medicina
baroni all’assalto
Dacia Maraini, scrittrice e giornalista. Ha vinto il Premio Formentor nel 1962 con «L’età del malessere». Ha scritto romanzi, teatro ( «Ricatto a Teatro» e «Il manifesto delle donne») poesie («Crudeltà dell’aria aperta»). II suo ultimo libro «E tu chi eri?» raccoglie interviste sull’infanzia di personaggi famosi. E’ una delle poche scrittrici italiane che non hanno paura di dirsi femministe. Ha creato il centro teatrale femminile «La Maddalena».
Siamo talmente abituati ad avere a che fare con medici uomini, con professori uomini, con scienziati uomini, che quasi li consideriamo senza sesso. Facciamo fatica a renderci conto che essi sono prima di tutto uomini, cioè maschi che seguono, consciamente o inconsciamente, i modelli di comportamento maschile. Un medico può essere un perfetto scienziato, un buonisssimo dottore, un grande studioso e nello stesso tempo mantenersi ubbidiente ai modelli di comportamento sociale per quello che riguarda le relazioni fra i sessi. E questo non soltanto nei rapporti con le sue donne, in privato, ma anche nel lavoro, a contatto con donne non legate a lui da rapporti affettivi.
I peggiori nemici della liberazione della donna non sono infatti i fascisti (nemici scontati e facili da individuare) e nemmeno i gradassi alla Riggs (il tennista che ha sfidato la campionessa King in nome della superiorità maschile e ha perso malamente), non sono nemmeno i ciarlatani da rotocalco (quelli che prendono in giro la donna perché lottando per i suoi diritti si renderebbe ‘ridicola’) e nemmeno i presentatori della televisione (che fanno del razzismo a viso aperto). I nemici veri della liberazione della donna sono quegli scienziati, quei medici, quegli studiosi che dall’alto delle loro cattedre, con la pretesa dell’imparzialità scientifica, lasciano cadere i loro giudizi, le loro opinioni di ‘ maschi ‘ condizionati dal ‘maschismo’, con lo scopo preciso di incatenare la donna alla sua fisiologia, cioè alla sua inferiorità (contro deficienze e debolezze storiche si può lottare, ma contro deficienze e debolezze fisiologiche cosa si può fare?).
Nemici sono quei medici che scrivono e hanno scritto che la pillola anticoncezionale fa comunque e in ogni caso male (seguendo un loro torbido risentimento moralistico più che una vera conoscenza medica, deformando le statistiche come fa comodo a loro), quegli psichiatri che ripetono pedissequamente il concetto dell’invidia del pene (la parte più debole e contestata del pensiero freudiano), quei professori che rifiutano l’aborto libero in nome di principii umanitari (senza rendersi conto che parlano in nome di un cieco e duro conservatorismo oggi apertamente in contrasto con l’interesse dell’umanità intera che va in rovina per sovrappopolazione). Tutti costoro si servono della scienza per parlare in nome della morale acquisita. Qualche volta lo sanno e sono dei cinici che agiscono spinti da ragioni di carriera o di denaro. Qualche volta non lo sanno e questi forse sono i più pericolosi perché prendono sul serio se stessi e le loro idee reazionarie nascondendosi dietro l’immagine sacra e obiettiva della scienza. Ma la scienza non è affatto obiettiva, non è affatto distinta in maniera definitiva e schizoide dalla morale e dalla storia. Tanto è vero che c’è un modo rivoluzionario di essere scienziati e un modo conservatore e codino di essere scienziati.
Ci sono infatti degli scienziati, dei medici, degli psichiatri che riconoscono obiettivamente di dovere partire dalla loro realtà di uomini, di privilegiati, di maschi, di bianchi, di borghesi e cercano di affrontare le contraddizioni inerenti a questa situazione con coraggio e onestà. Ma sono pochi. La maggioranza, quelli che vengono a contatto con le donne, negli ambulatori, negli ospedali, nelle cliniche, negli studi, quelli che servono sui giornali cosiddetti femminili, quelli che parlano alla radio, sono dei presuntuosi che prendono a pretesto la scienza (psicanalisi, medicina interna, neurologia, ginecologia ecc.) per diffondere e mantenere, col terrorismo, lo stato di inferiorità della donna voluto dalla società in cui viviamo. Il paternalismo niente affatto scientifico di questi uomini di scienza è pesante e mortificante. Le donne lo conoscono bene perché ci si scontrano tutti i giorni, e assomiglia molto al paternalismo dei datori di lavoro con cui hanno a che fare quotidianamente. Ricordiamoci che se non ci fossero le donne a incaricarsi dei lavori più umilianti, più monotoni, più servili, scienziati e medici si troverebbero molto in difficoltà. Se per ogni dentista, per ogni ginecologo, per ogni chirurgo, per ogni studio, non ci fossero disponibili centinaia di ragazze giovani, carine, pronte a sgobbare per paghe minime, come farebbero i «grandi professori» a guadagnare tanti soldi e in così poco tempo? L’uomo che ha in mano gli strumenti del privilegio, cioè là cultura, la scienza, il sapere, li usa tranquillamente senza scrupoli per mantenere sotto ricatto la donna: che lavori e si faccia sfruttare sorridendo! altrimenti sarà accusata di volere «competere con l’uomo», di avere ambizioni «poco femminili» e quindi di essere una donna poco attraente, una virago o semplicemente una «rompiscatole» destinata alla solitudine e all’infelicità, per quanto laureate, per quanto colte, le donne sanno bene che, alla fine chi comanda, chi giudica, chi può permettere loro di andare avanti o di fermarsi bruscamente è sempre l’uomo: il professore capo, lo scienziato capo, lo studioso capo, l’analista capo, il chirurgo capo, l’infermiere capo ecc.
Le altre, le donne di cultura media, le casalinghe, le operaie, la massa, sono destinate a subire nella maniera più pesante questo condizionamento. Se un uomo che sembra essersi elevato al di sopra di ogni determinazione sessuale, un professore che tutti riveriscono come famoso psichiatra, scrive su un giornale che la donna, per essere veramente donna deve abbandonarsi alla sua femminilità (vedi masochismo e passività) rinunciando a tutto quello che c’è di «maschile» in lei ( cioè l’auto-affermazione, la rivalità, l’ambizione, l’amore per il lavoro creativo, gli ideali politici ecc.) come si fa a non credergli? come si fa a non sentirsi profondamente in colpa quando si scopre che abbiamo degli ideali, delle ambizioni, delle voglie che l’illustre studioso ha definito autorevolmente «poco femminili»? Una cosa del genere sta succedendo in questi giorni in Germania. Una donna tedesca di nome Ulrike Marie Meinhof è stata arrestata per avere partecipato alle azioni terroristiche di un gruppo di estremisti, con l’aggravante di essere diventata in poco tempo il leader di questo gruppo. Invece di condannarla secondo le leggi del paese e basta, la Corte federale di Karlsruhe ha chiesto, seguendo il parere di alcuni medici, di sottoporre la Meinhof ad un’analisi del cervello per scoprire se è pazza o savia. Bisogna riconoscere che altri medici, altri giudici, altri scienziati, uomini e donne, hanno subito protestato pubblicamente contro questo sistema da «lager nazista». Ma io mi chiedo: sarebbe successo lo stesso se invece di una donna si fosse trattato di un uomo? Avrebbero anche in questo caso proposto di aprirgli il cranio per vedere se è pazzo? I giudici rispondono: prima di tutto la donna ha avuto un tumore nel cervello ed è già stata operata. Noi ora vogliamo solo sapere se la operazione, il taglio, hanno in qualche modo danneggiato il cervello della ragazza deviandone il normale corso fisiologico. Inoltre lo facciamo per lei, perché se risultasse che è menomata, è chiaro che la condanna sarebbe più mite. Io insisto: ma se la Meinhof fosse un uomo anziché una donna, vi sarebbe sembrato tanto «innaturale» il suo comportamento guerresco? Voi infatti pensate che sia ovvio, naturale, che l’uomo faccia la guerra, che tiri le bombe, che usi le armi. Ma una donna no. Una donna che agisce da guerrigliera non segue gli istinti naturali di donna: quindi o è stata plagiata da un uomo o è pazza. Insomma, se il suo cervello anziché andare normalmente a destra (nel senso della conservazione, della femminilità, dell’istinto materno, della docilità e della sottomissione) si è messo precipitosamente a correre verso sinistra (cioè verso l’eversione, l’impegno politico, l’indocilità, la ribellione), dobbiamo aprirlo ed esaminarlo perché certamente c’è una malformazione anatomica. In questo modo, senza volere, i giudici hanno rivelato in maniera candida ed aperta, il loro profondo e autentico razzismo. Lo stupore dimostrato di fronte al caso Meinhof è talmente spontaneo e naturale che non c’è da cercare doppiezza o secondi fini. Essi sono razzisti «in buona fede», senza malizia, nel modo più cocciuto e pericoloso. Ancora una volta abbiamo la prova che le donne sono costrette a subire con la violenza l’idea che gli uomini si sono fatti di loro. Se il comportamento di una donna non corrisponde agli «ideali femminili» della nostra società androcentrica, ecco subito gente (scienziati, giudici, medici, professori) pronta a giudicarla «anormale», «pazza».