femmes pour l’europe
un seminario di donne per un’europa diversa
il 7 e 1*8 novembre 1975, si è tenuto a Bruxelles il primo seminario del gruppo femminista «Femmes pour l’Europe». Un centinaio di donne provenienti da quasi tutti i paesi europei hanno cercato di definire insieme l’Europa che esse vogliono e il modo migliore di partecipare alla sua costituzione.
Da circa vent’anni si sta facendo l’Europa, ma la si fa assai male, in balia dei vecchi riflessi nazionalisti, decisamente conservatori. Le sue istituzioni, appena nate, hanno già il fiato corto e sono sclerotiche e burocratizzate, proprio in un momento in cui l’estrema gravità dei problemi politici ed economici richiederebbe reazioni e soluzioni dinamiche.
Subito dopo la seconda guerra mondiale l’Europa apparve come la sola via possibile per garantire il progresso economico e sociale, la consolidazione delle istituzioni democratiche, l’indipendenza dei nostri paesi i quali, divisi, sarebbero ridotti ad un rapporto di vassallaggio rispetto all’una o all’altra superpotenza. Stranamente, e per ragioni diverse in ogni paese, i partiti comunisti e socialisti non si resero conto dell’importanza della posta che era in gioco sebbene alcuni uomini singolarmente o frazioni di partiti si battessero ferocemente per fare l’Europa, la maggior parte di essi vi si oppose, o rifiutò di parteciparvi.
Così, un progetto che, per natura e contenuti, era un progetto della sinistra, fu portato avanti dalle forze moderate. L’Europa progredì, ma, venendole meno l’appoggio massiccio della sinistra, progredì su una via conservatrice. Priva di una vasta piattaforma popolare, è diventata una struttura eminentemente burocratica. Oggi, tuttavia, le cose potrebbero cambiare. I sindacati e alcuni partiti della sinistra (tra cui il PCI) si sono ormai convinti della necessità di condurre una azione concertata a livello europeo per far fronte al capitalismo transnazionale e multinazionale e per scuotere la paralisi delle istituzioni europee attuali: sulla loro scia, la sinistra sta recuperando il terreno perduto. Anche le donne si preoccupano di questa situazione che rende precari i progressi sociali già ottenuti, Oggi i movimenti femministi non possono concepire i loro obiettivi a lungo termine se non in una prospettiva che oltrepassi il quadro ristretto degli Stati. Il diritto al lavoro per esempio non potrà essere assicurato a tutti, uomini e donne, se non attraverso una politica concertata dei paesi della Comunità. E’ per questo che l’Europa deve diventare un terreno di lotta per le femministe che inseriscono i loro obiettivi a breve termine — partecipazione delle donne a tutti i livelli, alle decisioni che concernono la società — in un quadro più generale: la creazione di un’altra società.
Per un’Europa veramente unita e democratica, bisogna dunque battersi all’interno o al di fuori delle strutture? La domanda non può essere posta sotto forma di un’alternativa dato che se è utile che molti gruppi restino al di fuori per denunciare più liberamente il cattivo funzionamento delle istituzioni esistenti, è dall’altra parte impossibile costruire nel vuoto. Si possono criticare le strutture, si può cercare di cambiarle radicalmente, ma non le si può ignorare. È necessario lavorare dunque anche dall’interno delle istituzioni, ma senza essere né utili idioti, né prigionieri. È pertanto importante che le donne entrino nelle istituzioni comunitarie, ma numerose e a tutti i livelli e con l’appoggio critico della base. La politica europea si elabora nelle istituzioni della Comunità, negli organismi professionali e sindacali che fanno pressione su di lei e nei movimenti politici che sul piano nazionale o sul piano internazionale, portano avanti l’idea della unificazione europea. Dappertutto, salvo rarissime eccezioni, le donne sono state escluse dalle decisioni.
Nella amministrazione della Comunità, ritroviamo la ben nota piramide: numerose alla base, le donne diventano sempre più rare man mano che aumenta il grado. Durante il seminario, si è discussa l’efficacia dell’imposizione di una quota di personale femminile. Quota che, beninteso non deve essere interpretata in senso restrittivo: lo scopo è di garantire la presenza di un numero minimo di donne a tutti i livelli della gerarchia. Si può supporre che, una volta raggiunto questo numero, il problema si presenterà sotto un profilo diverso: le donne avranno avuto modo di farsi valere e potranno entrare in concorrenza con gli uomini sulla base delle loro competenze. Per essere efficace, la quota proposta dovrebbe essere raggiunta entro un tempo determinato e contemporaneamente bisognerebbe applicare un controllo efficace sulle assunzioni.
Per quanto riguarda poi le elezioni al Parlamento Europeo, «Femmes pour l’Europe» ha più volte preso posizione a favore del suffragio universale diretto. Ora che il Consiglio ha fissato la data di tale elezione, si è proposta la creazione di un gruppo «ad hoc» i cui compiti sarebbero di partecipare alla preparazione delle elezioni, rendere attento l’elettorato femminile a tale avvenimento, incoraggiare le donne a parteciparvi, come elettrici e come candidate.
Il gruppo potrebbe svolgere la funzione di movimento di pressione, e di appoggio logistico, sostenendo le candidature femminili nei vari partiti nazionali e fornendo quelle informazioni che spesso fanno difetto. «I nostri progetti sono ambiziosi, — dicono le donne che lavorano nel gruppo «Femmes pour l’Europe» — perché vogliamo promuovere la partecipazione delle donne alla costruzione di una Europa nuova e veramente democratica e sappiamo che incontreremo molti ostacoli. Tanto all’interno delle Comunità quanto nella nostra volontà di influenzare la politica europea, ci urteremo con una resistenza più o meno aperta da parte maschile e con la nostra timidezza.
Siamo ormai tutte convinte che non dobbiamo aspettare la nostra liberazione dagli uomini. Le azioni femministe che si articolano nei vari paesi e a diverso livello, li costringono ormai a prestare sempre maggiore attenzione alle nostre rivendicazioni: ora sta a noi giocare».
Naturalmente i dubbi sono molti: in primo luogo, quello di non essere sufficientemente preparate ad assumersi i compiti, le incombenze che rivendicano.
Non sarebbe meglio incominciare in un contesto più limitato e meglio conosciuto, a casa nostra, nel nostro quartiere, nel nostro comune, prima di lanciarci verso gli orizzonti indefiniti dell’Europa?
Forse le donne son state preparate male alla vita professionale, all’attività politica, forse non sono sufficientemente informate.
Ma questo non deve diventare un pretesto per coloro che vogliono mantenerle eternamente nella loro posizione di inferiorità, né per quelle che preferirebbero evitare di affrontare i problemi politici. Le informazioni si trovano e la formazione si acquisisce. Il gruppo «Femmes pour l’Europe» si propone tra l’altro di offrire alle sue aderenti occasioni di formarsi, di
informarsi, di incontrarsi per scambiare esperienze e trovare alleanze. «Abbiamo un certo ritardo da recuperare, rispetto agli uomini che si occupano di Europa da ormai 25 anni, ma non dobbiamo cedere alla nostra timidezza. Riusciremo soltanto se avremo il coraggio di batterci su tutti i fronti contemporaneamente. Non possiamo aspettare di «essere formate» per lanciarci nella politica, perché soltanto facendo politica ci si forma. Sarebbe utopia pensare che delle donne potrebbero formarsi «in abstracto» per delle funzioni che rimarrebbero loro precluse».
Al seminario sono stati presentati e discussi quattro rapporti: le donne e l’Europa: obiettivi a breve e lungo termine; la situazione dèlie donne nella CEE: bilancio e prospettive; quale Europa vogliamo?; i mezzi pratici per promuovere la partecipazione delle donne alla costruzione europea. Chi desidera ricevere questi rapporti può scrivere a «Femmes pour l’Europe» Rue de Toulouse 47 – 1040 Bruxelles.
Chi è interessata ad approfondire questi temi in Italia per l’eventuale creazione di un gruppo, scriva a Daniela Colombo, presso EFFE.