femminismo usa
battaglie, sconfitte, conquiste
Storia e cronache del femminismo americano: come è nato, in che misura ha contribuito nel creare l’America del dissenso, in quali settori le femministe hanno vinto :
legalizzazione e pratica dell’aborto, eguaglianza dei diritti civili, una istruzione migliore, una assistenza sanitaria migliore. Infine: cosa pensano, scrivono, dipingono, recitano, cantano le femministe ?
Il Nuovo Femminismo, come Movimento, come fatto di pubblica notorietà, ha cominciato a crescere negli Stati Uniti, alla metà circa degli anni sessanta. Ma il femminismo americano ha una sua storia precedente, che coincide con la fine del secolo scorso: «La donna americana — scriveva la rivista «Time», in un suo supplemento dedicato ai movimenti di liberazione della donna — non può essere obbligata a tornare indietro nella sua Casa di Bambola». Infatti è alla fine dell’800 che Nora, la protagonista di «Casa di Bambola» di Ibsen, s’accorge del malessere della condizione femminile, e comincia a provarlo sulla propria pelle di borghese apparentemente soddisfatta: attraversa quindi quella che oggi sarebbe definita «una crisi di identità» : si rende conto, cioè, di non esistere come persona umana se non perché è collegata a un marito e a dei figli. Quando Nora Helmer abbandonava, nel 1870, la casa del marito, negli Stati Uniti, il femminismo, sia pure non esattamente autodefinitosi come tale, aveva cominciato a esistere da circa vent’anni, poiché già nel 1848 nello Stato di New York, una convenzione detta dei Diritti della Donna, aveva chiesto, per la prima volta, il voto alle donne. È molto importante sottolineare che le donne che si battevano allora per chiedere qualcuno almeno dei diritti degli uomini, si muovevano nel solco della lotta per l’abolizione della schiavitù cui erano assoggettati i negri d’America. Nel 1868 i negri americani erano stati liberati dalla schiavitù, ma le donne, quarant’anni più tardi, sfilavano ancora per le strade di Washington innalzando cartelli: «Signor Presidente! Quanto tempo ancora le donne dovranno aspettare la libertà?». Il voto alle donne americane si ebbe nel 1920.
Cinquant’anni dopo esse si rendono conto che il voto, in sé e per sé, non è affatto una garanzia di soluzione del problema femminile, non serve da solo a liberare la donna. Del resto, perfino una donna dalla biografia tutt’altro che rivoluzionaria — come l’ambasciatrice e commediografa Claire Booth Luce, nonostante affermi che «l’età d’oro delle donne, il momento in cui furono più grandi le loro speranze, fu tra il 1920 e il 1930, quando ebbero il voto e cominciarono ad andare all’università, e quindi ad introdursi nelle carriere» tuttavia, è costretta ad ammettere: «Il potere, il danaro e il sesso sono i tre grandi valori dell’America di oggi. Le donne non hanno quasi mai accesso al potere se non attraverso i mariti: hanno danaro se riescono a procurarselo con il sesso, sia legittimo, cioè il matrimonio, sia illegittimo. La libertà sessuale, poi, non le porta all’autentica libertà che è libertà economica». La seconda guerra mondiale portò un grandissimo numero di americane al lavoro, ma il ritorno dei reduci le respinse in casa: e qui cominciò a svilupparsi quell’operazione che Betty Friedan avrebbe denunciato nel suo libro «La mistica della femminilità», pubblicato nel 1963. L’era Eisenhower valorizzò il ritorno della donna «al focolare domestico», attrezzato con innumerevoli ed alienanti macchinari. La via al consumismo ossessivo era aperta; la donna, frustrata dall’esistere soltanto tra quattro pareti di casa, si sfogava a comprare macchine inutili, e i profitti industriali crescevano. Con la presa di coscienza di questa situazione, denunciata dalla Friedan nel ’63 si può dire sia nato il nuovo femminismo negli Stati Uniti.
La diagnosi di Betty Friedan si è rivelata come potenzialmente rivoluzionaria, tant’è vero che il potere politico non ha tardato a impossessarsene. Non a caso, infatti, nel 1964, Lyndon Johnson fece un appello (elettorialistico?) perché la società americana aprisse anche alle donne la strada del successo professionale e politico: Johnson disse allora che voleva più donne al governo: statistiche elaborate nel 1967 rivelavano che soltanto l’I,6 per cento degli incarichi di pubblica amministrazione meglio retribuiti erano attribuiti alle donne.
Anche Nixon non ha mancato di lanciare il suo appello per la rivalutazione della donna nel settore della politica e della pubblica amministrazione: ne ha quindi reclutata una, certa Barbara Franklin, di trentadue anni, laureata a Harvard, perché, dalla Casa Bianca, organizzasse un reclutamento massiccio di donne da inserire nelle cariche pubbliche direttive. Si tratta evidentemente della ciliegia sulla torta del sistema, che non cambierà certo per la presenza «on the top levels» (al vertice) di qualche donna.