aborto: la legge 194 non si tocca

La Corte Costituzionale ha ammesso il referendum proposto dai radicali e il referendum minimale proposto dal Movimento per la Vita. Difendiamo la legge 194 e prepariamoci a migliorarla.

febbraio 1981

DOCUMENTO
Il Coordinamento romano per l’autodeterminazione delle donne nasce raccogliendo intorno a sé molti di quei collettivi e di quelle organizzazioni che già Fanno scorso operarono insieme sul progetto di legge contro la violenza sessuale.
Proprio dal lavoro su obiettivi comuni è cresciuto ed ha prodotto un’esperienza di scambio che ha portato ad un grosso momento politico, oltre che ad una «crescita personale estremamente ricca. In questi anni la ricerca sulla nostra identità personale e collettiva è avvenuta con eterogeneità di esperienze ma con l’obiettivo comune di individuare e far saltare ciò che per millenni ci ha inchiodato alla nostra condizione di donna, di rifiutare quindi la violenza, la paura, la sopraffazione che la cultura maschile e la società maschiocentrica ci hanno imposto e ci impongono con i mille riti della quotidianità. Le nostre differenze, i nostri cammini diversi, non sono elemento di divisione bensì ricchezza e forza all’interno di una progettualità che nasce dalla coscienza dell’oppressione e dalla consapevolezza del nostro diritto/capacità di autodeterminarci. Il Coordinamento è pertanto un “momento” aperto di incontro, di confronto, di iniziativa che riconosce nel problema dell’aborto, oggi ributtato sul tappeto, l’ennesima violenza consumata sulle donne.
Mentre eravamo impegnate nella ricerca continua di nuove e più avanzate elaborazioni, ancora una volta la società patriarcale cerca di ributtarci indietro e di stringerci in logiche che non sono le nostre. E’ questo per noi il senso dei tre referendum sulla legge dell’aborto che vorrebbero togliere spazio a quelle proposte di modifica della legge stessa che andavamo maturando. Infatti, da pja lato si punta alla penalizzazione dell’aborto (movimento per la vita), dall’altro all’aborto “libero” ma secondo una libertà di mercato, quindi sottoposto alle sue leggi violente e discriminanti (Partito Radicale).
Noi riteniamo che l’obiettivo reale sia l’attacco al principio dell’autodeterminazione a tutti i livelli; principio che le lotte di questi anni sono andate affermando; l’attacco alla nostra vecchia e nuova coscienza che mette in discussione la legittimità per il maschio di confinare la donna ad un ruolo subordinato, di stabilire la sua “differenza” come inferiorità, di determinare a livello socio-storico-culturale quali siano le norme del comportamento femminile.
Mentre occorre essere consapevoli che la legge 194, che contiene, sia pur parzialmente e riduttivamente il principio dell’autodeterminazione non deve essere peggiorata dallo scontro referendario, è indispensabile sottolineare il rischio che questa battaglia, sia strumentale a concentrare l’energia delle donne entro una logica ancora una volta de! tutto maschile: quella dei giochi politici che aggiungono violenza a violenza.
Come rispetto alla violenza sessuale, la lotta puntava al ‘ riconoscimento .della donna in quanto persona, così rispetto all’aborto privilegiare il discorso dell’autodeterminazione significa denunciare e rifiutare la violenza per migliaia di donne che continuano a subirlo come unico metodo di contraccezione; la violenza delle strutture che non rispondono ai bisogni, la violenza di una contraccezione fatta a misura dell’egocentrismo maschile, senza sufficienti garanzie, spesso nociva, i cui prezzi è solo la donna a pagare, la violenza dei sensi di colpa che una cultura cattolica repressiva, alimentata tra torbide complicità; la violenza di una cultura maschista che fonda il suo potere sulla discriminazione dei sessi.
Non è il problema dell’aborto che fa paura ma quanto sta dietro ad esso, la sessualità femminile con tutto ciò che comporta, la libertà di definirsi come soggetti e di porre fine ad una divisione che stabilisce chi comanda e chi subisce.
Coordinamento Romano per l’Autodeterminazione! delle donne
Per questo privilegiare il discorso dell’autodeterminazione significa per le donne non attestarsi su battaglie di “difesa” bensì portare avanti un attacco con tutta la positività di un progetto che sanno, possono, vogliono esprimere; significa altresì far leva su un elemento che rafforza la donna spingendola a dire basta ad una società che comunque le impone ruoli, le nega identità autonoma, la utilizza e la sfrutta a livello economico e non solo.
L’aborto e la legge
Pubblichiamo una proposta di modifica della 194 “Delle donne e per le donne” che il coordinamento donne di Trento ha presentato all’incontro nazionale sull’aborto che si è tenuto a Roma al Governo Vecchio nei giorni 24-25 gennaio.

Costituitosi nell’ottobre per analizzare i problemi suscitati dai referendum abrogativi della legge 194, -il coordinamento donne di Trento ha fin dalle prime riunioni evidenziato come non ci si potesse limitare alla mera difesa di una legge che presentava fin dalla sua approvazione dei grossi limiti, risultati poi essere determinanti per la sua non applicazione. Il nostro primo obiettivo è battere quanti vogliono abolire una legge che seppur carente ci consente ancora dei margini di lotta, ma ci siamo impegnate anche ad analizzare e sostenere quelle proposte che vadano nella direzione di apportare miglioramenti significativi alla legge 194.
La proposta di emendamenti contenuta nel numero 11 di Effe del novembre 1980 i(l), ci è parsa la più rispondente alle nostre necessità, sebbene vi siano dei punti che a nostro avviso andrebbero ulteriormente modificati.
L’art. 1 ci è sembrato recepire al massimo il problema dell’autodeterminazione della donna, consapevoli dei limiti che sono insuperabili nell’attuale assetto statale.
Nell’art. 2 è importante il I comma che estende ai reparti ospedalieri non ginecologici la possibilità di effettuare interventi abortivi, perché in tal modo si ampliano gli spazi fisici pubblici ove è possibile l’attuazione della legge e si hanno maggiori possibilità di battere l’obiezione dei medici.
Importante inoltre è il comma 5 dello stesso articolo che prevede la possibilità di effettuare gli interventi abortivi nei poliambulatori pubblici purché questi siano effettivamente sotto il controllo dell’ente pubblico.
Carente è invece l’art. 3 sull’obiezione visto che questo è stato uno ostacolo dei più grossi per l’attuazione della legge. Ci pare importante che una proposta di emendamento che venga dalle donne debba porre il massimo di attenzione al problema dell’obiezione e affrontare il problema sotto ogni suo aspetto.
Il diritto all’obiezione va riconosciuto ai ginecologi abilitati alla professione prima dell’entrata in vigore della legge 194 ma questi devono essere tenuti a presentare ima domanda circostanziata contenente le motivazioni religiose, etiche, morali o filosofiche per le quali obiettano; tali domande devono essere vagliate da un’apposita commissione di cui facciano parte rappresentanti di collettivi o altre associazioni femminili. Le liste dei medici, la cui domanda sia stata accettata, devono essere rese pubbliche al fine di poter effettuare un controllo sui canali clandestini.
Buona la proposta contenuta nell’articolato pubblicato in Effe di non riconoscere il diritto all’obiezione per i medici specializzati dopo l’entrata in vigore della legge. In ogni caso l’art. 3 deve obbligare gli enti ospedalieri pubblici ad avere un 50% del personale medico non obiettore, bandendo ove ve ne sia la necessità concorsi riservati per i non obiettori.
L’obiezione non deve inoltre essere valida per i medici generici che devono essere tenuti comunque a rilasciare il certificato per l’intervento alla donna che lo richieda. Si ritiene indispensabile perché la legge possa essere attuata che i primari dei reparti ginecologici non debbano essere obiettori.
L’art. 4 che prevede l’effettuazione dell’intervento abortivo anche da personale non medico ci è- parsa tenere conto della necessità dì demedicalizzare f aborto ma vi è, a nostro avviso, il rischio che nel nostro Paese ciò possa dare via libera a mammane e praticoni, per cui tale estensione deve essere rigidamente regolamentata e valida solo per coloro che abbiano frequentato corsi specialistici ad alto livello.

(1) La proposta di legge pubblicata da “Effe” è quella del “Coordinamento Nazionale per l’Applicazione della Legge 194”, e fu presentata alla stampa nella Sede del Coordinamento a Roma il 25 ottobre 1979. n.d.r.

L’art. 6, che prevede l’abbassamento dell’età ai 14 anni per poter richiedere l’interruzione della gravidanza senza l’assenso dei genitori o dei giudici tutelari, ci pare la più realistica, visto anche il ruolo assegnato al giudice tutelare chiamato a certificare solo la richiesta della minore.
Non ci pare al contrario realistico proporre l’abrogazione dell’art. 13 che riguarda la donna minorata. Abrogando tale articolo, non risolveremmo il problema dell’interdizione che rimarrebbe comunque e toglieremmo alla donna interdetta ogni possibilità di abortire visto che la giurisdizione attuale ritiene la donna minorata incapace di svolgere qualsiasi ruolo anche nei confronti della sua persona. Ci pare più realistico togliere dall’articolato di legge il 1 pezzo del II comma dell’art. 13, comma che dà potere decisionale al giudice tutelare.
Riteniamo che sarebbe opportuno che tutti i collettivi di donne analizzassero la proposta di modifica del Coordinamento donne per l’applicazione della legge 194, le nostre proposte e che su tale articolato ci si confrontasse per arrivare ad avere una nostra proposta di modifica della legge da contrapporre a movimento per la vita e radicali. Una proposta con cui dovrebbero comunque fare i conti anche quelle forze politiche che in parlamento sono pronte a patteggiamenti e ritocchi pur di evitare lo spinoso problema dei referendum.

Art. 1
(sostituisce l’art. 5)
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria deve garantire gli accertamenti medici necessari per l’eventuale interruzione della gravidanza.
Se la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della libertà e della dignità della donna.
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare l’interruzione della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso d’urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza, le rilascia copia di un documento firmato anche dalla donna, attestante lo stato
di gravidanza e l’avvenuta richiesta. Con il documento e il certificato di cui al precedente comma, la donna si presenta presso una delle sedi autorizzate all’effettuazione dell’intervento.
Art. 2
(sostituisce l’art. 8)
L’interruzione della gravidanza è praticata presso gli ospedali generali indicati nell’art. 20 della L. 12 febbraio 1968 n. 132, presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti e gli enti di cui all’art. 1 penultimo comma della Iegge 12 febbraio 1968 n. 132 e le istituzioni di cui alla Legge 26 novembre 1975 n. 817 e dal decreto del presidente della Repubblica del 18 giugno 1968 n. 754, nel servizio ostetrico-ginecologico o di chirurgia generale o specialistica o in altro servizio appositamente istituito per l’effettuazione degli interventi previsti dalla presente legge.
Gli ospedali, gli istituti e gli enti di cui al comma precedente debbono assicurare la possibilità di effettuare un numero di interventi di interruzione della gravidanza non inferiore al 25% in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell’anno precedente.
Nei primi 90 giorni l’interruzione della gravidanza può essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalla Regione, fornito di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici.
Il Ministro della sanità con suo decreto può limitare la facoltà delle case di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che potranno aver luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura.
La percentuale di cui al comma precedente noti dovrà essere inferiore al 20% e uguale per tutte le case di cura.
Nei primi 90 giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali e autorizzati dalla Regione.
Il certificato rilasciato ai sensi dell’art. 5, III comma e il documento consegnato alla donna ai sensi del 4° comma dello stesso articolo, costituiscono titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento, e se necessario, il ricovero.
In ogni caso l’intervento dovrà essere effettuato entro il decimo giorno dalla presentazione del certificato e del documento.
Art. 3
(sostituisce l’art. 9)
H personale sanitario ed esercente le attività sanitarie in servizio anteriormente all’entrata in vigore della presente legge presso una delle strutture sanitarie indicate ai commi 1 e 3 dell’art. 8, che abbia presentato domanda di obiezione, all’entrata in vigore delle presentì modifiche di legge, dovrà presentare un’ulteriore domanda esplicitando le motivazioni religiose, morali, etiche, filosofiche che lo spingono all’obiezione. Tali domande, dovranno essere vagliate da un’ apposita commissione di eletti al comma seguente e accettate oppure respinte. Qualora la domanda venga accettata, potrà in ogni momento essere revocata se siano intervenute circostanze nuove incompatibili con le motivazioni addotte.
Le domande di richiesta di obiezione per l’esecuzione degli interventi di interruzione della gravidanza, verranno vagliate dal comitato di gestione della USSL e dovranno essere rese pubbliche, se accettate, entro 15 giorni dalla sottoscrizione a cura del comitato di gestione delle USSL da cui dipende la struttura in cui opera l’obiettore.
Coloro i quali abbiano conseguito l’abilitazione o siano stati assunti presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette all’interruzione della gravidanza successivamente all’entrata in vigore della presente legge saranno tenuti in ogni caso all’effettuazione degli interventi.
L’obiezione di coscienza non può essere sollevata da medici generici che dovranno comunque certificare l’avvenuta richiesta di interruzione della gravidanza da parte della donna.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
La richiesta di esonero dall’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza, per obiezione di coscienza, è incompatibile con la carica di primario di reparto ostetrico-ginecologico o di altro reparto ove si effettui l’intervento di interruzione di gravidanza.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assi’ curare l’espletamento delle procedure previste dallo art. 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli art. 5, 7, 8. La Regione “ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente l’attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi di interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge al di fuori dei casi di cui ai commi precedenti.
Art. 4
(sostituisce l’art. 9 bis)
L’interruzione di gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico.
Possono altresì effettuare l’intervento i medici appartenenti ad altro servizio che abbiano la necessaria preparazione tecnica.
Nei primi 90 giorni l’Intervento di interruzione della gravidanza eseguito con tecnica non operatoria, può essere effettuato anche dal personale paramedico (o esercitante le attività ausiliarie) che abbia partecipato ai corsi previsti dall’art: 15 della Legge 22 maggio 1978 n. 194 e a cui sia stato rilasciato regolare certificato attestante la partecipazione ai suddetti corsi e la specializzazione conseguita.
Art. 5
(sostituisce l’art. 10)
Viene a cadere la proposta di modifica di “Effe” per l’entrata in vigore della riforma sanitaria.

Art. 6
(sostituisce l’art. 12)
L’età di 18 anni è sostituita con “14 anni”. L’ultima parte del secondo comma è così sostituita:
Il giudice tutelare, entro cinque giorni, accerta la regolarità delle procedure e, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, la autorizza, con atto non soggetto a reclamo, all’interruzione della gravidanza.
Art. 7
(sostituisce l’art. 13)
Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli articoli 4 e 6 può essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato. Qualora, la domanda sia presentata dal tutore o dal marito non tutore, la donna dovrà confermare per iscritto la propria determinazione all’interruzione della gravidanza.
II medico del consultorio o della struttura socio sanitaria, o il medico di fiducia, trasmette al giudice tutelare entro il termine di sette giorni dalla presentazione della richiesta la domanda di interruzione della gravidanza. Il giudice tutelare accertata la regolarità delle procedure, entro cinque giorni dal ricevimento della domanda, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, la autorizza, con atto non soggetto a reclamo, all’interruzione della gravidanza.
Art. 8
Le sanzioni di cui all’art. 17 comma 1° sono elevate alla reclusione “da sei a tre anni” ed elevate fino alla metà nel caso previsto dall’ultimo comma.
Art. 10
il secondo comma dell’art. 19 è abrogato.
Art. 11
L’ultimo comma dell’art. 22 è abrogato.
Art. 12
L’intervento di sterilizzazione effettuato nelle istituzioni sanitarie di cui all’art. 8 della Legge 22 maggio 1978 n. 194, rientra tra le prestazioni ospedaliere trasferite alle
USSL.
LE PARTI MODIFICATE DAL COORDINAMENTO DONNE DI TRENTO SONO QUELLE IN NERETTO. CHI DESIDERA AVERE IL TESTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE DEL “COORDINAMENTO NAZIONALE PER L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 194” PUÒ’ CHIEDERE ALLA REDAZIONE DI EFFE IL N. 11 (VERDE) NOV. 1980.

L’aborto e le religioni
Per il movimento per la vita la vita delle donne non conta niente.
Nella cattolica Irlanda, dove si continua a morire per una guerra civile che dura da anni, le donne muoiono anche d’aborto perché è ancora vietata anche la vendita degli anticoncezionali.

In America del Sud a causa della pesante influenza della Chiesa Cattolica sulle scelte politiche dei governi di molti Stati, non solo l’aborto ma anche l’informazione contraccezionale è vietata dalla legge penale.
Nel Perù dove l’aborto è vietato, in applicazione del Piano d’azione mondiale votato a Città del Messico e di numerose Risoluzioni delle ONU, miranti a consentire alle coppie di decidere il numero dei figli, il Governo, nel 1976, con lo slogan “genitori responsabili», aveva lanciato un vasto programma d’informazione sui metodi contraccettivi. Ma nel 1979, a causa di esplicite e pressanti pressioni dell’episcopato locale, l’ha abbandonata. Risultato: un aumento degli aborti clandestini di cui da 300 a 500 all’anno finiscono tragicamente. La sanzione penale è applicata con grande severità: negli ospedali, confidenti della polizia sorvegliano le donne che si sottopongono a visite ginecologiche “sospette”. Nella prigione Chorillos di Lima, ci sono molte donne rinchiuse per aver abortito; i loro figli restano così abbandonati e privi di assistenza.
In Brasile la situazione è drammatica. Dai dati dell’ONU, risulta che migliaia di dorme muoiono per aborto “procurato” in condizioni precarie e prive di qualsiasi assistenza medica, ma la Chiesa cattolica continua a condizionare la politica del governo.
In Messico, secondo l’OMS gli aborti clandestini raggiungono la cifra di 2 milioni l’anno e c’è un alto tasso di mortalità fra le donne più povere le quali passano la vita fra gravidanze e aborti.
In Bolivia, prima del colpo di Stato del luglio scorso, il Governo aveva iniziato un programma di diffusione dei metodi contraccezionali, che l’attuale dittatura militare ha immediatamente ritirato.

In Cile, la Chiesa cattolica impone la sua ideologia: la politica del Generale Pinochet è quella di impedire ogni forma di controllo della fecondità e contemporaneamente di ostacolare in ogni modo il lavoro extradomestico delle donne che sono quindi ricondotte con la forza della legge al compito “naturale” di partorire e allevare figli per la dittatura.

Se questa è la situazione in America-dei Sud dove la religione egemonica è quella cattolica, le cose non vanno meglio nei paesi dell’Asia e dell’Africa nei quali la religione musulmana influenza e condiziona la legislazione e la cultura.

Non solo nell’Iran di Komeini ma per esempio nel sovrappopolato Bangladesh dove si muore di fame sia l’aborto che la contraccezione sono vietati {a parte l’atroce episodio degli stupri e degli aborti di massa in occasione del recente conflitto).

Il Marocco, paese musulmano, ha nei confronti del controllo delle nascite una posizione estremamente ambigua: il Governo dichiara che le coppie devono decidere liberamente e responsabilmente il numero dei figli, ma non si impegna in una campagna per la diffusione dei contraccettivi scientifici, né ha provveduto ad abrogare la legge che ne vieta la vendita.

Enormi sono poi le contraddizioni nei Paesi musulmani di recente liberazione.

Un intreccio vischioso di precetti religiosi e di interessi populazionisti (si tratta spesso di Paesi sottosviluppati che hanno bisogno di “braccia”, di “forza-lavoro”) fa sì che governi nati da lotte di liberazione a cui le donne hanno partecipato in eguale misura con gli uomini, continuano ancora oggi a vietare l’aborto e ogni forma di controllo della fecondità.
Sono fin troppo note le dichiarazioni della figlia dell’ajatollah Thalegani. Dello stesso tenore sono state tutta una serie di dichiarazioni pronunciate dalle delegate di quei Paesi, in occasione del dibattito su la “Risoluzione per la pianificazione delle nascite” alla Conferenza di Copenhagen (vedi EFFE n. 7-8-1980).
Secondo Madame Elise Thérése Gamassa, Presidente Nazionale dell’Unione Rivoluzionaria delle donne del Congo, “per il momento le, autorità congolesi hanno problemi più importanti da affrontare, il loro territorio è vasto e la popolazione conta solamente 1.600.000 unità, e d’altra parte fare dei figli è al tempo stesso una funzione naturale e un evento socialmente molto apprezzato, onorevole. Malgrado il cambiamento delle abitudini avere una progenie, una discendenza numerosa, significa ancora molto per la nostra gente” i(!).
Le parole di madame Jeanne Martin Cisse, Ministro per gli Affari Sociali, testimoniano le contraddizioni di queste donne “emancipate” e progressiste, che hanno posti di responsabilità e di potere nei loro paesi: “La Guinea non è sovra-popolata… anzi c’è bisogno di figli. Il Governo vuole impedire che la salute delle donne sia minacciata da gravidanze troppo ravvicinate. Ma non possiamo abbordare troppo brutalmente il problema della contraccezione: è un problema delicato, non possiamo urtare i princìpi religiosi, la tradizione, la morale corrente…”. L’aborto è punito; la sterilizzazione è proibita… “noi abbiamo bisogno di figli”.
Nel Mali, Paese fortemente islamizzato e dove è tuttora praticata la poligamia, vi sono famiglie che contano 20, 30 bambini. Madame Sow Rokiaron membro del Bureau dell’Unione Democratica del Popolo di Mali, incaricata dei rapporti con l’Unione donne del Mali, ha spiegato che è in atto da qualche tempo l’impegno del Governo per far conoscere i metodi più sicuri di controllo della fecondità, ma l’aborto è vietato a meno che non vi sia grave pericolo per la vita della donna.
Per una rappresentante dell’ OLP, “il problema dell’aborto per le donne palestinesi “non esiste”, tutt’altro, ogni bambino palestinese che nasce è un problema in più per Israele” (!).
In Sudan, il Governo ha istituito ima medaglia per la “madre eroica” (cioè la madre di numerosa prole). Madame Kardoum Awad Saeed, Segretaria Generale de l’Unione donne sudanesi spiega: “Il Governo ha bisogno di braccia specialmente nelle zone rurali, perché il nostro è un Paese molto vasto… d’altra parte, il Sudan è un Paese islamico e secondo la tradizione avere dei figli è un dono di Dio… non è neanche il caso di parlare di aborto legale che è contrario alla religione islamica”.
Così continua la tragedia degli aborti clandestini e la tragedia della mortalità infantile che è strettamente legata a gravidanze troppo ravvicinate, a un troppo alto numero di figli, in Paesi in cui sono gravissimi i problemi di ordine economico.
Ma la Capo delegazione dell’Alto Volta, Madame Kamadoto Sere Binto, si è spinta fino a dire che in effetti il 60 per cento dei bambini da 0 a 5 anni muore a causa della sete, della malnutrizione, delle malattie epidemiche e dunque “lasciamo che ne abbiano molti di figli: la natura penserà a riequilibrare” (!)
La tragedia delle donne continua.
I rapporti di buon vicinato con le religioni fortemente insediate nella società, gli interessi politici ed economici prevalgono: rivoluzioni, governi progressisti, donne ministro non bastano a cambiare la situazione delle donne.