DOCUMENTO

vilipese misconosciute mal pagate

maggio 1975

 

Chi non abbia frequentato l’Accademia di Belle Arti, o un qualunque altro istituto d’istruzione artistica previsto dal caotico ordinamento scolastico Italiano, non avrà mai notato (nella giungla intricatissima del precariato e della sotto-occupazione che proliferano all’ombra delle baronie) l’esistenza di una categoria di lavoratori: I MODELLI VIVENTI, il cui lavoro è determinante ai fini del funzionamento di un certo tipo di scuole che si reggono interamente sulla loro presenza. L’antichissima tradizione del modello vivente nelle scuole di pittura, scultura, decorazione, anatomia artistica, è spesso usata come pretesto per criticare l’anacronismo e l’arretratezza delle scuole d’arte da parte dei fruitori di esse, o di certi «operatori culturali ex cathedra» che farebbero meglio a impegnarsi nell’individuazione dei reali problemi della scuola anziché impelagarsi in critiche sterili e pretestuose.

La situazione dell’istruzione artistica in Italia è delle più contraddittorie; si tratta infatti di un settore della scuola estremamente frazionato e differenziato, atto a mantenere la spaccatura fra lavoro manuale (artigianato) e lavoro intellettuale (arte, design, etc).

Dalle diverse strutture e programmi delle scuole d’arte applicata da una parte, dei licei artistici e delle accademie dall’altra, si può intuire un piano selettivo abbastanza chiaro di predestinazione sociale degli studenti delle scuole così differenziate.

Quanto agli sbocchi professionali, negli istituti d’istruzione artistica è più evidente che in altre scuole la funzione precipua di «sacche di disoccupazione»… Noi riteniamo di svolgere un ruolo determinante nell’andamento di una scuola di arte, non col nostro corpo immobile e possibilmente asettico, poggiato lì in posa più o meno neoclassicheggiante, ma con la nostra presenza umana, che si esplica come disponibilità alla comunicazione, al dialogo, allo scambio, all’accettazione di essere soggetto e oggetto percepito, imitato, ricostruito, deformato, segnato, calcato attraverso gli esperimenti più svariati. Ciò è possibile quando ci troviamo a lavorare con gente che è riuscita a scrollarsi di dosso il condizionamento negativo e sbagliato del mito del nudo-femminile-oggetto, indotto dallo sfruttamento esasperato e gratuito del nudo femminile nella pubblicità, nel cinema, nel teatro, su un terreno psichico reso fertile da secoli di giudaismo, cristianesimo, islam. Consce dell’assurdità di questi pregiudizi, intendiamo difendere la realtà del nostro lavoro, che non è basato sulla semplice esposizione della «bella presenza», ma che richiede specifiche capacità fisiche e attitudini psichiche, le cui condizioni — esposizioni al freddo intenso, sbalzi di temperatura bruschi, immobilità prolungata — producono, col passare degli anni, effetti gradualmente deterioranti sul fisico che nessuno ha per ora mai preso in considerazione come vere e proprie malattie professionali.

Per questo riteniamo giusto che il nostro lavoro non sia considerato da chi non ne ha diretta conoscenza, una specie di hobby per «veneri annoiate» oppure, nella più . meschina delle ipotesi, un paravento per altre attività più proficue (vedi in proposito la voce «varie» tra gli annunci de «Il Tempo o de «Il Messaggero» della domenica!), ma che sia riconosciuto come funzionale alla didattica delle materie artistiche. A quanto detto in precedenza c’è da aggiungere che, come sul mercato del lavoro in genere il valore della forza-lavoro femminile è inferiore a quello maschile, e le donne sono inserite nella produzione ai livelli più bassi e nei settori tecnologicamente più arretrati, il settore dell’istruzione artistica non sfugge alla regola generale: il lavoro di modella — vilipeso, misconosciuto, instabile e malpagato — è svolto da donne nella proporzione del 95%, mentre la quasi totalità del corpo insegnante è formata da uomini.

I quali signori baroni arrivano di tanto in tanto, lanciano un’occhiata distratta e sufficiente alla «volgare marmaglia» e si dileguano come sono venuti. Nessuno effettua le 13 ore settimanali previste dai regolamenti e per le quali i titolari di cattedra delle accademie percepiscono stipendi che oscillano tra le Lit. 350.000 e le 500.000. Lo stesso orario, con cifre inferiori, è previsto alle cattedre accademiche.

La modella, LAVORATRICE A PAGA ORARIA SENZA CONTRATTO, è tenuta invece alla presenza continua — anche in caso di documentata impossibilità — dall’instabiltà del proprio rapporto di lavoro all’interno della scuola che, per quanto essenziale, non è giuridicamente riconosciuto.

Le assunzioni vengono fatte a completo arbitrio dei docenti, idem dicasi per i licenziamenti (dovuti, in molti casi, a motivi politici mascherati da «esigenze didattiche»); nessuna di noi, assunta all’inizio dell’anno scolastico, riceve alcuna garanzia di mantenimento del posto di lavoro per tutta la durata di esso. Trattandosi di una specie di lavoro a cottimo, esiste poi anche il problema del periodo di chiusura estiva delle scuole e delle varie festività del calendario scolastico che non ci vengono retribuite. Per sbloccare questa situazione inaccettabile, le modelle sono in lotta da anni. Le prime agitazioni sono state di carattere spontaneista, scaturite da un’esasperazione che non era ancora una chiara presa di coscienza ma ne era la premessa; si è trattato di lotte locali su obiettivi immediati, non ancora precisati come punti di un programma generale. Tali azioni sono state svisate e strumentalizzate dalla stampa (nella misura minima in cui se n’è occupata) a livello scandalistico. Esempi: «Nude ma col sindacato» – ABC 1971 -«Le fornarine non si spogliano più» – La Nazione 1972 – et similia. Dall’anno scorso ad oggi i vari nuclei di modelle in lotta si sono andati progressivamente collegando fra loro e con le forze sindacali della C.G.I.L.-Scuola, fino ad arrivare ad un coordinamento nazionale, che fa capo al nucleo dell’accademia e dei licei di Firenze.

La nostra piattaforma è imperniata sull’obiettivo di un contratto nazionale di categoria che consenta il nostro inserimento effettivo nella scuola, come personale non insegnante, con qualifica di aiutanti tecnici, dato che collaboriamo alla preparazione delle esercitazioni pratiche (vedi decreti delegati, personale non insegnante, art. 6).

Stiamo concordando in questi giorni con la segreteria nazionale della C.G.I.L. -Scuola i tempi per il rilancio delle trattative per il contratto con il Ministero della Pubblica Istruzione, ma è probabile che si renderà necessaria una lotta dura, dato il totale disinteresse finora dimostrato dalla controparte.

Riteniamo che le condizioni del mondo della scuola impongano un preciso impegno verso la soluzione di una serie di problemi di cui la questione dei modelli viventi è un indice rilevante, poiché s’identifica con le condizioni anticostituzionali di sfruttamento di una categoria estremamente esposta ai ricatti più brutali. Anche i decreti delegati hanno rinnovato la discriminazione nei confronti dei modelli viventi, escludendoli dalla partecipazione agli organi collegiali della scuola, e quindi sono stati ancora una volta calpestati i diritti sanciti dallo statuto dei lavoratori.

La lotta che conduciamo non vuole essere corporativa, ma parte della lotta più generale per una scuola nuova, democratica e antifascista, poiché il grave fatto che esistano ancora settori come il nostro, discriminati sia economicamente sia per quanto riguarda la partecipazione politica nella scuola, investe direttamente tutti coloro che lottano per cambiare la scuola e la società.

 

Il Comitato di lotta delle modelle

c/o Sez. CGIL-Scuola Liceo I

e Accademia

Via Cavour 88, Firenze