commissione femminismo e marxismo

È terribilmente difficile fare un resoconto del lavoro della commissione che forse più di tutte ha risentito delle contraddizioni del convegno.

luglio 1977

 

L’esigenza di affrontare anche un discorso teorico generale sul tema centrale posto dal .titolo stesso del convegno: lotta delle donne e dentro la lotta di classe, era abbastanza diffusa, e non certo appannaggio delle marxiste «dure». Tuttavia la commissione nasceva per decisione di un gruppo di trotskiste (americane, inglesi, tedesche e francesi) uscite dalla commissione sui problemi del rapporto con il sindacato, le quali, invocando un qualche (e molto poco femminista) diritto di primogenitura hanno preteso di gestire rigidamente lo svolgimento dei lavori.

Di fatto, quindi, la commissione che aveva attirato un grande numero di donne (dalle cinquanta alle cento) si è caratterizzata fin dall’inizio come luogo di scontro politico frontale e continuo che impediva il realizzarsi della volontà di molte di crescere in un processo di confronto dialettico mentre imponeva un dover essere difensore del proprio patrimonio politico-culturale: schematicamente, la commissione si divideva fra i mastini della linea «lotta di classe», «no, all’autonomia delle donne» ed i mastini del «femminismo, autonomia». È terribilmente difficile fare un resoconto dell’accaduto, e credo che la difficoltà derivi dalla sostanziale «monotonia dello svolgimento dei lavori: una compagna francese della lega dei trotskisti prendeva le iscrizioni; una compagna inglese della lega dei trotskisti cronometrava l’intervento: cinque minuti a testa (salvo prendersene di più subendo interruzioni e richiami continui). Gli interventi (mistero divino o soltanto specchio della composizione reale della commissione?) vedevano un’alternarsi rigido : movimento ,donne-trotskiste, movimento donne-troskiste… all’infinito, cosicché costruire un dialogo positivo, risultava impossibile, per l’essere continuamente ricacciati su un terreno vecchio di scontro (magari si potesse chiamare di confronto).

Capitavano anche episodi che rasentavano il massimo dello squallore: contraddizione, su un elemento del tutto secondario, fra due compagne francesi della lega delle trotskiste: la prima difende la legittimità delle sue posizioni invocando la sua posizione gerarchica nell’organizzazione!

Comunque, cerchiamo di riassumere della lega delle trotskiste; la prima discussione (in fondo, in sei ore, ed una colazione saltata ci saremmo pure dette qualcosa!) Il nodo del discorso, portato avanti dalle compagne trotskiste è: esiste una specificità dell’oppressione femminile che è (ma non tutte sono d’accordo su questo punto) antecedente al capitalismo, tuttavia si deve stabilire, anche in relazione all’oppressione delle donne, il ruolo rivoluzionario non solo centrale, ma unico della classe operaia. L’unicità del soggetto rivoluzionario viene affermata in due modi;

1) Le donne si emancipano soltanto in quanto entrano a far parte delle forze produttive e quindi, lottano come facenti parte della classe operaia.

2) La classe operaia liberando se stessa libera tutte le forze della società.

Da questi ragionamenti discende che:

1) Le donne devono fare parte delle organizzazioni della classe operaia, e basta.

2) Le donne non sono innanzitutto donne ma innanzitutto membri di una classe o dell’altra (quindi le donne borghesi sono i nostri nemici…).

3) Lavorare per la costruzione di un movimento autonomo delle donne è controrivoluzionario in quanto da un lato divide la classe, dall’altro unifica ciò che unito non deve essere, cioè donne di diverse classi. Si potrebbe parafrasare un detto patriarcale di antica memoria per dire che ciò che la classe divide, la donna non unirà.

Nel grigiore di queste tesi, una brillava per essere realmente elemento di humor geniale (purtroppo la lega dei trotskisti non sembra sviluppare nei suoi militanti il senso dell’ironia, né

tantomeno, quello dell’autoironia): secondo tutte le compagne trotskiste la ragione per cui anche nelle organizzazioni politiche rivoluzionarie le donne subiscono forme varie di oppressione è facilmente spiegabile in quanto tutte queste organizzazioni (a differenza della lega trotskista) sono composte da compagni ohe sono sulla cattiva strada, marxisti falsi e erranti; nelle parole di una inglese, compagni «rotten» che vuol dire, testualmente «marci». Queste le posizioni di una parte delle partecipanti alla commissione: non certo la parte più numerosa, ma si sa ohe l’organizzazione e la lunga abitudine alla politica maschile possono molto, quando si tratta di imporre la propria volontà ad una assemblea di donne.

La discussione portata avanti dal resto dell’assemblea era, invece, molto più articolata e caratterizzata soprattutto dal fatto di porre elementi di ricerca ben più che certezze acquisite. Opinione comune di tutte era certamente il bisogno di costruire il movimento autonomo delle donne, che si confrontasse con la società patriarcale e, in quanto tale, con il capitale; altro dato comune era il fatto di porre anche la soggettività come luogo di pratica politica. Tuttavia su molti altri punti il discorso è rimasto aperto, per esempio, Sulla possibilità-necessità ohe le donne si organizzino in maniera autonoma anche all’interno delle organizzazioni della sinistra.

Anche sull’analisi delle radici storiche dell’oppressione femminile cioè, come essa si collega all’insorgere della proprietà privata e come si sviluppa in .rapporto alle forze produttrici i problemi sono rimasti aperti. Da parte di tutte nella commissione c’era un grande interesse per l’esperienza del movimento femminista italiano, che appare senz’altro, seppure a noi sembrasse quasi incredibile, il più forte sia dal punto di vista della capacità aggregante e di mobilitazione, sia da quello della produzione teorica. Infatti è stato l’intervento di una compagna italiana che ha cercato di spostare in avanti il discorso dall’ormai trito e ritrito lotta di classe-lotta delle donne, ponendo invece alla riflessione generale la storia del movimento di questi ultimi due anni, la sua espansione, la crescente chiarezza con cui ha imposto e difeso la sua autonomia dalle forze politiche, l’esperienza in questo senso delle compagne dei gruppi della nuova sinistra, la sua consapevolezza di essere anticapitalista senza essere per questo costretto dentro gli schemi della lotta di classe… Ha anche cercato di aprire la discussione sui problemi che noi oggi affrontiamo: da un lato il superamento di una concezione solidaristica del movimento e del rapporto fra donne, l’interiorizzazione del maschile, accanto al femminile; poi le lacerazioni prodotte dal divario fra coscienza acquisita e condizioni di vita; dall’altro lato, le difficoltà ad assumere le contraddizioni date dalla necessità del movimento di acquisire anche gli strumenti della politica tradizionale per potere affrontare scadenze istituzionali; la dialettica continua fra interno ed esterno… Forse la cosa che più mi ha traumatizzata dell’esperienza di questa commissione è stato l’interesse delle compagne «non inquadrate» per le cose che la compagna italiana diceva, segno sicuro di un bisogno di confronto che le trotskiste, purtroppo, hanno ben saputo impedire. Certo è che non solo l’allegria, ma la creatività (che si esprime anche nel dissenso) delle donne non si sono evidenziate in questa commissione, e, in fondo la più grande «vittoria» delle trotskiste è stata quella idi imporre una metodologia tutta maschile ed autoritaria alla commissione (inclusa la «delega» del femminismo alle femministe più provate), la loro «sconfitta» quella di avere creato solo alienazione e insofferenza per le loro posizioni.