cinema

tempi di piombo, anni al buio

la storia della regista peggy lawson scomparsa di recente, raccontata dal marito, leo hurwitz, che le ha dedicato un film dopo anni di piombo il gioco mutevole dei ruoli femminili nel nuovo film di margarethe von trotta

marzo 1982

Certo i tempi sono sempre bui e difficilmente una generazione trova situazioni meno complicate e pericolose di una guerra, una grande depressione economica, e comunque una qualche» certa o eventuale sciagura collettiva.
Eppure i “Tempi di piombo” di Margarethe Von Trotta ha una forza inesauribile di far riflettere sul presente mostrando quel filo invisibile ma saldo e tenace che ci lega costantemente al nostro passato: basta un gesto dell’infanzia ed ecco il gioco della memoria e il viaggio che inizia.
“Una persona — ricordava Italo Calvino a proposito della vittoria del film a Venezia — è un diamante durissimo, difficilmente penetrabile se non da rigore e realtà”.
Così l’anteprima italiana dei “Tempi di piombo” si è svolta a Roma in una Sala del Parlamento gremita di deputati e giornalisti giustamente fascinati e silenziosi e ha suscitato un lungo dibattito.
perché questo film impone con semplicità e autorevolezza una riflessione difficile su quanto è accaduto negli ultimi anni e analizza attraverso la storia parallela delle due sorelle e delle loro diverse scelte (il femminismo e il terrorismo) la divaricazione nelle due solite anime di un movimento che voleva all’inizio, compatto, tutto e subito.
Cadono per la prima volta le censure e il silenzio di una generazione che può così rivedere sullo schermo, dialettizzate, quelle complesse ragioni di rivolta esistenziali e politiche che Juliane e Marianne si urlano contro nel furibondo corpo a corpo che le impegna sempre non appena si trovano l’una di fronte all’altra.
Ma “quelle ragioni” e “quella rivolta” appartengono agli anni ’60. sono datate e circoscrivibili a un’epoca storica e solo il fuoco vivo dei sentimenti costringe a superare la paura e la rimozione, scava nella nostra coscienza e traccia un itinerario che attraversa anima e corpo.
Poi. è vero, come alcuni hanno scritto, che il film ha qualche rara caduta in toni troppo melodrammatici e che le figure maschili sono un po’ nebbiose, rigide, talvolta risibili.
Lei, Margarethe. è anche molto contenta di fare film da donna e di identificare il proprio punto di vista con quello di Juliane, la sorella femminista puntigliosamente impegnata a interrogare il proprio tempo,
Di questo tempo forse le donne interpretano meglio degli uomini la continuità col passato e insieme la necessità del cambiamento.

 

le sorelle
Quando è stato chiesto a Margarethe Von Trotta quali sono i modelli letterari che l’hanno influenzata ha risposto: “La tragedia greca, a scuola ne leggevamo tanta, non potevamo occuparci della vita che ci scorreva accanto, ma leggevamo i greci e credo che qualcosa sia rimasto”.
Questa sua limpidezza, questa capacità di mettere in scena come centrali quei rapporti che costituiscono il tessuto dell’esistenza di una donna hanno indubbiamente cadenze classiche per profondità e spessore. Quando le hanno chiesto: “perché nei tuoi film tanto interesse ai rapporti fra le donne?” Assai poco ideologicamente ha risposto: “perché esistono”. Il linguaggio di Margarethe Von Trotta testimonia questa esistenza, non è il luogo della follia, del vuoto, della narrazione interrotta. Le sue immagini hanno contorni netti, precisi. I volti che sceglie, come quello di Jutta Lampe (che anche di “Sorelle” è interprete) sono bergmaniani, si stagliano al centro di una storia, al centro dello schermo e impongono la loro vicenda interiore. Maria ed Anna sono ancora una volta due sorelle ed il gioco mutevole dei ruoli, quanto più tra di loro sembra chiaramente delineato, tanto più rapidamente si sconvolge. Maria è vincente, sicura di sé. emancipata. Anna studia biologia grazie all’aiuto della sorella dalla quale dipende economicamente e psicologicamente. Poi. in realtà si scopre che è Anna, in tutta la sua fragilità, in tutta la sua epidermica e drammatica sensibilità a guidare il gioco, ad essere per Maria l’ancoraggio e il riferimento, il senso stesso della vita. Poi di nuovo, nulla corrisponde ad uno schema prefissato perché dipendenza e forza, amore e insofferenza sono termini complementari e dai confini labili. L’infanzia spiega qualcosa e con l’inquadratura di un bosco ricorre una lettura infantile: “…E poi giunsero ad un bosco profondo profondo. Dentro era buio, così tremendamente buio che ben presto non riuscirono più a vedere la mano, neppure davanti agli occhi”. Per inoltrarsi nel bosco e non aver paura è necessario trovare un equilibrio prendendosi per mano. Quando quest’equilibrio si spezza anche la vita può interrompersi ed è così per Anna che si suicida con un gesto che è ricatto ed estrema testimonianza di amore insieme. Maria in un condanna all’iterazione che sembra senza fine cercherà di rivivere lo stesso rapporto che aveva con la sorella attraverso Miriam che spingerà a studiare l’inglese e a cui offrirà ospitalità nella propria casa. Miriam però spezzerà il cerchio prima che si chiuda e questa volta Anna sarà morta davvero.

 

Filmografia di Margarethe Von Trotta
È co-regista nel 1975 insieme a Schlóndorff di “Die Verlorene Ehre der Katharina Blum” (Il caso Katharina Blum) tratto dall’omonimo romanzo di Heinrich Boll.
1978 “Das Zweite Erwachen der Christa Klages” (Il secondo risveglio di Christa Klages).
Produzione: Bios.cop Film (Mùnich) Westdeutscher Rundfunlt (WDR) (Kóln).
Regia: M. Von Trotta. Soggetto/sceneggiatura: M. Von Trotta. Luisa Francia.
Fotografia (Eastmancolor): Franz Rath. scenografia: Thomas Ludi, costumi: Gerlinde Gies. musica: Klaus Doldinger. suono: Vladimir Vizner. montaggio: Annette Dorn. Interpreti: Tina Engel (Christa). Silvia Reize (Ingrid). Katharina Thalbach (Lena). Marius Mùller-Westernhagen (Werner). Peter Scheneider Durata: 92′
1979 “Schwestern oder die Balance des Glucks” (Sorelle o l’equilibrio della felicità).
Produzione: Biostop Film-WDR.

Regia/soggetto/sceneggiatura: M. Von Trotta (in collaborazione con Luisa Francia. Martje Grohmann. Jutta Lampe).
Fotografia (Eastmancolor): Franz Rath. scenografia: Winfried Hennig. costumi: Ingrid Zore. musica: Konstantin Wec cer. suono: Vladimir Vizner. Stanislav Litera. montaggio: Annette Dorn. aiuto regista: Heleiìca Hummel.
Interpreti: Jutta Lampe. Gudrun Gabriel. Jessica Frùh. Konstantin Wecter. Rainer Deventhal. Agnes Finlc. Durata: 92′
1981 “Die bleierne Zeit” (Gli anni di piombo)
Produzione Biosxop Film (Mtìnich). Regia, soggetto e sceneggiatura; M. Von Trotta,
Fotografia (Eastmancolor): Franz Rath. musica: Nicolas Vizner. montaggio: Dagmst e Dagmar Hirtz. Interpreti: Jutta Lampe (Juliane). Barbara Sucowa (Marianné). Rùdiger Vagler (Wolfang). Verenice Rudolph (Sabine). Lue Bondy (Werner). Doris Schade (la madre), Franz Rudniac (il padre). Durata: 106′