggio? Beh, la scrittrice non può impedire al suo inconscio di manifestarsi, questo è certo. Ma non è qualcosa che si fa… Non si tenta deliberatamente di frugare nel proprio inconscio. Oltretutto non ha senso, dal momento che esso è precisamente Inconscio. Io credo che noi dobbiamo usare il linguaggio. Se è usato in una prospettiva femminista, con una sensibilità femminista, il linguaggio si ritroverà cambiato in modo femminista. Esso tuttavia sarà il linguaggio. Non si può non usare questo strumento universale; non si può creare un linguaggio artificiale, secondo me. Ma naturalmente, ogni scrittore/trice deve usare il suo proprio stile. Se lo scrittore è donna, femminista o no, darà al linguaggio qualcosa che non avrebbe se fosse usato da uomo.
Sì, ma mi chiedo se le donne non abbiano con il linguaggio un rapporto diverso dagli uomini a livello di enunciazione; è semplicemente una funzione della loro situazione sociale o è più complicato di così?
Per me, deriva dalla situazione sociale. Considero piuttosto antifemminista dire che esiste una natura femminile che si esprime in modo diverso, che la donna parla con il suo corpo più di quanto faccia l’uomo, perché, dopo tutto, anche gli uomini parlano il loro corpo quando scrivono. Tutto è implicato nel lavoro dello scrittore.
Dunque, se cambiassimo la situazione sociale ciascuno avrebbe un inconscio che lavorerebbe nello stesso modo? No, non credo perché ciascuno/a ha la sua storia particolarissima… e dopo tutto l’inconscio è la parte più segreta di noi. In ogni caso, se l’inconscio deve esprimersi lo farà attraverso un lavoro che fai coscientemente… o subcoscientemente, con le parole, con ciò che hai da dire.
In questo momento storico c’è differenza fra discorso femminile e discorso maschile?
Ci sono argomenti che sono comuni a uomini e donne. Se una donna parla di oppressione e di miseria, ne parla esattamente come un uomo. Ma se parla di problemi suoi, personali, allora ne parlerà ovviamente in un altro modo. Dipende molto dai temi. Penso che una donna sia al tempo stesso universale e donna, una donna, così come un uomo è universale e un uomo. C’è nella condizione umana maschile e femminile un genere di universalità in cui continuo a credere. Non sono per un femminismo del tutto separatista che afferma “questo è un settore solo per le donne”. No, non ci credo assolutamente. Pensa che la letteratura sia solo quella definita tale dall’ideologia dominante? E’ questa una delle ragioni della repressione della scrittura delle donne? Tutto è sempre stato ovviamente definito dall’ideologia dominante, ma essa è in grado di accettare tanto la letteratura femminile quanto quella maschile. Direi invece che le donne sono state ostacolate dal creare per svariate ragioni, come ha spiegato tanto meravigliosamente Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé quando le donne hanno creato nell’insieme sono state riconosciute. E in letteratura non c’è stata un’oppressione così pressante come per esempio nella pittura dove l’esistenza di tante pittrici è sempre stata negata. Naturalmente la letteratura è sempre quella che l’ideologia riconosce come tale. Ma quando la gente ha cercato di fare letteratura al di fuori degli schemi ideologici, gli scrittori operai sono un esempio, bene si è sempre espressa ed ha sempre scritto secondo le norme della classe dominante. Così non penso che sì possa affermare che c’è un modo di esprimersi e di parlare propriamente femminile. Sarebbe secondo me un altro modo di mettere le donne in una sorta di singolarità, in una specie di ghetto, cosa che non desidero. Le voglio universali e singolari al tempo stesso.
Qual è la sua posizione nei confronti dell’avanguardia? Per esempio l’avanguardia è stata definita come un modo di parlare al futuro. E’ facile sbagliare sul futuro. Qualche volta ci sono avanguardie che si credono tali e poi invece si ritrovano assolutamente datate… un po’ alessandrine nei fatti. Non si può definire il futuro. E secondo me non si può neppure definire l’avanguardia. Vent’anni fa più di qualcuno l’avrebbe posta fra le avanguardie. Non ho mai pensato di esserlo. Ho detto ciò che avevo da dire come ero capace di dirlo.
Ma l’idea di avanguardia, non è valida in sé? Non può significare il dirompente, l’inaspettato, qualunque cosa che sovverte le idee comunemente accettate? Sì, ma questa non è necessariamente avanguardia? Questo è essere originali, avere qualcosa da dire. E’ un po’ pericoloso cercare coscientemente di essere all’avanguardia, cosa che accade nella cultura moderna, dove i bottegai cercano di esserlo e con questo pretesto i pittori raccolgono vecchi scarti e li chiamano avanguardia. Picasso non ha mai pensato a se stesso come ad un’avanguardia.
Che ne pensa del lavoro di Tel Quel sull’avanguardia? e in particolare di Julia Kristeva?
Non sono d’accordo con il loro concetto di avanguardia, che tra e altre cose li porta dall’essere stalinisti prima, poi maoisti, poi li spinge a destra. Non è autentica, non è un modo di agire… Posso però aggiungere che non conosco molto bene il lavoro dì Julia Kristeva. Pensa che il lavoro di donne come la Kristeva o la higaray sull’inconscio insidia il concetto di scelta esistenziale? Non elimina il concetto di scelta perché essa si sprigiona dalla totalità della persona. Così come studiare, analizzare ciò che è una persona non elimina l’idea di libertà.
Il fascismo è stato definito come l’istituzionalizzazione dell’inconscio. Pensa che le donne siano più facilmente soggiogate degli uomini dal fascismo a causa di questa istituzionalizzazione? No, ma in ogni caso non credo in una spiegazione che tralasci le circostanze storiche e sociali, che per definire il fascismo sono fondamentali. Le dorme sono più soggiogabili degli uomini ma credo che la loro situazione in realtà le renda più schiavizzabili degli uomini, come ho detto ne // secondo sesso trattando l’ideologia maschile. Gli uomini si creano da soli i loro dei e quindi hanno una comprensione migliore di ciò che loro stessi hanno creato. Le donne sono invece più suscettibili perché sono del tutto oppresse dagli uomini. Prendono gli uomini in parola e credono negli dei da loro costruiti… La condizione delle donne, la loro cultura fa sì che esse si inginocchino molto più spesso degli uomini davanti a questi dei; molto più spesso degli uomini che conoscono ciò che hanno fabbricato. A questo livello le donne saranno più fanatiche, sia per il fascismo che per il totalitarismo. Per tornare alta domanda sul rapporto fra le donne e la scrittura… Virginia Woolf ha detto che è fatale per chiunque scrive, il pensare al proprio sesso. Però Virginia Woolf ci pensava abbastanza quando scriveva. La sua scrittura è molto femminile nel miglior senso della parola; molto più contemplativa… con questo intendo dire che le donne sono probabilmente più sensibili a tutte le sensazioni della natura per esempio, molto più di un uomo. Colette è un altro esempio in questo senso, anche se entrambe non desideravano femminilizzare i loro scritti, la loro scrittura tuttavia è molto femminile. Credo che si debba pensare la totalità dell’essere nella sua interezza. Dipende anche dal soggetto trattato. Ci sono momenti in cui devi scrivere certe cose e non devi pensare al tuo sesso. Voglio dire che ci sono mestieri che possono essere svolti indifferentemente tanto dalle donne quanto dagli uomini e che alla fine non si possa cogliere la differenza. Ma dal momento, che nello scrivere un racconto per esempio, o un saggio tu sei coinvolto interamente, allora sarai coinvolta come donna, nello stesso modo in cui non puoi negare la tua nazionalità — sei francese, sei un uomo, sei una donna — …tutto questo attraversa la scrittura. Se stai scrivendo qualcosa in cui sei coinvolto realmente, non hai bisogno di pensarlo più a lungo. La situazione stessa chiede il tuo impegno totale come individuo così come nei tuoi impegni politici. Un uomo di destra non scrive come un uomo di sinistra… si vede subito… o una donna di destra e una di sinistra.
Pensa che i suoi libri potrebbero essere stati scritti da un uomo? No, certamente no. Perché?
Non sono sicura, ma forse perché il protagonista è una donna in cui ho messo molto di me, come nel caso de 1 mandarini. Un uomo non potrebbe inventare quella sensibilità femminile, quella situazione femminile nel mondo. Non ho mai letto un romanzo veramente buono, scritto da un uomo, in cui le donne fossero ritratte come sono in realtà. Possono essere descritte molto bene esternamente —come ad esempio M.me de Renai di Stendhal, — ma solo in quanto viste dal di fuori. Ma dall’interno solo una
donna può scrivere ciò che veramente una donna sente essere tale.
Pensa che l’autobiografia sia particolarmente importante per le donne? Penso che oggi fra le donne ci sia una grande tendenza all’autobiografia. Forse è una cosa facile — e lo dico anche se ho scritto una cosa su di me. Ricevo moltissimi manoscritti che in realtà sono autobiografie. Naturalmente può essere importante: le donne hanno bisogno di scrivere le loro storie al momento della loro emancipazione. Questo è certamente ciò che accadde in Cina attorno al 1936: c’era un numero incredibile di biografie cinesi. E oggi trovo per esempio molto bella l’opera di Kate Millet Ci sono biografie scritte bene quanto i romanzi. Di fatto oggi la gente sembra stanca della finzione. Ci sono tante altre strade per analizzare l’umanità — l’etnologia, la psicoanalisi, e così via — è un po’ noioso buttar giù storie, così molta gente pensa che è meglio essere molto aderenti alla realtà e raccontare la propria vita così com’è piuttosto che romanzarla, come si dice, cioè trasporre e perciò ingannare. Vede nell’autobiografia una differenza tra “espressione” e “contenuto”, tra lo stile e ciò che è narrato? No, per me sono realmente la stessa cosa.
Così la vita deve essere interessante se l’autobiografia è buona… Ci deve essere una certa relazione tra la vita e lo stile di scrittura e questo è veramente un problema. Per esempio se prendiamo la biografia di Emma Goldam, l’anarchica americana, non si può dire che scriva in modo notevole, però è tanto appassionata: la sua vita, le conferenze, gli incontri in URSS, e poi con Lenin, tutto il problema della anarchia in quel momento particolare — la si legge molto appassionatamente anche se non ha un grande valore stilistico o letterario.
Le piace l’autobiografia di Anai Nin? Non mi piace affatto… naturalmente le riconosco del talento e il fatto che di tanto in tanto evochi immagini potenti. Dimostra una grazia occasionale nello scrivere, ma il suo lavoro mi è completamente estraneo, proprio perché vuole essere troppo femminile e non femminista. E allora si estasia davanti a tanti uomini. Lei parla di uomini che conosco anch’io e che sono meno di niente, però li considera dei re, della gente straordinaria… Pensa che esistano certi temi — definiti naturalmente dalla situazione dello scrittore — particolari per le donne? Ho notato per esempio che le donne scrittrici sembrano avere un rapporto diverso con la proprietà.
Può darsi, perché questo riflette le tematiche della loro condizione. Per esempio c’era un periodo, nell’Ottocento, in cui le donne ovviamente parlavano della loro casa, dei bambini, della nascita e così via, perché era il loro terreno. Adesso le cose sono un po’ cambiate. C’è qualche scrittrice giovane che la interessa oggi?
Non troppe, ma non ci sono neppure troppi scrittori. La letteratura sembra oggi sottostare ad una crisi in Francia e non viene in mente nulla. Trova che ci siano stati cambiamenti essenziali nel suo pensiero dal ’49 ad oggi?
L’ho già spiegato in A conti fatti, e non ho molto da aggiungere. Ho scoperto, il femminismo verso il 1970-72, proprio quando cominciava ad esistere in Francia. Prima non c’era il femminismo. Nel 1949 credevo che il progresso sociale, il trionfo del proletariato… il socialismo, avrebbero portato all’emancipazione delle donne… ma alla fine ho capito che l’emancipazione deve essere un lavoro delle donne stesse, indipendente dalla lotta di classe. Questo è il cambiamento più grosso tra le mie posizioni nel 1949 e quelle di oggi.
A quale obiettivo secondo lei dovrebbe tendere oggi l’impegno delle donne? Essenzialmente alla rivoluzione delle donne. Perché se fosse raggiunta, la società ne sarebbe contemporaneamente scossa. Le donne dovrebbero continuare ad essere coinvolte in altre questioni e qualche volta in collaborazione con gli uomini. Ci sono così tanti problemi e le donne possono impegnarvisi senza abbandonare il loro femminismo. Per esempio dovremmo continuare a tendere alla distruzione dell’ideologia della famiglia?
Naturalmente si. Ma anche il socialismo ha una sua ideologia in proposito. Un’ultima domanda, immagina l’effetto del suo lavoro sulle generazioni future? Non immagino niente. E’ qualcosa che non si può vedere. Allora che cosa spera? Penso che II secondo sesso apparirà fra qualche tempo un libro vecchio e datato, ma nonostante ciò avrà dato il suo contributo. In fondo, lo spero.
Parigi, 2 giugno 1977
traduzione di Silvia Costantini e Marida Tagliaferri