la donna è mia e l’ammazzo quando mi pare
fascismo per due
Il discorso è molto ampio: a nessuno sfugge «l’escalation» della violenza nel paese. Quali le cause? In che misura la società o chi detiene il potere è colpevole? La violenza non è mai un fatto casuale. Essa ha una sua fisionomia, una sua logica e una sua organizzazione. Chi muove i fili della violenza e la strumentalizza ha un preciso intento di potere politico. La storia insegna. Non ci si arma la mano o si accumula capitale sulla pelle e sul lavoro degli altri solo perché «il cervello fa le bizze». Questo è comprensibile. Eppure, se esaminiamo attentamente l’interpretazione dei «fatti» di violenza da parte degli esperti, vediamo che qualcosa non quadra Più. La violenza diventa troppo spesso il caso di «raptus» individuali. Allora non si ritrova più il filo conduttore. La demarcazione politica fra violenza organizzata e «raptus» casuali si fa incerta e non ci rendiamo conto che anche questo, anzi, direi prima di tutto questo, è voluto e programmato da chi detiene il potere. Un attentato a un treno è premeditato con intenti ben precisi. Le vittime e i danni sono freddamente calcolati. È quindi necessario risalire ai «mandanti» per stroncare la violenza alle radici. Come per le bombe di piazza Fontana. Ma risalire ai mandanti significa portare allo scoperto chi detiene il potere economico e politico. Seguire un filo conduttore che passa attraverso la violenza della fabbrica. Portare alla luce le morti bianche, gli «incidenti» sul lavoro, le intossicazioni, gli aborti bianchi, malattie e sfruttamento. Le bombe sono solo un contorno. La lotta si fa allora difficile, deve essere portata su tutti i fronti. Ognuno di noi si trova quotidianamente in una realtà violenta. Ma per me — donna — (che subisco una oppressione specifica) quale è il volto della violenza? Il ricordo di una frase esposta in un cartello del 1969 alla mensa universitaria di Trento mi riporta al primo momento della mia nuova presa di coscienza: «I padroni fanno credere al più lumpen dei lumpen di non essere l’ultimo degli uomini ma di avere sotto di sé sempre un altro essere da opprimere: la donna». L’uomo che violenta, stupra e uccide la donna è dunque una pedina dei padroni? Quelli che detengono il potere economico sono gli stessi mandanti della violenza in fabbrica, delle bombe e dei crimini contro la donna? La divisione fra pedine e mandanti, validissima per un discorso di potere fra uomini, non è più molto convincente per quanto riguarda la violenza sul mio corpo. Il disoccupato di Reggio Calabria strumentalizzato per una aggressione fascista e il napoletano Nappa che uccide la moglie «non vergine» sono entrambi funzionali al «potere» ma lo sono in maniera diversa. Soprattutto, il primo aggredisce per rimanere vittima, anche se non se ne rende conto, il secondo invece esercita già un potere e difende un suo privilegio autoritario ed esclusivo: la padronanza sulla donna. È chiaro che fra le vittime dei mandanti del capitale è compreso il disoccupato reggino, il Nappa e anche la «moglie». Ma la moglie era già oppressa prima di essere vittima anche del «capitale»; di uno stesso padrone che poteva venderla, punirla, considerarla impura, adultera; poteva prostituirla, prestarla all’ospite e all’amico, ripudiarla, rapirla e tenerla, rapirla e rimandarla al padre, stuprarla, comprarla, barattarla, prenderla, ingravidarla (senza il suo consenso), darla in pasto ai sacerdoti dei templi, darla agli dei per propiziarsi i loro favori, sverginarla, costringerla alla frigidità, mutilarle la clitoride, chiuderla nelle case di tolleranza o tenerla come concubina, amante, serva, coniglia o bambinaia. Egli aveva sul suo corpo potere di vita o di morte come il diritto romano sanciva. Ogni uomo, anche il più ignorante di legge ha sempre conosciuto questo suo potere codificato e qualsiasi modifica della norma ‘< vigente» non è modifica sostanziale al suo potere. Prendiamo ora un quotidiano qualsiasi, (se non ci basta guardare alle nostre storie personali) e seguiamolo con un’ottica nuova. Osservando i «fatti di cronaca» vediamo come le donne siano barbaramente uccise per i motivi più banali dai padri, mariti, figli ed amanti; persino dallo sconosciuto della strada. Eppure chi ne parla? Chi spreca un commento che non sia paternalistico o patetico per questi casi di violenza? Ed i casi sono sempre più numerosi ed assurdi, «l’escalation» del crimine è in aumento anche in questo settore. Purtroppo anche attraverso la cronaca, la condizione della donna e quella dell’uomo appaiono nelle loro diverse realtà. Soffermiamoci, ad esempio, sui cosiddetti delitti passionali e sessuali, sulla loro portata numerica: consideriamo gli artefici e i moventi dei delitti: ritroviamo immediatamente nel rapporto uomo-donna una struttura di potere e non potere: una struttura politica. La donna ruolizzata: madre, moglie, amante, oggetto sessuale, prostituta, paga troppo spesso, persino con la vita un minimo gesto di ribellione e di autonomia. Ad esempio il crimine-Campana è in questo senso molto significativo. Basterebbe il titolo apparso sul Momento Sera (25-26 agosto) a far rabbrividire: «Respinto dalla moglie la strangola mentre il bambino dorme sull’auto». La confessione del marito assassino è molto lucida eppure il giornalista la chiama drammatica: «Quando mia moglie mi ha respinto non ho capito più nulla. Le ho stretto le mani attorno al collo e l’ho uccisa». Ed è lucidissima tutta la sequenza del delitto: dopo averla strozzata l’uomo, non convinto della morte della moglie, (quindi capiva molto bene) le stringe una corda intorno al collo, carica il cadavere sulla cinquecento e, secondo la cronaca: «Incomincia così il lungo viaggio calvario di Antonio». Egli continua a guidare la macchina in cerca di un luogo per nascondere il cadavere. Uno scatolone è troppo piccolo, meglio il Po. La descrizione del «calvario» è così commentata: «Superato il momento di follia, si rende tragicamente conto di quanto mostruoso sia stato il suo gesto di rabbia e comincia a girovagare senza meta». Chi oserebbe commentare in questo modo lo assassinio di un operaio da parte del padrone? Ma non è la stessa cosa, si direbbe. Difatti in un altro giornale il delitto è presentato con la frase: «Uccide per amore». Ma la nostra sessualità, il nostro corpo, le nostre scelte? Nulla conta e ci appartiene. Noi esistiamo per gratificare il nostro «superiore» creato addirittura a immagine e somiglianza di Dio. Abbiamo persino un istituto matrimoniale che attesta il nostro passaggio di proprietà dal padre al marito. Gli uomini di legge si sono adoprati affinché il capo-famiglia fosse, almeno dalla moglie, sempre gratificato, fra le altre cose hanno istituito il «debito coniugale», (di fatto, potendo il marito inadempiente invocare la «impotentia coeundi», il debito tocca soltanto alla moglie). Come poteva la moglie dell’Antonio non pagare il suo debito? Un attimo di piacere maritale vale ben più della vita di una donna. E che cosa importa se la donna non ne ha voglia? Le statistiche dicono che le donne sono in maggioranza frigide, (a parte il discorso di come e da chi vengono fatte queste statistiche): io mi chiedo quanta perversione occorre per provare piacere in «rapporti» simili?
Le donne evidentemente non sono abbastanza perverse per goderne. Ma non devono dirlo, né tirarsi indietro… Non abbiamo scelta. Prendiamo un altro caso. Il Corriere della sera del 6 settembre 73 riporta: «Ragazzo uccide la madre in un momento di rabbia». Anche qui il cervello fa le bizze. Quali le cause? La donna leggeva libri religiosi e «Il ragazzo le avrebbe detto, secondo quanto è dato sapere, di smettere una buona volta di leggere il Vangelo, che non serviva a nulla, piuttosto sbrigasse le faccende domestiche». Il ragazzo diciassettenne è già nel ruolo. La madre, non solo gli ha dato la vita con tutto quello che comporta, ma non lo serve come è dovuto. Lui ha tutti i diritti di esigere dalle donne della casa ogni servizio gratuito alla sua persona: basta essere maschio. A 17 anni il ragazzo di Padova ne è già convinto al punto che uccide la madre a fucilate. Questo dimostra la efficienza della socializzazione patriarcale, che organizza la violenza sulla donna impedendole di uscire, anche momentaneamente, dal suo ruolo subalterno. A volte la violenza è ancora più raffinata in quanto chi la esercita possiede strumenti e informazioni per non farla apparire tale. Allora l’uomo uccide persino con più abilità e scaltrezza utilizzando metodi che non dovrebbero smascherarlo. Chi non ricorda il delitto al curaro del marito-medico bolognese? (E l’uccisione dell’amante incinta da parte di Marino Vulcano? Egli ammise di avere ucciso ma sotto l’effetto di una forte dose di sonniferi). Quanti riescono a farla franca con motivazioni varie o con la complicità dei medici? È risaputo, ad esempio, che molti medici non danno alle mogli che hanno subito maltrattamenti dal marito prognosi superiori a 10 giorni perché allora dovrebbero automaticamente denunciare il marito. Ma andiamo avanti. Il caso Nappa: il marito uccide la sposa perché non la trova «illibata». L’assurdo. Ma siamo nel Sud dove la prassi, ancora diffusa, di rapire e violentare una donna non viene punita se il rapitore decide di sposarla, cioè, se chiede alla «legalità» il permesso di continuare a violentarla. L’uomo del Sud è più che mai pedina dei potenti, lo dimostra persino l’avvocato del Nappa. Un avvocato democratico che si batte per i diritti civili. «Quanto deve aver sofferto il «povero» Nappa prima del delitto e quanto soffrirà in avvenire!» Egli è schiavo della mentalità della gente del Sud, della mistica della virilità, dei motivi d’onore. Intanto il corpo della donna uccisa è violentato, persino cadavere. È stata ordinata l’autopsia di Anna Menna, seviziata in nome della legge per scoprire la «colpa» di un imene più o meno largo. Come se un imene più aperto, fatto normalissimo in molte donne che non hanno avuto rapporti vaginali, fosse motivo di attenuante per un criminale il cui «organo» rimane fiero ed intoccabile. Il Nappa non è una pedina di nessuno. È, come gli altri, nel ruolo di padrone. Esercita un potere diretto — in prima persona —. Chi organizza il potere economico si serve di lui, lo ha calcolato, come ha calcolato la sua vittima. Non potrebbe esistere senza di lui. Ma la gerarchia e l’autoritarismo sono nati in famiglia (come istituzione storicamente costruita) col ventre e l’imene della donna controllati: la sessualità strumentalizzata, la forza lavoro garantita, la prole sottomessa, i valori tradizionali salvi. Il potere è così diviso: al Nappa una «piccola» fetta: il corpo della «sua» donna, a molti altri ancora di più.
La tabella seguente riporta tutti i casi di violenza citati dal Corriere della Sera nel 1972 e vuole essere indicativa del rapporto fra la la violenza maschile e quella femminile a Milano e provincia e nel Nord Italia.
violenza di uomini nei confronti di donne |
violenza di donne nei confronti di uomini |
Milano e Provincia |
Nord Italia |
Milano e Provincia |
Nord Italia |
|
Omicidi |
24 |
31 |
2 |
1 |
Tentati omicidi Ferimenti – Maltrattamenti |
18 |
2 |
– |
2 |
Violenze carnali |
9 |
– |
– |
– |
Sono stati raccolti i dati degli omicidi, tentati ferimenti, maltrattamenti, violenze carnali commesse da: uomini sulle donne e da donne sugli uomini nella città di Roma e provincia, esaminando il quotidiano Paese Sera per il periodo dell’anno 1972. Il dato numerico apparso attraverso la Cronaca di Roma appare quindi abbastanza attendibile, mentre i dati raccolti, sullo stesso quotidiano, dei fatti di violenza commessi in località diverse sono validi solo in quanto, avendo le stesse probabilità di essere riportati, evidenziano comunque il rapporto uomo-donna nella violenza. La totalità del numero dei casi di violenza a livello nazionale non è ovviamente riportata in un unico quotidiano, specialmente ad impronta locale.
uomini sulle donne |
donne sugli uomini |
Delitti e violenze commessi da: |
Roma e Provincia |
Altre località |
Roma e Provincia |
Altre località |
Omicidi |
14 |
37 |
– |
2 |
Tentati omicidi Ferimenti – Maltrattamenti |
12 |
12 |
– |
4 |
Violenze carnali |
10 |
9 |
– |
– |