lo chiamavano “golpe”

settembre 1976

giovedì 9 settembre, al Centro delle donne in via Capo d’Africa, 28, l’atmosfera è piuttosto agitata. L’argomento è la spaccatura che si è creata nel collettivo di Radio Donna, la radio femminista che si gestisce autonomamente due ore al giorno dentro la radio libera Radio Città Futura, voce della nuova sinistra.

Da una parte ci sono le fuoriuscite, dall’altra il resto del collettivo rimasto alla Radio. Il problema, a parer mio, è discusso in maniera così violenta, che crea uno stato di sgomento e di perplessità tra tutte le donne che con il collettivo di Radio Donna non c’entrano niente.

Le compagne uscite dal collettivo presentano il comunicato, consegnato a due agenzie di stampa, che spiega le ragioni che le hanno portate a questa decisione: comunicato che è stato raccolto solo dal quotidiano fascista «Il Tempo» che, naturalmente lo ha pubblicato strumentalizzandolo. Le ragioni dell’uscita dal collettivo di Radio Donna si possono riassumere così; le compagne non desiderano essere coinvolte nelle operazioni di recupero del movimento femminista nell’ambito della nuova sinistra, tentate anche all’interno di Radio Città Futura e dei giochi di potere tra le componenti ideologiche della Radio e di alcune compagne, che all’interno di Radio Donna si sono rese complici e strumento di questi giochi di potere. Il femminismo non è lotta di classe, dicono le fuoriuscite, non ci si deve far coinvolgere ad alleanze che rischiano di essere molto scomode (tipo Palestina, Cile, Cina, Vietnam, ecc.) e deve mantenere tematiche completamente autonome creandone delle nuove. Si accusano, inoltre, le compagne rimaste a Radio Donna di aver occupato il microfono, dopo le prime discussioni, gestendosi arbitrariamente da sole la trasmissione (si parla addirittura di «golpe a Radio Donna») facendo propri molti metodi tipici della politica maschile.

(Le compagne uscite dal collettivo di Radio Donna chiedono però uno spazio a Radio Radicale e da questi microfoni leggono e commentano il loro documento. Questo, e l’essersi rivolte agli organi di stampa, mi sembra un po’ in contraddizione con le affermazioni di rifiuto di metodi maschili e di non essersi rese conto del pericolo della strumentalizzazione da parte degli organi di informazione). Le compagne rimaste a Radio Donna in una lettera letta al Centro della Donna di Capo d’Africa a tutte le donne dei movimenti e collettivi femministi chiariscono l’inesistenza di una occupazione dei microfoni, chiedono alle compagne uscite dalla radio un ulteriore confronto e una ulteriore discussione più aperta e pi distesa senza mistificazioni di alcun genere. Puntualizzano che pur considerando l’autocoscienza e il separatismo momenti fondamentali di crescita, non ci si può chiudere ad altri rapporti dialettici con realtà diverse. Ribadiscono, inoltre, che la liberazione delle donne deve tener conto di tutte le donne, esprimendo i loro bisogni, le loro esperienze, testimonianze, problemi. Dicono, inoltre, che non si può fare del femminismo staccandosi da una realtà che si chiama lotta di classe, sublimando oppressioni non ben identificabili, perdendo il contatto reale che è quello della realtà quotidiana, ponendo le femministe nella posizione di femministe in cattedra. Liberazione è conoscenza approfondita della società in cui viviamo, conoscenza di cui molte di noi sono ancora prive chiuse tra le pareti domestiche (da qui l’enorme importanza dello strumento della radio) di una società che domani dovrà essere formata di donne e uomini liberi, non di donne libere in un mondo schiavo. Radio Donna, quindi, dicono le compagne rimaste nel collettivo, non dovrebbero cadere nell’errore di costruire pareti ideologiche e culturali. Queste le posizioni della scissione, scissione che è un ennesimo esempio dell’enorme difficoltà di affrontare temi così complessi senza cadere in ulteriori divisioni che, a parer mio sono una realtà molto triste di fronte alla quale ci si ritrova spesso all’interno di tutto il movimento, realtà che corre l’enorme pericolo di essere sottilmente strumentalizzata da tutta la fascia dei partiti compresi quelli cosiddetti rivoluzionari. Se, quindi, è vero che la liberazione delle donne deve essere di «tutte» le donne dobbiamo essere prima di tutto unite, con una collaborazione continua, senza competizioni, senza litigi, con la consapevolezza di essere «tutte» continuamente usate e sfruttate dal sistema e che, quindi, con violenza e con amore, ci riprenderemo tutto quello che ci spetta, ma tutte insieme.

Un ulteriore confronto più chiaro e più sereno dovrebbe quindi, a parer mio portare tutte le compagne di Radio Donna a superare una divisione che, speriamo, solo momentanea.