il maschio nudo

maggio 1975

 

Uno dei primi se non il primo in assoluto risale al paleolitico superiore: alto quattro metri, è lo stregone con maschera che danza su una parete della grotta dei Trois Frères, nei Pirenei, con i suoi attributi virili ben in mostra, seppure anatomicamente leggermente spostati rispetto alla posizione attuale per via della naturale evoluzione. Uno degli ultimi, è del ’75: Renato Pozzetto della premiata società per azioni comiche «Cochi & Renato», praticamente nudista, che dal giorno dell’apparizione su un rotocalco di una sua foto senza veli, si sente chiamare dagli amici con toni di affettuosa commiserazione: Renato «Pezzetto», a causa dell’esiguità dell’organo esibito.

Fra l’uno e l’altro tutta la produzione delle ceramiche più o meno itifalliche, la scultura greca, il celebre gladiatore dipinto che se «lo» pesa a Pompei, qualche efebico San Sebastiano, i possenti nudi ipocritamente velati della Cappella Sistina, lo struggente «schiavo morente» sempre di Michelangelo, un paio di virili Nettuno, per arrivare ai giorni nostri con i ragazzi di «Hair» e l’approdo del maschio nudo agli ospitali lidi della stampa in quadricromia.

Come già altre volte, il «la» ci viene d’oltralpe. Yves Saint Laurent si fa fotografare nudo ma con occhiali per reclamizzare i suoi profumi, Michel Polnareff, notoriamente avverso per ragioni personali al matrimonio e non sapendo quindi dove «attaccare il cappello», decide di appenderselo al membro, usato questa volta a mò di attaccapanni.

Alain Delon pretende che il servizio che lo mostra nudo in compagnia di nude fanciulle sembri rubato da un intraprendente fotografo e gioca ridendo fra le onde del mare. Ma quando, novella Venere, riemerge dalla spuma, l’acqua forse troppo fredda gli ha giocato un brutto tiro e per le ammiratrici «è subito sera». Da noi qualche anno fa è stato Filippo, un parrucchiere per «signora» passato alla boutique d’alta moda per uomo, ad esibire per primo, a Roma, come manichini, fotografie di nudi maschili a grandezza naturale di cartone pressato sui quali annodare con finta negligenza, controllata dal via vai dei vigili urbani all’esterno del negozio, sciarpe colorate o sobrie cravatte che ne ricoprissero le parti «basse». Quindi Paolo Villaggio, con l’umorismo che gli è abituale, si è offerto nudo alle lettrici di una pubblicazione mensile. Ora è il momento di un giovane modello, con un bellissimo taglio d’occhi, che sembra aver monopolizzato il diritto di esibirsi nudo per la pubblicità e per i servizi fotografici che illustrano inchieste e articoli sul sesso.

Questo per la vecchia Europa. Nei paesi anglosassoni, invece, all’insegna dello slogan: «si alle spalle, no alle palle», il nudo maschile viene quasi sempre censurato con sconcertante malafede da gambette rattrappite nervosamente, da sportelli di auto sporti-, ve che con il loro spigolo capitano giusto «lì», da caschi da pilota situati in posizione strategica, da asciugamani gettati con intenzione sul «tutto». da telefoni fotografati in prospettiva, da avambracci pelosi smaccatamente ripresi in primo piano. Perché questa incapacità ad andare fino in fondo, questa difficoltà a mantenere, una volta di più, le promesse? Per prima cosa, l’uomo intuisce, sa, che il suo nudo non è erotizzante per un’altissima percentuale di donne. Non lo è perché la psicologia femminile, molto più complessa e articolata della sua, ha bisogno di componenti più insinuanti e persuasive, di sfumature più graduate per rispondere al richiamo sessuale. Non le è sufficiente la «vista» per eccitarsi, ma altri sono gli elementi decisivi ad un suo più completo coinvolgimento; un tono di voce, la tenerezza o l’umorismo di uno sguardo, il contatto di una mano, la complicità di un sorriso e, soprattutto, la spontaneità che, se a volte si avverte nei servizi all’aria aperta, dove luci ed ombre sono «veraci», manca sempre e totalmente nelle foto in interno, dove una coreografia elaborata, calibrata, soffoca qualunque pretesa di naturalezza. Come seconda riflessione, sembrerebbe di poter formulare validamente la ipotesi che lo stesso ancestrale terrore che impediva al «selvaggio»., nei primi tempi del contatto con l’uomo bianco, (un uomo nuovo) di farsi ritrarre o fotografare, nel timore che, con l’immagine, gli venisse carpita l’anima, gli fosse sottratto lo spirito vitale, giochi a livello inconscio un ruolo non indifferente nel maschio da illustrazione che sa di avere oggi un pubblico composto per la massima parte di donne nuove, diverse, che conosce fino ad un certo punto e che in parte ha anche ragione di temere perché più libere, più critiche, più sensibili alla problematica femminista di quelle che gli erano state fino ad allora familiari. E che questo lo porti a voler difendere, con pretestuose architetture scenografiche, la sua «ultima spiaggia», il suo sesso, di cui per millenni si è fatto un mito che probabilmente sa destinato a crollare, almeno in parte, sotto l’esame e il controllo di più attente verifiche. Insomma, ancora una volta, l’atavica paura di essere colto in/nel fallo; il terrore primordiale della castrazione. A meno che la sua granitica fiducia in se stesso e nei propri mezzi, non sia invece neppure sfiorata da questi luttuosi pensieri ed egli si immagini che, come la sua curiosità è solleticata dal vedere-non vedere-intravedere porzioni del corpo oggetto della donna, così questa sia stuzzicata nei suoi confronti dagli stessi collaudati espedienti. Ma la donna, torniamo a ripeterlo, privilegia piuttosto altre componenti umane che, restituendo spessore all’individuo ne completano la personalità ed arrivano a sensibilizzare il suo eros.

Ecco allora le accattivanti pose da «sportivo stanco» o da «riposo del guerriero», sollecitate dai fotografi più avvertiti, nel tentativo di coinvolgerla nella situazione, se non nell’immagine. Ma direi che anche qui il successo è marginale e che il rapporto che la donna, fatta più esigente dalla iniziata presa di coscienza di se stessa e della problematica uomo-donna, cerca con l’uomo, non passa attraverso l’oggettivazione e il consumismo del maschio in quanto tale. La donna dice ancora una volta no all’uomo-pene, forse proprio per le pene che questi le ha causato. Dice no all’uomo-fallo per il rapporto deludente che sino a qui ha avuto con. lui. Non è un ribaltamento dei ruoli, ma la discussione, la verifica, il crollo di questi ruoli che essa vuole e per i quali si batte. E’ una strada nuova, dura, faticosa e difficile che nessuno staff redazionale, nessun servizio opinioni, nessun quarto potere può imporle; perché sono rifiuti, tentativi, che deve compiere da sola, ponendosi dinnanzi alla vita con una testa nuova, finalmente in prima persona.