autocoscienza maschile
lo alle donne mi sono sempre rapportato, a livello di testa, in termini di eguaglianza, di rispetto, anche di solidarietà, perché capisco che sono una razza oppressa. Quando è nato il Movimento Femminista l’ho visto con estrema simpatia, come un fenomeno che, nel tempo, avrebbe influito sui comportamenti generali, per le donne e per gli uomini.
Anche se il discorso femminista era molto duro con i maschi, io non mi sentivo assolutamente uno di quei maschi. I miei residui di maschilità, diciamo, tradizionale, li ho scoperti partendo dal mio vissuto particolare, non li ho scoperti attraverso il discorso o il contatto con le femministe, anche se un minimo di rapporti li ho avuti e queste cose t’influenzano, anche se non lo avverti immediatamente. A fare l’amore ho cominciato a ventitré anni. All’inizio pensavo che, per essere bravi a farlo, occorresse essere molto rapidi, poi un giorno parlai con un mio amico e lui mi disse «ma no, è il contrario, bisogna cercare di stare il più tempo possibile».
In ogni caso pensavo che il rapporto sessuale si esaurisse col mio orgasmo dentro la donna: questo era soddisfacente per entrambi. Ero così ignorante su queste cose! Con i compagni di scuola non se ne parlava, e se loro ne discutevano io facevo finta di sapere già. Dopo ho capito che anche loro erano come me. Mi ricordo che una volta uno, che era più grande e andava nei casini, descrisse un orgasmo femminile raccontando che, a un certo punto, dalla vagina usciva «zin-zin» uno schizzo, e questo era il momento in cui la donna aveva avuto l’orgasmo. Se l’era proprio inventato di sana pianta proiettando il proprio schizzo sullo schizzo… della femmina. Oggi sto cercando di capire perché con le donne che ho incontrato prima dei ventitré anni non ho fatto l’amore, e penso che non l’ho fatto per paura di non riuscì re,per paura di confrontarmi con il modello di prestazione che la categoria maschile mi offriva e che è quello che uno deve avere il cazzo diritto. Con il tempo ho capito che per avere un buon rapporto sessuale bisognava utilizzare anche delle fasi diversificate, non ridurre tutto all’introduzione. Ho cominciato a capire che anche le donne avevano un orgasmo, che ne avevano diritto, e tutte le volte che non lo avevano avevo dei sensi di colpa nei loro confronti, cioè mi sentivo di averle in un certo senso strumentalizzate. In un momento ancora successivo mi sono reso conto dell’importanza del petting, mi sono accorto che, attraverso il petting, la donna con cui stavo riusciva ad ave-,re uno o due orgasmi, e anche più in certi casi, lo vedevo che la mia partner stava bene e il rapporto era molto più soddisfacente. C’era comunque sempre il fatto che l’introduzione ci doveva essere, anche se magari ero stanco, anche se magari non avevo tanta voglia, anche se mi costava fatica e preoccupazione. Da qualche mese sono entrato in una nuova dimensione e ho capito che posso anche avere un rapporto sessuale con una donna senza che io, maschio, abbia l’orgasmo, e che in fondo non è necessario concludere ogni fase del rapporto con la mia introduzione. Con questo non voglio dire che il rapporto sessuale deve essere altro dall’introduzione, ma non è solo quello. Nei miei rapporti attuali è capitato che la mia partner, durante il petting, avesse un orgasmo, e poi magari un secondo, e che le stesse bene così, ma poi, quando stava per averne un altro, ha voluto che io lo avessi con lei, dentro di lei, perché provava piacere a sentire quando anch’io venivo, nel momento in cui sale il seme, in cui io mi gonfio… Cioè, non è solamente la sensibilità vaginale, in quel momento, ad essere sollecitata, ma una sensibilità generale, storica, perché in quel momento ci si sente più gli uni negli altri, come integrati in una fase di grossa gioia. E anche per me è più piacevole concludere dentro, perché mi sento accolto, c’è come un fatto di protezione, si è veramente l’uno nell’altro e ci si dà tutto, lo, fino a qualche anno fa, durante l’orgasmo non parlavo, stavo zitto, non strillavo, non facevo niente, insomma mi controllavo, mi frenavo. C’è stata una compagna che mi ha detto «ma tu perché non parli», era un altro di quei blocchi di tipo sociale, non sapevo perché, ma mi sembrava che fosse una cosa da farsi seriamente. Adesso ho imparato a ridere, a piangere, a urlare, e sento che il momento dell’orgasmo è il momento migliore per lasciarsi andare completamente, per non frenare niente. Mi chiedo come deve essere dall’altra parte: mi piacerebbe per un po’ di tempo diventare una donna per sentire com’è. Nel mio rapporto principale, quello con Annarosa, ho sempre avuto dei problemi. All’inizio, circa nove anni fa, lei mi diceva che si era stufata di fare da madre o da figlia come nei suoi rapporti precedenti e che spettava a me gestire il rapporto sessuale, lo credo che lei si aspettasse una prestazione secondo il modello maschile tradizionale, insomma non intendeva aiutarmi nel rapporto, e questo mi provocava delle crisi d’impotenza. Allora, nei momenti in cui mi sentivo sicuro, magari perché avevo un’erezione, facevo dei tentativi con lei, ma erano accolti male, forse perché per lei non era il momento più adatto. In molte occasioni, prima o durante il coito, avevo iniziato a accarezzarla, a fare cose diverse dalla semplice introduzione, però mi sentivo respinto. Forse mi sentiva troppo passionale, perché diceva che quando ero troppo passionale non pensavo più a lei, o forse perché la passione che io mettevo nel rapporto era superiore alla sua e sentiva che correvo rispetto a lei. In qualche occasione abbiamo interrotto il coito. Così ho incontrato sempre più difficoltà a fare uscire il mio rapporto sessuale con lei da certi limiti tradizionalissimi che erano quelli di fare l’amore in un certo modo, farlo senza tanti preamboli: avevo paura di essere respinto ma probabilmente sbagliavo anche così. Avevo anche paura che la mia erezione non tenesse, perché avvertivo, forse a torto, che lei mi accettava sulla base della mia «prestazione». Ma devo dire che Annarosa solo raramente è stata bene con me. Mi ricordo che, durante il coito, teneva sempre gli occhi chiusi e voleva la mia bocca incollata alla sua, come se non volesse distrarsi, come se non volesse farsi prendere dalla testa, il che, forse, significava ricordi di frustrazioni precedenti, di rapporti andati male. Nei miei rapporti con altre donne ho invece potuto andare oltre tutto quello che io chiamo l’aspetto tradizionale del rapporto, che poi non sono cose tanto fantasiose, sono cose molto semplici :ci si bacia, ci si tocca, si fuma si dicono le cose, poi si ricomincia, con una grande rilassatezza, una grande distensione, un’assenza di tetti. Con Annarosa tutto questo non l’ho potuto sviluppare, forse anche, ad un certo punto, per la presenza di nostro figlio, che è stato sì desiderato e preparato durante la fase più bella del nostro stare insieme, quando eravamo molto vicini, ma che ha costituito un grosso ostacolo alla crescita di una parte del nostro rapporto. Lui richiedeva molta attenzione, si collocava tra di noi aggiungendosi alle già consistenti interferenze esterne, si finiva per parlare sempre di lui. lo facevo FInta di niente, abbozzavo, mi trovavo un’occupazione che mi distraesse e tiravo avanti. Era sempre Annarosa che sbloccava la situazione. Mi accusava di passività, di essere pigro con me stesso. Mi diceva «possibile che non t’incazzi, che non salti per aria con tutti i problemi che hai, tu solamente se ti .cadono le tegole in testa cominci a muoverti». In effetti io mi sono cominciato a muovere poco, perché, anche se c’era questo fatto di non riuscire a fare l’amore con lei che mi faceva andare in crisi, le cose si erano stabilizzate su livelli accettabili, e non mi creavano grossi scompensi. Però alla fine sono arrivate le tegole sulla testa. Ho sofferto molto e ho cominciato a dire a me stesso che non potevo aspettare di diventare grande per risolvere i problemi, che non potevo continuare a fare questa vita dipendente in cui i miei spazi li avevo ceduti, o non me li prendevo. Ho capito che avevo viziato Annarosa, e per compensare i sensi di colpa che mi ero accollato a proposito del rapporto che non andava bene, e per una sorta di recupero affettivo sviluppato inconsciamente: dalla colazione a letto, alle rogne casalinghe, ai suoi programmi scolastici, che odiavo, ma che in buona parte finivo per preparare io. Ho capito che un minimo di ruolo tra me e Annarosa restava. Togliere a lei una serie di carichi casalinghi, nasconderle che c’erano i debiti in casa perché non ci stesse male, riparare il rubinetto, pagare le tasse, tutte queste cose pratiche e noiose, significava per me l’assunzione di un ruolo paterno, mutare la mia disponibilità in passività. Così era sempre lei che doveva intervenire nelle cose importanti, come il nostro rapporto, e questo doveva costarle molto, doveva sentirsi molto sola quando doveva entrare dentro le situazioni che io, invece, rifiutavo. Anche nei confronti di nostro figlio Marco, quando si svegliava la notte ero sempre io a alzarmi. Mi dicevo: Annarosa ha già avuto nove mesi nella pancia questo bambino, si è già dovuta sobbarcare quel cavolo di lavoro. Anche il biberon a Marco gliel’ho dato io la maggior parte delle volte, e non credo che questo significasse un voler recuperare il ruolo materno che mi è biologicamente negato, quanto piuttosto un tentativo inconscio di compensare, attraverso Marco, certe cose che non avevo da Annarosa. Perché da Marco mi sentivo completamente accettato: è la persona con la quale negli ultimi tempi ho avuto il rapporto più bello della mia vita, il più sicuro e anche il più paritario. Oggi, al di fuori dèlLa disperazione che posso avere avuto, o che posso avere, sul problema del mio rapporto con Annarosa, alla quale sono estremamente legato e che amo profondamente, le sono molto riconoscente, perché è stata lei, in fondo, che mi ha infilato tanti di quei zeppi dentro fino a farmi saltare. Adesso sto lavorando su me stesso, affronto le cose in modo più completo, sono molto diverso, diverso per me, per lei, per i rapporti che ho con le altre persone.