la religione e la donna

febbraio 1976

non posso trattare il problema dei rapporti fra le donne e la religione, le donne e le Chiese, o le donne e questa Chiesa che ha dominato la nostra cultura — cioè la Chiesa di Roma — senza situare questi rapporti nel contesto più ampio della nostra civiltà o della civiltà in generale con i suoi presupposti tecnici, economici e sociali. Se poste al di fuori di quest’ottica non ha alcun senso formulare delle domande sul carattere essenzialmente maschile o femminile della religione. Ripetutamente e senza tregua si analizza: religione-affare-di-donne: intuizione, emotività, ricchezza affettiva, immaginazione delirante, predisposizione alla nevrosi o alla spiritualità, narcisismo, gusto alla vita interiore, un rinchiudersi su se stesso, il tagliarsi dal reale, passività, alterocentrismo, gusto alla sottomissione, debolezza all’intelligenza razionale; incapacità d’interessarsi ai problemi sociali, assenza di superiori. Le caratteristiche femminili si alimenterebbero o rifugerebbero nella simbolica religiosa; per vocazione profonda o per predisposizione alla malafede. Le donne costituiscono, infatti, la clientela più numerosa delle Chiese, ma a titolo passivo, i dirigenti sono maschi. Anche le sacerdotesse più prestigiose e dinamiche, Teresa d’Avi-. la, ad esempio, sono state sottomesse alla gerarchia maschile. Anche gli uomini vi erano sottomessi, è vero, ma avevano la possibilità di appartener-vici o di esercitare il loro potere altrove. Per le donne nessun «altrove», nessuna scelta fra «rosso» e il «nero». L’unico universo delle donne: i doveri familiari, la tentazione all’amore o la ricerca della spiritualità. Nella letteratura del XIX secolo pullulano i ritratti delle donne spezzate tra l’amante e il confessore, incapaci di decidere da loro fra un uomo che le «possiede» e delle regole che non hanno inventato loro. Le Matilde da Mole sono le uniche a scampare a questa dialettica senza via d’uscita. Partecipando al potere della classe dominante, esse osano mettersi al di sopra delle regole che questa stessa classe ha contribuito ad elaborare, fino al punto che questa loro rivolta a volte sfocia in pazzia o in suicidio. Le altre donne, l’immensa massa delle contadine e ancor più delle borghesi, trovano nella religione un esulorio, nella Chiesa un luogo dove esercitare legittimamente una attività sociale dove intrecciare dei rapporti umani, dove esercitare un certo potere, dove infine — se non altro — intraprendere un’avventura personale: l’approfondimento di una spiritualità. (Le operaie si intende hanno altre cose da fare!). Ma paradossalmente esse vi trovano anche il riflesso sublimato della loro dipendenza. L’immagine ideale della Vergine suggerisce la totale passività e ne propone il modello a tutti i cattolici, uomini e donne, ma un po’ meno agli uomini perché la loro disponibilità interiore è compatibile con le altre attività e con l’affermazione di se stessi. La religiosità non corrisponde affatto a qualche essenza femminile. In realtà tutto si è svolto come se l’inferiorità economica e sociale della donna avesse avuto bisogno di essere giustificata e sacralizzata dalla metafisica predominante. Infatti la borghesia vol-teriana del XIX secolo e talvolta anche del XX secolo, è arrivata al punto di affidare l’educazione delle ragazze alle istituzioni religiose. Gli uomini andavano alla Loggia. Le loro donne andavano alla messa. Il sistema vi trovava il suo tornaconto. Isolate, relegate, all’oscuro di tutto, all’interno e fuori della Chiesa, le madri impregnavano i loro bambini di schemi tradizionali e statici. Un meccanismo conservatore ammirevole! Mentre gli uomini si muovevano, si liberavano le donne frenavano questo processo. Ad ogni generazione tutto era da rincominciare. In alcuni framassoni nacque l’idea che senza l’emancipazione della donna non si sarebbe mai ottenuta quella degli uomini. Così gli uomini (e solo loro) crearono un ordine massonico misto dove uomini e donne lavoravano sullo stesso piano di uguaglianza, (il Diritto Umano) dove maneggiavano gli stessi simboli, utilizzavano lo stesso rituale, trattavano gli stessi soggetti. La religione affare di uomini?

L’uguaglianza porterà ad una nuova mistificazione?

Sta alle donne rifiutare in blocco e con disprezzo la partecipazione alle attività tipicamente maschili, Fallo-crazia, raziocinio, dominazione, polluzione, religione sarebbero un tutt’uno. Per quel che riguarda la religione, la donna dovrebbe inventarsi la sua, o meglio, distruggerle tutte, non con gli uomini, ma contro di essi. La religione costituisce un progetto per essenza maschile. Non solo lo stereotipo la religione-affare-di-donna non si baserebbe su alcun fondamento, ma -ne proporrebbe un’altro: la religione-affare di uomini. Il maschio avrebbe bisogno di miti per calmare-la sua paura della vita, bisogno di occhiali simbolici per non vedere le cose così come sono, bisogno di concetti statici per arginare il flusso, bisogno di gerarchie per dominare la sua paura della libertà. Visto la sua incompetenza ad entrare in relazione con chi che sia, scrive Valérle Solanas, l’uomo, la cui vita è priva di senso (l’ultima parola del pensiero maschile è che il mondo è assurdo), ha dovuto inventare la filosofia e la religione.

La donna sarebbe adesione alla vita immediata (così come la descrive la scienza) liberazione dei flussi, spontaneità pura. La donna sarebbe religiosa solo nella misura in cui si castrasse o si compiacesse nella sottomissione all’ordine voluto dall’uomo, rinunciando così alla sua propria parola, essenzialmente areligiosa. La religione, così come la conosciamo, sta nelle mani degli uomini, come la scienza, come il potere, come la vita. Esempio ben conosciuto: in nome della religione, degli uomini celibi decidono se la donna può o non può abortire. Non è facile prendere la distanza necessaria nei confronti di una civiltà che domina i tempi storici e ci sommerge da tutte le parti. La sopravvivenza di un culto indirizzato a delle dee o a delle forze femminili (in India ad esempio) non permette di arrivare alla valorizzazione delle donne, perché esse vivono in questa società, e comunque neppure nel passato si era realizzato ciò, il matriarcato edenico non è che un mito in più.

La civiltà che a poco a poco ha creato la tecnologia più avanzata che esista e che si è tagliata fuori dalla natura (non senza danni!) al punto da suscitare nei giovani la nostalgia di una spontaneità persa. Civiltà dell’agire, direbbe AUan Watts, opposta a quella del lasciarsi essere. Civiltà dove l’azione è sentita come distruttrice e creatrice, il soggetto il maschio adulto e il resto, trattato da oggetto. Penso che esista un legame non arbitrario tra questo tipo di società e la simbolica quasi esclusivamente fallica che essa ha utilizzato e che ha fatto della donna una «mancanza» perpetua, quella-che-non-ha. Altre società hanno accordato all’utero un valore simbolico positivo. A delle strutture socio-economiche forse più arcaiche sembrano corrispondere delle simbolizzazioni meno falliche, più materiali o uterine. Ci sono delle società che pensano che solo la donna generi, il ruolo del maschio sembra sconosciuto.

Ci sono delle società, così dette arcaiche, dove le piccolissime bambine gonfiano la pancia per far credere di essere gravide. Non si sentono per niente castrate e sono fiere del loro sesso. In altre società, le mestruazioni, invece di essere impure, sono soggette di mana e dove la ragazza nubile tocca gli oggetti della capanna e i personaggi della tribù per comunicare loro la sua forza.

Ci sono nella Bibbia accenni a società preistoriche dove la forza femminile costituiva un mistero così attivo che gli uomini preferivano sposare una donna sverginata. Ci sono delle società dove solo le donne coltivavano la terra, lasciata nelle loro mani la semenza sarà feconda. Ci sono delle società dove la scrittura viene trasmessa dalle donne, per la loro saggezza e dove solo le donne possiedono l’arte di costruire una tenda. Agli uomini la guerra, il saccheggio, la caccia, il gioco. Ci sono delle società dove le donne si organizzano in gruppi segreti per trasmettere i loro metodi artigianali e dei riti che sono esclusivamente loro. Ci sono dei culti di cui le radici si affondano nella preistoria e di cui le donne sono state le uniche sacerdodesse. Ci sono i miti femminili e delle dee madri. Demetra trattava da pari a pari con gli dei del Cielo e quello degli Inferi. Le bastava interrompere la germinazione per far si che gli dei, minacciati di morte, le ridessero la figlia.

Perché ci sono delle religioni dove la donna ha un ruolo passivo o negativo? Lo sviluppo delle diverse tecniche implicava inevitabilmente la lotta contro la natura e di conseguenza la sua dissacrazione. Alla raccolta o alla cultura dei semi-nomadi, praticata dalle donne, è seguita l’agricoltura dei sedentari. Si è dovuto profanare, dissacrare la natura e ritenere sacro il cielo greco delle dee filosofiche o il cielo semita del Dio degli eserciti. L’uomo finalmente era a suo agio in un mondo profano. Poteva possedere la terra come oggetto e inseminarla. Poteva nello stesso modo possedere la donna, puro ricettacolo del seme maschile, e la donna non ebbe più parte alla generazione. Fu castrata, solo il fallo crea. Per giustificarsi dell’omicidio di Cliten-nestra, Oreste nega che ha commesso un parricidio, sua madre non lo ha generato non ha fatto altro che portare il seme del padre. Si è dovuto aspettare fino al XIX secolo per riconoscere il ruolo genetico della donna, grazie alla scienza questa volta. Per assicurarsi la raccolta di quello che aveva seminato, l’uomo cominciò a recintare la terra e a difenderla con la forza. Per assicurare che i suoi figli ereditassero il suo pezzo di terra, l’uomo cercò la donna vergine e di preferenza nella sua famiglia. La rinchiuse sotto la tenda come Sara, nel gineceo come Santippe, nel suo harem come Habiba.

L’uomo non ebbe più paura della potenza nascosta di sua moglie, ma aveva semplicemente paura che la sua proprietà gli sfuggisse.

Il ruolo della donna? Non la produzione, ma la riproduzione. Ci vogliono dei figli per coltivare la terra, ci vogliono dei soldati per difenderla tanti quanti i granelli di sabbia del deserto. La sessualità? Lo strumento di questa riproduzione. Il piacere? Possibile per l’uomo che può inseminare più donne; pericoloso per la donna che può raccogliere il seme di un estraneo e questo può essere sorgente di disordine. La donna adultera sarà lapidata. L’amore? Spesso mal visto; Pericle che volle vivere con la donna che amava ne seppe qualcosa.

Per assicurare l’ordine ci vuole un capo. Alla dissacrazione della terra prese posto la sacralizzazione della potenza sociale. L’uomo soggetto di fronte a un mondo di oggetti (di cui la donna, è vero, è il più prezioso) organizza il potere, garantito da quello del Cielo, il dio degli eserciti. I Greci conservano i loro dei e le loro dee, pallidi, scoloriti, poco credibili. La logos della filosofia e della scienza succede loro. In passato la donna era la sacerdotessa delle forze dell’universo, ora è spogliata dai suoi sortilegi. Le rimane un unico potere: quello che esercita sul sesso dell’uomo. In questo rimane temibile. È la sorgente del disordine e del peccato. Le sue perdite di sangue sono strane, sono impure. Se mal sottomessa, la donna si dà a dei culti personali, estranei, eretici. Diventa strega, o considerata come tale dal momento in cui pretende d’affermarsi. La sua parola è inquietante gliela si deve togliere. Non prenderà più parte al culto, salvo a titolo passivo. Dalla presa di coscienza di questo dato di fatto è nata l’idea, esposta precedentemente, che ogni religione istituzionalizzata costituisce essenzialmente un progetto maschile.

Rapporti dialettici tra le religioni e le società

È la religione che sminuisce le donne o è questa religione? È la parola di Dio e del filosofo che ha dominato la nostra civiltà o è la civiltà che ha formato col passare del tempo gli strumenti concettuali di cui aveva bisogno per affermare la sua potenza? L’uomo è un prodotto della natura, ma ha dovuto lottare contro di essa per sopravvivere. La necessità economica lo ha portato a profanarla. La dissacrazione della natura ha liberato la sua attività tecnica. Per giustificarsi l’uomo ha creato o ricreato Dio a sua immagine, creatore separato dalla sua opera, maestro della legge. Prigioniera di maternità successive, la donna non ha potuto andare di pari passo, non ha potuto astrarsi sufficientemente dalla vita quotidiana per prendere parte attiva all’invenzione. È rimasta emarginata. E il sistema ha infierito su di lei. Le religioni non sono le uniche ad aver imposto l’inferiorità della donna; la sovrastruttura consacra i rapporti di forza fra gli uomini e la natura, i rapporti di forza fra gli uomini stessi. Da una parte la proclamazione della uguaglianza quasi metafisica degli uomini e delle donne ha potuto in certe epoche della storia, servire di punto d’appoggio a delle rivendicazioni femministe.

È successo che il puritanesimo stesso abbia contribuito alla destrumentalizzazione della donna. Il femminismo anglosassone, per esempio, è stato influenzato dalle sette protestanti rigide. Oggi l’emancipazione della donna cinese si accompagna ad un puritanesimo sessuale che sorprende la sinistra occidentale. In un primo momento in effetti la donna rifiuta il suo corpo a chi vuole servirsene come di uno strumento. È soltanto in un secondo momento che rivendica il diritto di servirsene lei stessa secondo il suo desiderio.

La tradizione cristiana ha consacrato il rinchiudersi della donna nel suo sesso. Secondo il detto ben conosciuto Tota mulier in utero, la donna è tutta un utero. Nello stesso tempo colpevolizzava questo stesso sesso, sorgente di peccato. Tramite sapienti metodi le donne sono state a lungo condizionate, generazione dopo generazione, a tal punto da essere sottomesse a quest’esigenza contraddittoria: essere solo sesso, e non averne.

Sorta in un’epoca di crisi, l’immagine di Gesù, così come appare nei Vangeli, avrebbe potuto essere rivoluzionaria. Sembra anche che egli avesse avuto una fiducia nelle donne poco accettata negli ambienti tradizionali. Ma Gesù contestatario è stato recuperato dalla nuova Chiesa come il vero Figlio del vero Padrone. Così tutto entrava nell’ordine. L’apparente contestazione di questo straccione andava a vantaggio dell’istituzione clericale e dell’ordine sociale. La fede in un Dio unico, trascendente e sorgente di potenza ha potuto giustificare in seguito la sacralizzazione di ogni potere unificato tramite violenza che pretende di venir fuori dalla Legge divina e scendere dalla cima della divina piramide fino alla sua base, cioè fin sopra le donne.

Che le donne siano sottomesse al marito come al Signore, perché il marito è il capo della Chiesa, lui, il Salvatore del del Corpo! Visto che la Chiesa viene sottomessa al Cristo, anche le donne devono essere sottomesse ai loro mariti. Se la sacralizzazione è riuscita ne risulta un consenso, un’interiorizzazione, un’autorepressione. Le vittime sono i loro stessi boia. Che economia! Il sistema ben oliato funziona da sé. Proudhon non ha, voluto che la donna approfittasse dei benefici dell’ateismo, vedeva nel femminismo un’abbomina-zione e nelle femministe delle scimmie. Per mostrare la complessità delle cose, ricordiamo che certe persone si sono servite dell’idea di Dio — del dio, presenza interiore o meta d’aspirazione — per lottare contro il potere, quel che sia. Sacralità contro sacralità. Ogni ideologia, cioè ogni sistema concettuale elaborato per giustificare un modo di vita e di impegno, finisce con l’immobilizzarsi. Questo processo di cristallizzazione non è solamente tipico delle Chiese, ma lo si ritrova nei partiti e anche nei diversi gruppi filosofici. È dovuto sia all’inerzia delle persone stesse, sia agli apparati dirigenti che trovano questo immobilismo favorevole al loro stesso mantenimento del potere. Questo conservatorismo ideologico è in se stesso sfavorevole alla donna, visto che mantiene fatalmente gli steriotipi più arcaici. Ma le Chiese conferiscono loro un peso particolare. È forse tramite il senso del sacro che le Chiese pesano più sottilmente sulle coscienze? Non credo che il senso del sacro, così com’è, sia necessariamente conservatore. Ancora una volta tutto dipende dal contenuto che gli si dà. I rivoluzionari sono stati spesso delle specie di mistici, affermazione che qui non posso discutere ne precisare. Ciò su cui voglio porre l’accento è che le Chiese codificando il sacro, ne hanno fatto uno strumento di potenza.

Grazie ad una deviazione e a una monopolizzazione è possibile mantenere nel XX secolo un’ideologia invecchiata e immobile e imporla a tutti, anche a coloro che non hanno la fede, come se fosse l’espressione di una parola eterna. Ecco il meccanismo di un’alienazione profonda, ecco cosa giustifica l’anticlericalismo e gli dà quel suo tono passionale.

L’emancipazione delle donne, la società

Perché le donne oggi riescono nonostante tutto a prendere la parola di qui e di la? L’indebolimento della Chiesa ne è forse il fattore principale? È senza dubbio un fattore importante. Nonostante Paolo VI sia intervenuto sulla scena politica francese alla vigilia delle votazioni all’Assemblea Nazionale, condannando l’aborto ancora una volta, la depenalizzazione è stata acquisita. Se il Vaticano avesse avuto lo stesso potere di prima, non sarebbe successo. In Belgio, dove la Chiesa rimane più potente, la legge non è modificata. Il comportamento tecnico e reificante che aveva desacralizzato la natura si è esteso alla cultura. L’universo urbano nel quale vive la maggior parte delle persone è un universo di cui non si può più nemmeno dire che sia profano. Lo uomo ha preso se stesso come oggetto. Non c’è più soggetto opposto agli oggetti. Soltanto degli oggetti, o se si preferisce l’uomo è unidimensionale. Anche le ideologie del gran cammino in avanti cominciano a deperire. I partiti arrancano. La rivoluzione ha le sue istituzioni e i suoi riti pietrificati, non ci si crede più allo stesso modo, né con la stessa ingenuità, non ci si crede più nelle gerarchie, anche se si subiscono, sotto forma burocratica. Non si crede più a Babbo Natale. Né al Padre. Nemmeno nel padre dei popoli. Anche le donne adottano un atteggiamento tecnico. Delle donne che forse Valérie Solanas chiamerebbe le donne-uomini. Perché? Dal momento che i progressi della medicina hanno portato ad un’esplosione demografica inquietante, le persone intelligenti non invitano più i giovani a far molti figli. Elaborano altre tecniche così dette contraccettive. Liberate da maternità ripetute, le donne ritrovano un’energia disponibile che i tecnocrati cercano di investire nel circuito economico per equilibrare il mercato del lavoro. Sotto la pressione dei fatti stessi, le Chiese accetteranno finalmente un certo femminismo. Le istituzioni si accontenteranno di seguire il potere dell’invenzione, del cambiamento. È dunque contro la loro inerzia che ci dobbiamo inventare.

Creazione di nuove relazioni umane e di una nuova simbolizzazione

L’obbiettività non consisterebbe più nel ridurre l’altro allo stato di oggetto. L’obbiettività sarebbe l’attenzione più rigorosa, più enfatica alla soggettività dell’altro. Quello che prima Laing accettava di chiamare l’antipsichiatria potrebbe diventare tutta la psichiatria, potrebbe uscire fuori dalla psichiatria e cambiare i nostri rapporti quotidiani con gli altri.

Quello che non ci tappa le orecchie, quello che ci spodesta, quello che ci rinchiude e ci imprigiona, quello che ci soffoca e che ci innorridisce, sono i sistemi unitari. Che siano metafisici o tecnologici, che organizzino l’azione o il pensiero, tutti sono frutto della potenza.

«All’inizio era…» «…non vi resta che ripetere…» «…niente da inventare…» «…ora non c’è inizio…» No, ce ne sono tanti. Ce n’è uno ogni istante. Tocca a noi afferrarlo. Tocca a noi servircene, senza mai lasciarsi asservire. Tocca a noi cambiare, creare qualcosa insieme, qualcosa di mobile, di aperto in ogni senso, qualcosa che sorga da noi. Da noi, dagli Io. Al di la degli Io. Dell’inconscio, del vivo dell’inorganico; lo sprizzare di una saggezza molteplice. Sacralità scoppiata nella profanità pura. È innanzitutto dalle servitù economiche e sociali che le donne e gli uomini si devono liberare.

Dall’articolo «La religion et la fem-me» di Marthe Van De Meulebroeke apparso su «Le carrier du Grif» N° 8 Settembre ,1975.