intervista a ines carmona
a tre anni dal golpe cileno, EFFE ricorda tutte le donne che lottano contro il fascismo di Pinochet
artista cilena, militante di «Unidad Popular», in esilio in Italia.
D. Come mai Allende non volle che nessuna donna stesse accanto a lui alla Moneda al momento della morte?
R. Salvator Allende viveva dedicato grande parte della sua vita di medico alle donne. E anche nella sua vita politica ‘ come Ministro della Sanità, aveva fatto molte leggi a favore della donna e del bambino. Aveva anche presentato la proposta di legge sullo aborto. Quelle che sono sempre state accanto a lui durante la sua lotta politica sono state le donne. La sua più grande collaboratrice era una donna. Quando lei assieme alle figlie di Allende lo seguì il giorno della tragedia fino alla Moneda, quando lui capì che tutto” era perduto, che il tradimento era così grande, non volle che restassero perché diceva sempre: «martiri pochi, combattenti tanti» e le donne, in Cile, sono sempre state in prima fila in tutte le lotte, perché la donna cilena è molto combattiva, da sempre, da secoli! E così chiese a queste compagne di uscire vive dalla Moneda e di andare nel mondo a dire ai quattro venti e a tutta la gente democratica di questo grande tradimento per aiutare la rivoluzione cilena. Oggi, due delle sue figlie (la terza è malata) e sua moglie girano il mondo con questo messaggio e tutte noi compagne dell’«Unidad Popular» a chiedere solidarietà per il Cile.
D. Parliamo delle donne che sono rimaste in Cile e di quelle che operano fuori dal Cile.
R. Quelle di noi che stanno fuori dal Cile hanno avuto la fortuna di salvare «el pellecjo» come si dice da noi, cioè la vita e i nostri figli. Le donne rimaste in Cile hanno il più grande valore di combattenti, perché lavorano con enormi rischi per la resistenza, per i loro compagni in carcere per riunire tutte le forze democratiche e antifasciste, avvicinando perfino le donne della Democrazia Cristiana cilena. Credo che in questo momento per una rivista femminista come EFFE, in questo Settembre, mese della grande tragedia cilena, come è anche il mese dei grandi anniversari cileni (che cosa strana, tutto succede a settembre in Cile, anche la primavera!), sia molto importante ricordare i nomi di Lily Corvalan, Selenita Diaz, Isolina Ramirez, che sono ora in Cile, di Gladys Marin segretaria generale della gioventù comunista, moglie di Mugnos, uno dei tanti compagni scomparsi del partito comunista. Non finirò mai di parlare del valore della donna cilena che da sempre lotta accanto e avanti all’uomo. Anche all’inizio del secolo con il nascente movimento operaio nel nord del Cile (zona mineraria), creato dal fondatore del P.C.C. Recabarren, le donne hanno lavorato per la crescita del movimento come operaie e come donne. Anche in questo momento sono le donne che vanno urlando da Pinochet e da tutti e quattro i «Generali della morte», che scrivono petizioni alle nazioni unite.
Lily Corvalan disse: «non lotto solo per il padre dei miei figli, o perché è il segretario del mio partito, ma lotto anche per tutte le altre donne cilene, incarcerate, torturate». Non dimentichiamo ohe in Cile ci sono campi di concentramento «specializzati» nella tortura delle donne. E perché questo? Perché sanno che la donna è sempre stata in prima fila nella lotta del proletariato, ed è indomabile.
D. Eravate preparate alla lotta?
R. Se non avessimo avuto il tradimento delle forze armate in questo momento non sarei qui in esilio. Perché noi eravamo preparati a una lotta corpo a corpo, una lotta di due forze: la destra contro la sinistra, eravamo preparati come erano preparati loro, solo che loro hanno avuto l’esercito. Nessuno può giudicare, come hanno fatto tanti compagni della sinistra extraparlamentare italiana, quello che è successo in Cile, perché nessuno può combattere contro l’aviazione, contro i bombardieri, anche i compagni palestinesi non ce l’hanno fatta.
D. In che misura le donne del popolo hanno partecipato ad «Unidad Popular»?
R. La partecipazione è stata grande, molte donne del popolo e militanti del partito sono diventate ministro, come Mireya Baltra. Anche in tre importanti organizzazioni sociali quali i comitati di quartiere, che da noi si chiamano «juntas de vecinos», asili nido e scuole materne, la partecipazione delle donne è stata molto attiva e le donne operaie spronavano le casalinghe ad uscire dalle case e se non c’era lavoro in fabbrica venivano inserite in questi , «Centros de madres» organizzazioni sociali nelle quali potevano imparare un lavoro e guadagnare fuori dalla schiavitù del lavoro domestico.
D. Qual’è stata la tua posizione, la tua partecipazione a «Unidad Popular»?
R. Io ero e sono un «obrera de l’arte» come diciamo noi, ovvero un’operaia dell’arte. Ero professoressa alla facoltà di scienze e arte musicale e scenica dell’Università del Cile. E’ stata una facoltà molto colpita, e oggi non esiste quasi più perché era una facoltà «rossa». In questo momento siamo tutti o in esilio, o in prigione, o morti. Assieme ad altri lavoravamo molto con gli operai, facevo le mie lezioni di canto dopo il loro lavoro, ed è stata una esperienza molto bella e viva perché l’espressione musicale popolare da noi è molto importante e si aveva l’impressione di plasmare le loro voci come le mani fanno con l’argilla. Noi artisti che lavoriamo fuori dal Cile insieme a tutti i compagni e le compagne, non avremo pace finché non sarà caduta la giunta militare. Anche con il mio lavoro in Italia, aiutata particolarmente dalle donne, come ha fatto il teatro della Maddalena; come ha fatto Radio «Città Futura» contribuisco alla resistenza. La vita di una donna in esilio è molto dura, io comunque mi considero una privilegiata perché con il canto e la musica porto avanti la mia lotta. Altre compagne cilene in Italia lavorano duramente e umilmente spesso come donne di servizio per aiutare la resistenza. Voglio approfittare delle pagine di EFFE per smentire che gli «Intillimani» sono diventati ricchi. Tutti e sei percepiscono uno stipendio tratto dai loro incassi, ed il resto viene dato alla resistenza cilena.