elezioni, una vittoria delle donne
Una vittoria delle donne di sinistra che abbiamo voluto fosse commentata da tre donne a Luciana Castellina per il PDUP per il comunismo, Enrica Lucarelli responsabile della commissione femminile del PS1 e Adriana Seroni responsabile della commissione femminile del PCI.
Al di là dei risultati concreti ottenuti in queste amministrative, questa è una vittoria femminista proprio perché è stato il femminismo a ridare slancio e aggressività ad un discorso femminile nel paese, anche se concretamente solo sporadicità aperture di discorso possono considerarsi di liberazione e non già di emancipazione. Comunque questi risultati possono senz’altro essere visti come lì primo passo dell’avanzata delle donne e di una tematica femminile che scuota l’assetto politico tradizionale, il primo passo di una Sunga battaglia delle donne per cambiare la condizione femminile.
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luciana castellina
P.D.U.P.
Bisognerà una volta o l’altra ottenere che alle donne e agli uomini venga data una scheda di voto di colore diverso per poter valutare se e in che misura esiste un diverso comportamento dell’elettorato femminile e maschile. Non credo sì tratterebbe di una pratica discriminatoria o lesiva del diritto alla segretezza del voto, ma di un modo per approfondire la conoscenza di fenomeni su cui sempre si sono dati giudizi privi di qualsiasi fondamento oggettivo. In questa occasione, in assenza dì dati verificabili, non ci si può die affidare alle impressioni. La mia è che le donne, assieme ai giovani, abbiano contribuito in modo determinante allo spostamento a sinistra registrato il 15 giugno. Già nel corso della campagna elettorale è stato infatti possibile verificare che l’elettorato femminile si presentava come il settore più mobile del corpo sociale, quello meno irretito dalla vischiosità della tradizione e meno condizionato, per quanto riguarda gli strati piccolo e medio borghesi, dalla propria collocazione di classe. E’ il frutto, certamente, dell’onda lunga della battaglia femminista, che al di là delle sue conquiste organizzative (ancora assai limitate) ha coinvolto strati vasti di opinione, influenzato gli stessi settimanali femminili tradizionali, modificando comportamenti, valori e modelli, prodotto, senz’altro, irrequietezza e in molti casi anche ribellione. Tutto ciò non ha ancora dato vita ad un vero e proprio movimento di lotta di massa, ma certamente, ripeto, ha influenzato il voto del 15 giugno.
E non solo il voto, ma il comportamento elettorale dei partiti. Non c’è dubbio infatti, che mai come questa volta le forze politiche si sono «preoccupate» delle donne: tanto è vero che si sono sforzate di dare una risposta — giusta, sbagliata o strumentale che fosse — alla nuova domanda politica che sentivano emergere. Lo stesso numero delle candidate donne nelle liste ne è del resto una prova.
Proprio questa maturazione, questo vero e proprio salto di qualità che c’è stato nelle masse femminili, impone oggi alla sinistra grosse responsabilità, Il voto rosso delle donne il 15 giugno deve trovare una risposta pena il ripiegamento. E la prima risposta sta nel riuscire ad offrire un terreno concreto alla richiesta di impegno, vale a dire di rendere meno anguste le tradizionali strutture attraverso cui si svolge la vita politica.
«Il personale è politico»: di questo le donne cominciano a prendere coscienza. Ma guai se la politica si dimostrasse incapace di intendere il personale, di farne terreno dell’iniziativa di lotta. Da questo punto di vista tutti i partiti della sinistra hanno un bel po’ di strada da fare. Anzi, una parte della sinistra manifesta, rispetto alla tematica «personale», una chiusura particolare, una ricorrente tendenza a sottovalutarne la spinta rinnovatrice che proviene dalle masse femminili. Proprio questa sottovalutazione diventa così terreno di coltura di quello che chiamerei il «compromesso storico silenzioso», che procede a dispetto di quello ufficiale che è invece bloccato dalla stessa precipitosa crisi della DC. Intendo riferirmi — quando parlo di questo compromesso storico «silenzioso» — al sacrificio a vantaggio della peggiore tradizione cattolica e conservatrice che si compie ogni giorno di un pezzetto di quel patrimonio prezioso che è la maturità comunista prodotta dalla lotta del movimento operaio e del movimento di liberazione della donna: basti pensare all’inadeguatezza (è il meno che si possa dire) del progetto di legge del PCI sull’aborto, e più in generale all’arroccamento su una concezione tradizionale e borghese della famiglia e al giudizio sul femminismo, che lasciano aperta la strada ad una fatalistica accettazione della storica subalternità della donna. Tutto ciò ha radici in una lettura della società Italiana che non coglie i processi reali in atto e che dunque più che prudenza è vera e propria miopia.
Usare della forza che alla sinistra è venuta dallo straordinario voto rosso del 15 giugno significa ora battere anche questo atteggiamento. Un obiettivo che potrà essere raggiunto se sapremo dar vita ad un vero movimento unitario e di massa per la liberazione della donna.
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ENRICA LUCARELLI
P.S.I.
Vorrei iniziare con una constatazione che mi sembra non sia stata fatta da alcun giornale e parlare di Jolanda Palladino la ragazza di Napoli uccisa dai fascisti. Jolanda Palladino non è morta per caso o per errore di persona. Contro di lei sono state lanciate quattro bottiglie incendiarie con la programmata volontà di uccidere. Finora la morte fascista aveva colpito gli uomini, anche se i colpi di bastone o di pugnale non avevano risparmiato le donne. La sua morte è la dimostrazione del modo fascista di dire che si è compreso che le donne non sono «la maggioranza delle maggioranze silenziose» e che attraverso il loro voto sono cambiati gli equilibri politici del Paese. Un atto di odio, di vendetta contro le donne come hanno lucidamente compreso le migliaia e migliaia di napoletane che hanno seguito i funerali chiedendo a gran voce giustizia e scandendo slogans contro il fascismo.
Ormai direi che la grande partecipazione femminile alle manifestazioni politiche dei partiti di sinistra non fa più notizia, è una abitudine accettata, anche se naturalmente molto poche sono le donne che parlano dallo stesso palco dei leaders dei partiti. Come partito socialista abbiamo conservato durante la campagna elettorale una innovazione che trovò il suo punto di massima applicazione durante quella del referendum sul divorzio: il dibattito piuttosto che il comizio.
La campagna elettorale «per le donne» è stata per noi una campagna elettorale con le donne, brevi introduzioni con conseguente dibattito che durava persino tre-quattro ore. Generalmente il tema era «la condizione femminile e l’aborto» e tutta la vita della donna veniva coinvolta nella discussione: lavoro, famiglia, condizionamenti culturali e sociali. Gli uomini erano sempre presenti in grande numero e sempre attivi nella discussione che spesso assumeva anche tono polemico e qualche volta anche di scontro fra i componenti di una stessa famiglia. Siamo uscite da questa campagna elettorale con la riconferma che al centro del discorso delle donne è il rifiuto del potere di delega sia essa una delega alle famiglia, alla società, alle stesse forze politiche. Se il rifiuto del potere di delega è anche l’essenza del socialismo verifichiamo una volta di più che esiste una identità socialismo-liberazione femminile.
Il nostro aumento in voti e percentuale è dovuto anche all’apporto femminile. Tutta l’avanzata delle sinistre dimostra la fine della egemonia democristiana sulle donne. I voti del referendum sul divorzio non erano in libera uscita, essi esprimevano la crescita culturale e politica del Paese. Come socialisti crediamo di aver contribuito a questa crescita ponendo fine al centrismo, con quella che fu la carica progettuale del centro sinistra, con alcune riforme importanti come quella regionale, quella per la scuola dell’obbligo, il divorzio, lo statuto dei lavoratori. Altre cose sono state fatte e mai applicate o mal applicate per una precisa scelta politica democristiana. Questo quindi presuppone che accanto al discorso delle riforme vi sia una organica conquista dei diritti civili. Siamo l’unico partito di governo che abbia visto accrescere i suoi voti, anche se la democrazia cristiana ha cercato di gettare su di noi colpe e ‘inadempienze che sono soltanto sue. Credo che in questo Paese che vuole cambiare, il movimento operaio ha preso pienamente coscienza che il capitalismo non è solo un modo di produrre ma di creare le gerarchie all’interno della società, l’emarginazione di alcuni gruppi non congeniali al sistema.
Dobbiamo riflettere con chiarezza se aver presentato molte donne nelle liste ci abbia giovato. I voti presi dalle donne sono stati più numerosi che non per il passato.
È aumentato il numero delle nostre consigliere provinciali e delle elette nelle città medie e piccole. Si è aperto uno spiraglio ma la porta è ben lungi dall’essere aperta.
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ADRIANA SERONI
P.C.I.
Che il 15 giugno segni nella storia del paese una -tappa di enorme rilievo politico mi sembra un fatto universalmente riconosciuto. Ma questa data «fa storia» anche per quanto riguarda gli orientamenti delle donne Italiane, la loro presenza nella vita politica, il loro rapporto con le istituzioni. E’ chiaro intanto che dalle donne è venuto un contributo decisivo alla avanzata della sinistra e al successo davvero grande del nostro partito: una avanzata così rilevante e così diffusa sul territorio nazionale come quella del PCI sarebbe impensabile senza un apporto e un consenso rilevantissimo di grandi masse di donne Italiane. E del resto taluni dati che stiamo raccogliendo dei seggi elettorali nei reparti di maternità degli ospedali danno di questo una brillante conferma. Ma io vorrei sottolineare il rapporto di questo con altro. Perché se è vero che già vi erano stati tanti segni di una nuova coscienza delle donne Italiane (penso a referendum e alla stessa campagna per i decreti delegati) è anche vero che nel corso di questa stessa campagna elettorale noi abbiamo sentito robustissima una spinta e una presenza femminile che si caratterizzava in modo del tutto autonomo e originale. Non mi riferisco solo alla presenza massiccia delle donne in ogni nostra iniziativa: ma alla qualità nuova della partecipazione, portatrice di tutta la tematica della condizione femminile e ricca di una iniziativa autonoma delle donne stesse: abbiamo avuto ad esempio innumerevoli incontri delle nostre candidate con le donne, e comizi tenuti da sole donne, e in ogni dibattito l’affollarsi di domande, di proposte di richieste di impegno.
Che cosa leggere in tutto ciò? Ecco direi esattamente il contrario di quanto affermano quelli che hanno parlato di voto di protesta, dimostrando ancora una volta di capire ben poco delle cose del nostro paese. In realtà si è di fronte al fatto che grandi masse di donne hanno saputo e sanno reagire alla crisi di fondo che travaglia il nostro paese, economia, politica, morale in termini di reazione positiva, di volontà e di fiducia nel cambiamento, di impegno autonomo e attivo per risanare e rinnovare il paese e per mutare la propria condizione: e proprio la grande massa di voti dati al PCI dimostra chiaramente che le donne hanno voluto dar forza a una linea costruttiva, responsabile, unitaria, a un impegno coerente per l’emancipazione femminile, a una proposta che non era di delega, ma di partecipazione delle masse popolari e delle donne.
È in questa stessa direzione di aumentato senso di responsabilità, e di accresciuta volontà di partecipazione che io vorrei interpretare anche il dato della crescita delle nostre elette comuniste e indipendenti e il sostegno che esse hanno trovato anzitutto fra le masse femminili. Noi non abbiamo ancora nelle mani i dati complessivi, che stiamo raccogliendo, e mi limito quindi a citare dati parziali ma significativi. Nelle regioni in cui si è votato avevamo 13 consigliere regionali comuniste: oggi ne abbiamo 19 su un totale di 25 donne elette. Nella città di Torino passiamo dalle 2 consigliere comunali del ’70 alle 6 attuali; nella provincia di Reggio Emilia passiamo dalle 47 elette del ’70 alle 75 attuali; in Sicilia dalle 33 del ’70 alle 75 attuali; in Sardegna nella sola Cagliari sono state elette 30 donne nelle liste del PCI.
È senza dubbio una avanzata di grande rilievo di cui non ci sfugge il valore anche se la consideriamo come anticipazione di altri e più rilevanti passi in avanti. Tutto ciò crea in nuove regioni e comuni d’Italia la premessa per una presenza a livelli davvero nuovi delle esigenze delle donne e della loro voce in seno a quelle assemblee. Anche se voglio dire, con disappunto e con un forte senso critico, che purtroppo alla prova dei fatti altri partiti danno ben scarsa prova del loro proclamato femminismo e della loro volontà di «promuovere» la presenza delle donne là dove molte cose si scelgono e si decidono. Noi guardiamo comunque oggi alle nostre elette come punti di forza che favoriscano una più larga incidenza di tutte le donne e dei vari movimenti e associazioni femminili sui programmi e sulle scelte da avanzare nei comuni, nelle provincie e nelle regioni ; e ci sentiamo impegnate a contribuire allo sviluppo, in forme tradizionali o nuove, di quella rete di organismi come le consulte femminili che già in tante parti d’Italia hanno consentito la elaborazione di comuni linee programmatiche e il loro affermarsi in seno alle assemblee elettive.
Alla fine di luglio avremo ad Ancona, nel corso di un grande festival dell’Unità dedicato alle donne, un primo incontro nazionale con ‘le nostre elette per affrontare i problemi più urgenti; quelli dell’occupazione femminile, della istruzione professionale, lo sviluppo dei servizi sociali e della scuola materna, i consultori per il controHo delle nascite. Ma è chiaro che la grande spinta a sinistra del 15 giugno, e tutto quello che in essa si esprime di sollecitazioni e di speranze delle donne Italiane deve significare anche altro: l’affermarsi di una politica che in senso ben generale si apra maggiormente alla richiesta di progresso e di dignità delle masse femminili: e in questo senso è del tutto urgente che si arrivi al più presto a una risposta positiva ad un grande tema umano, morale e sociale: quello di una nuova regolamentazione del delicato e complesso problema dell’aborto.