DOSSIER
parto: quali problemi quali metodi. Curiosità superstizioni storia
il parto è come l’amore…è così delicato e sottile e se c’è qualcosa che lo interrompe tutto finisce (Leboyer)
La maternità è stato un tema ricorrente nei dibattiti che hanno coinvolto le donne già durante l’ondata emancipazionista dell’ultimo dopoguerra: sacrificio rivalutato per le sue implicazioni sociali e valore secondo una terminologia più laica, la maternità ha comunque fatto i conti con le trasformazioni economiche e di costume degli ultimi decenni. Ha alimentato alcune illusioni riformatrici al tempo del centro-sinistra, nei primi anni sessanta, quando nell’Italia reale delle autostrade e delle seconde case si progettava una rete utopistica di servizi primari efficienti: asili nido, scuole materne, ecc. É stato poi il grande tema rimosso del neofemminismo negli anni settanta, essendo la sessualità e l’aborto diritti da affermare con forza in un paese ancora afflitto da moralismo e clericalismo. Oggi se ne riparla sommessamente o con fragore momentaneo quando scoppia un “caso” per carenze degli ospedali (pochi posti letto, sporcizia, mancanza di assistenza adeguata) o vampirismo delle cliniche private che fanno pagare salato un mediocre standard di servizi. Il fatto è che ci avviamo a diventare una società “senile”, nel duemila avremo ben venti milioni di pensionati, le coppie giovani tendono poco a procreare, un figlio tutt’al più e se non possono averlo lo adottano magari brasiliano o vietnamita. Del resto si sa il mondo è sovrapopolato il tema d’attualità non è più neanche tanto l’inseminazione artificiale — che apre problemi sul versante dei diritti civili per le madri lesbiche ad esempio — ma la clonazione, ossia la capacità di procreare con l’aiuto dell’ingegneria genetica esseri uguali e programmati, alterando il Dna, l’unità biochimica della materia vivente che permette la trasmissione ereditaria nel codice genetico evolutivo a tutte le specie. E un grosso problema che non a caso suscita tanto scalpore in un momento politico di crisi-trasformazione delle istituzioni all’interno delle democrazie occidentali: se ci si avviasse verso società autoritarie, queste avrebbero il supporto scientifico della biochimica genetica per regolare il consenso. La maternità anche in questi tempi di femminismo autocritico non ha avuto alcun revival: è diventata, meno ideologicamente e più realisticamente, il parto.
Si pubblicano manuali di preparazione psicofisica al parto, si discute dell’opportunità di un parto attivo, partecipato, “naturale” per garantire la serenità dei nascituri e l’equilibrio della madre: la donna sta in movimento fino all’ultimo istante, il dolore del travaglio è attenuato dalla respirazione regolata, il bambino o la bambina appena nati vengono posti sul corpo nudo della madre senza rescindere il cordone ombelicale, dopo essere stati immersi in una vasca d’acqua tiepida che simula il liquido amniotico. “Un’esperienza di sorprendente bellezza e sensualità” ha dichiarato una madre inglese a una redattrice del Sunday Times, che un mese fa ha condotto un’inchiesta sui metodi del parto. Ma alcuni non sembrano convinti della bontà del metodo naturale e propendono per quello ad alta tecnologia più adatto ad un’era che ha fatto della rivoluzione tecnologica il suo simbolo: uso del monitor per la registrazione dei battiti del nascituro, rottura artificiale del sacco amniotico con elettrodi, anestesia epidurale che consiste nel blocco degli arti inferiori ottenuto infilando un ago direttamente nel midollo spinale.
In Italia l’anestesia epidurale la praticano in pochissimi e solo su esplicita richiesta della partoriente, perché non esiste una scuola medica esperta, ma negli Stati Uniti è frequentissima e in Inghilterra ha il suo centro nel St Mary’s Hospital di Manchester, vera e propria cittadella specializzata del parto ad alta tecnologia. In Italia il metodo tecnologico è stato adattato alla situazione ospedaliera notoriamente carente e alle conoscenze mediche preesistenti: si ottengono con sollecitazione chimica sia l’anestesia parziale che la rottura delle acque. Il metodo naturale, noto anche come metodo Leboyer, è praticato nel piccolo ospedale civile di Monticelli d’Ongina in provincia di Piacenza, dove dal 74 in condizioni particolarissime l’equipe del prof. Braibanti ha potuto condurre un’esperienza di parto-nascita senza violenza. Da qualche tempo, paesi come l’Olanda hanno affrontato il problema del parto con il ritorno al vecchio metodo del parto in casa, per le gravidanze a decorso normale, con l’assistenza domiciliare del medico o dell’ostetrica: questo permette di risparmiare sui costi di ospedalizzazione e contemporaneamente evita che le partorienti si trasformino in “malate”, condizione che il ricovero ospedaliero crea artificialmente imponendo il rito della spoliazione, dell’attesa a letto, il trauma della sala parto ecc. È difficile sostenere scientificamente la superiorità del metodo tecnologico su quello naturale: le argomentazioni valide stanno da una parte e dall’altra, come le testimonianze raccolte dal Sunday Times dimostrano e in definitiva sono le donne a dover decidere il metodo per loro più giusto. Oggi le donne hanno recuperato una soggettività da sempre negata, hanno la forza di imporre una loro carta dei diritti sulla questione del parto Dei vari metodi per affrontare il parto e la nascita riferiremo diffusamente nella seconda parte di questo dossier. Nella prima, oltre a informare sui progetti scaturiti dalla discussione delle donne tracciamo un breve excursus sulla storia del parto. In età antiche legate a una concezione magico-empiristica dell’universo, il parto sta al centro di rituali e miti, ingiunzioni, divieti e tabù. L’antropologa Margaret Mead ricorda come in molte società primitive fosse diffusa ancora in tempi recenti l’idea che il bambino potesse salire fino al petto della madre soffocandola; si temeva probabilmente che il bambino esplodesse fuori dal grembo materno, durante quei travagli lunghi e difficili che si concludevano con la rottura
dell’utero e la morte del piccolo e della madre. Alcuni tabù come quello mestruale, legato all’impurità della donna mestruata e della puerpera, passarono direttamente dai riti tribali nell’organizzazione della vita delle società cosiddette evolute di derivazione giudaico-cristiana. Particolarmente in conseguenza di questo tabù i parti furono territorio esclusivamente femminile fino al milleseicento, quando l’organizzazione medica tolse alle levatrici ogni diritto d’intervento.
Fino a quel periodo il medico si riservava d’intervenire solo per praticare la “versione podalica” ossia per aiutare la partoriente quando il feto si presentava in posizione rovesciata, dalla parte dei piedi. Ma parlare di aiuto è improprio, se si considerano i metodi di inaudita violenza praticati dai medici durante il parto. Per molti secoli infatti si utilizzarono degli uncini per estrarre il feto in pezzi, dopo aver praticato l’embriotomia, la craniotomia e l’amputazione degli arti, quando il parto si presentava difficile ossia, secondo le conoscenze mediche fino almeno al II sec. Avanti Cristo, quando il parto non era né cefalico né podalico. In questi casi si interveniva anche con taglio cesareo su donna ancora viva, senza anestesia, ma di solito la madre non sopravviveva. Ma i casi cosiddetti normali erano altrettanto truculenti. Celebre è la “successione ippocratica” teorizzata dal celebre medico dell’antica Grecia Ippocrate (IV sec. a.C), che consisteva nello scuotimento della partoriente legata a un tavolo di legno per aiutare l’espulsione del feto. Molte donne morivano senza avere partorito per rottura dell’utero. Con Sorano di Efeso, medico vissuto nel II sec. a.C, furono considerati possibili quindi affrontabili, pur se con particolare cautela, i parti non cefalici né podalici. Sorano nella sua qualità di medico non poteva assistere ai parti normali, che egli invece descrisse minutamente nel suo trattato di ostetricia, evidentemente sulla base di cognizioni a lui fornite dalle levatrici del tempo.
Il parto continuò ad essere affidato alle levatrici per tutto il medioevo ma fu argomento di studi accademici (anche se sulla base di conoscenze e pratiche assunte attraverso la testimonianza orale delle levatrici) nella celebre scuola di Salerno, a cui apparteneva Trotula di Ruggiero la più nota delle medichesse di quell’area geografica e di quel tempo (XI sec). Alle levatrici controllate dalla chiesa cattolica era fatto obbligo di amministrare il battesimo; esistevano allo scopo dei tubi battesimali intrauterini.
Tra il Cinque e il Seicento l’Europa fu attraversata dalla caccia alle streghe; molte di queste furono guaritrici popolari e levatrici, condannate per eresia dalla chiesa e rapidamente liquidate in concomitanza con l’ascesa di un’elite medica nell’organizzazione dei nuovi stati moderni. Ben presto alla figura della levatrice ) catechizzata ed usata solo come assistente del medico si sostituì la figura dell’ostetrico o chirurgo ostetrico, inventore del forcipe di ferro. Qualche sprazzo di notorietà e di prestigio le levatrici l’ebbero in Francia ancora nella prima metà del Seicento, grazie all’attività di Luise Bourgeois, donna di notevole statura professionale, che esercitò sia a corte che all’Hotel Dieu, ospedale pubblico di Parigi, dove insegnò ostetricia ai chirurghi e curò la preaparazione professionale delle levatrici. Scrisse tre manuali di ostetricia, che circolarono ampiamente nel tempo; ma il suo prestigio fu appannato negli ultimi tempi dalla morte per infezione della duchessa d’Orleans, da lei assistita, qualche giorno dopo il parto. L’ostetricia divenne disciplina d’insegnamento accademico nella seconda metà dell’Ottocento, prima essendo considerata del tutto inutile a questi scopi, non professionale nei metodi e grossolanamente offensiva. Il primo fenomeno che si registrò, dopo il passaggio dell’ostetricia da mani femminili in quelli dei medici fu ì l’aumento della febbre puerperale, legata alle pessime condizioni igieniche degli ospedali, dove di fatto partorivano le donne meno abbienti. Ma nel 1861 I.P. Semmelweis, medico viennese, dimostrò dopo lunghi anni di polemiche quale fosse la vera causa della febbre puerperale: il contagio provocato dalle particelle cadaveriche, trasportate dalle mani dei medici dalla sala di dissezione alle corsie della maternità. Egli convinse a fati; ca i colleghi della veridicità della sua scoperta e faticò non poco a persuaderli che era necessario lavassero le mani con il cloruro di calcio prima di assistere a un parto. Con la cessazione della febbre puerperale, che aveva ucciso per duecento anni migliaia di donne, cominciava l’era del parto sterilizzato, anestetizzato e tecnologico