perché si perché no
Femminismo e cattolicesimo
Femminismo e cristianesimo
Perché per noi sono inconciliabili
nel numero scorso abbiamo pubblicato una lettera di Valentina Terlato che, dichiarandosi cattolica e femminista, ci invitava a spiegare perché noi di Effe affermiamo che non è possibile essere le due cose insieme. «Essere cattoliche — scriveva Valentina — non vuol dir per forza condividere la posizione reazionaria della Chiesa nei confronti delle donne, identificandosi con le frange conservatrici del cattolicesimo. Io mi sento cattolica in quanto credo nella morte e resurrezione di Cristo».
Vorrei rispondere a Valentina — e mi faccio interprete del pensiero di quasi tutte noi della coperativa — incominciando con il chiarire proprio questo punto. La Chiesa di Roma si autodefinisce: Una, santa, cattolica e apostolica. «Una e santa» l’unica cioè ad operare nella comunione dei santi. «Cattolica» quindi — a suo dire — universale perché «non soltanto tende ad abbracciare tutta la terra da un punto di vista geografico, ma perché in virtù della sua pienezza e integrità, ha il potere di appagare le più profonde aspirazioni degli uomini di tutti i tempi e di tutte le civiltà». (Vedi «La religione cristiana» Enciclopedia Feltrinelli Fischer). E infine «apostolica» in’ quanto fondata su Pietro e sull’insegnamento degli apostoli. Ritenendosi inoltre depositaria della verità rivelata, avoca a sé il compito di interpretare — ispirata dallo Spirito Santo — la Scrittura e la tradizione e di trasmetterne l’insegnamento. (Potestà dottrinale dotata del crisma dell’infallibilità).
Ma anche la Chiesa orientale si definisce cattolica e così la Chiesa Anglicana che si considera «se non addirittura anglo-cattolica, almeno evangelico-protestante e cattolica ad un tempo». (Vedi ibidem).
Ora mi pare che ci sia una contraddizione di fondo nella frase della Terlato, quando scrive: «Mi sento cattolica in quanto credo nella morte e resurrezione di Cristo». Penso che in questo caso — considerando il giudizio negativo che dà dell’operato della Chiesa di Roma (di cui ci pare che non riconosca l’infallibilità) per non ingenerare dubbi su una sua appartenenza a quella orientale o a quella anglicana, sarebbe più giusto, visto che crede «nella morte e resurrezione di Cristo», che si definisse cristiana. Comunque cerchiamo di prendere in esame le due possibilità: «femminismo e cattolicesimo» e «femminismo e cristianesimo».
Femminismo e cattolicesimo
Sappiamo tutte che la religione cattolica ha inglobato e fatto propri i concetti della cultura giudaica con i quali la donna è vista e viene presentata come .emanazione dell’uomo (creata addirittura da una sua costola), sua rovina e origine di tutte le sue sventure per via di un presunto peccato di disobbedienza. Con questi sensi di colpa — che si rifanno a leggende mesopotamiche e a miti orientali di antica tradizione orale, risalenti a circa 5 mila anni fa e da 3 mila codificati nei testi giudaici e quindi adottati dal cristianesimo — la Chiesa, e con lei il sistema, hanno sempre ricattato la donna costringendola alla sudditanza all’uomo. Tralasciamo di proposito di parlare di due mila anni di concili, di soprusi, di dogmi, di sete di potere e di connivenza con lo stesso, di apparizioni, di strumentalizzazione dei sentimenti, di miracoli, di scomuniche, di ordalie e simonie varie, di sfrutta-
mento dei deboli e degli oppressi perché lo divenissero sempre di più, di costruzioni di gigantesche cattedrali, di crociate, guerre sante, missioni e genocidi, di cui la donna è stata vittima quanto e più dell’uomo. Ricorderemo soltanto le persecuzioni che, per ben tre secoli la Chiesa cattolica ha scatenato contro le donne, le streghe, le diverse, coloro che tentavano di rendersi libere, condannandone 8 milioni al rogo — in nome delle proprie fantasie malate e delle proprie allucinazioni sessuofobiche — per essersi date al «commercio carnale con il demonio». E ricorderemo anche che usava ricompensare con quaranta giorni di indulgenza coloro che si recavano ad assistere al rogo.
La Chiesa non ha mai provato vergogna di questa pagina di storia e non ne ha. mai fatto ammenda. L’ultima strega fu «giustiziata» (cioè fu fatta di lei… giustizia!) in Svizzera solo nel 1782, ed è dell’altroieri (del novembre 1972!) l’intervento del Papa in carica — intervento ormai passato alla storia come quello «del Maligno» — in cui egli rispolverava, tra la costernazione generale, la figura del demonio. Quel demonio — azzardiamo irriverentemente — che oggi egli probabilmente immagina dedito alla masturbazione o alla sodomia, visto che nessuna donna è stata ancora accusata (per lo meno apertamente) di «darsi seco lui a commercio carnale». Si dice così, reverendi Padri? Ma ve lo hanno detto che «le streghe son tornate?» .
Per le donne quindi che desiderassero abbinare le due diverse pratiche politiche (puntualizzo di proposito che — personalmente — non considero né il cattolicesimo né il femminismo «ideologie» ma modi diversi di porsi politicamente) mi pare proprio che le difficoltà si presentino insormontabili. E del resto è del 21 agosto di questo anno — quindi recentissima — la risposta di Montini all’arcivescovo anglicano di Canterbury, Donald Coggan che proponeva un incontro per dirimere la questione dell’ordinazione sacerdotale delle donne, già in gran parte attuata dalla sua Confessione.
Queste le parole con cui il Montini ha dichiarato inammissibile per la Chiesa Cattolica tale ordinazione: «Le ragioni sono tre e distinte: 1) Cristo ha scelto i suoi apostoli solo tra gli uomini. 2) La Chiesa ha fatto lo stesso con i preti. 3) Egli infine, ha stabilito che le donne siano escluse dal sacerdozio». Questa mancanza totale di flessibilità è tanto più assurda se si pensa all’importanza che hanno avuto le donne nella formazione della Chiesa delle origini. Gli apostoli si sono sempre largamente giovati dell’aiuto materiale delle donne, ricordiamo che alla comunità, prima e dopo la morte del Cristo, provvedevano finanziariamente ed accudivano materialmente alcune ricche vedove o comunque donne senza impegni di famiglia — valga per tutte Salòme, madre dei due Zebedei — relegate peraltro ai margini della vita comunitaria. Così come non è male ricordare che a Roma e altrove, molte chiese cristiane ebbero origine nella casa e furono poi edificate sopra la casa di ricche matrone che ospitavano e foraggiavano i primi adepti: le così dette «cjomus ecclesiae». Risulta quindi chiaro che il blocco totale del cattolicesimo romano verso il problema donna, il non essere capaci di affrontarlo, l’immaturità di certe motivazioni poste in atto per rifiutarne la discussione, sono inconciliabili con il femminismo e a queste considerazioni dovrebbe approdare qualunque donna che si voglia definire femminista. La liberazione della donna deve affrontare e superare i passaggi obbligati della smitizzazione della cultura patriarcale e dello smantellamento di ogni costruzione verticistica di potere. E la Chiesa, assolutista, dogmatica, maschista, avida di potere spirituale e temporale, è patriarcato elevato al cubo.
Femminismo e cristianesimo
Premetto intanto che se qualcuno riesce a conciliare femminismo e cristianesimo e mi spiega come fa, non può che riscuotere la mia ammirazione. La stessa che provo nel vedere quegli equilibristi cinesi a dieci metri dal suolo, che tengono sul naso (e il naso dei cinesi è piccolo) tutta la famiglia e il servizio buono di porcellana Ming, riuscendo contemporaneamente, con le mani e^con i piedi a roteare lunghe pezze di stoffa colorata, mentre i familiari recitano alternativamente pensieri di Mao e massime di Lao-Tzu. Noi, peraltro —- qui a Effe — soffriamo quasi tutte di vertigini e ci troviamo bene solo con i piedi per terra. E, con i piedi per terra, se vogliamo chiarirci le idee a proposito del Cristo, abbiamo soltanto i vangeli che ne raccontano la vita e ne espongono l’insegnamento. I vangeli sono moltissimi ma la Chiesa ne ha definiti canonici soltanto quattro: e cioè quelli impropriamente detti di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni. Tutti gli altri — il vangelo dei Nazareni, quello degli Ebioniti, degli Egiziani, di Pietro, di Nicodemo, quello di Pilato, della Verità, il protovangelo di Giacomo, lo pseudo-Matteo, quello di Tommaso, quello di Filippo, quello secondo gli Ebrei, quello della natività e dell’infanzia, eccetera eccetera, la Chiesa li ha definiti apocrifi. Ma la critica neotestamentaria giudica apocrifi anche i quattro canonici, in quanto non sono stati scritti da chi si dice ne sia l’autore. La loro stesura fu preceduta, per vari decenni, da una trasmissione orale ed è presumibile che questa abbia modificato il materiale riportato. Nessuno dei quattro vangeli è opera di un discepolo di Gesù o di un appartenente alla comunità primitiva, ma i redattori altri non sono che dei credenti che, in epoca molto più tarda, vollero persuadere e convertire altri — i gentili — alla loro fede. I primi tre sono detti «sinottici» perché narrano la vita di Gesù in modo tra loro conforme e furono tutti redatti all’interno di comunità greche.
Perfino Sant’Agostino, vissuto dal 335 al 430, ammetteva che Matteo fosse copiato da Marco e Luca da Matteo. In effetti i vangeli canonici sono, nella migliore delle ipotesi, scritti rimaneggiati in più parti e più volte. Il vangelo detto di Marco è considerata generalmente come il più antico dei quattro. È una specie di compendio della catechesi cristiana, non composto di un sol getto né esente da aggiunte e da ritocchi. L’ultimo di questi consistette nell’aggiunta di un capitolo finale, il quale risale forse alla metà del II secolo. La redazione definitiva di Luca e quella di Matteo si fondano sul Marco tradizionale, ma sprovvisto della chiusa deuterocanonica. Sembra che il vangelo detto di Matteo si sia diffuso in origine nelle comunità elleno-cristiane della Siria e della Palestina. Per la maggior parte dei suoi racconti si fonda su Marco e quel che vi aggiunge è finzione secondaria, apolegetica talora romanzesca, come la parte attribuita alla moglie di Pilato nella storia della «passione». I racconti relativi alla nascita di Gesù appartengono al genere delle finzioni mitiche e furono consapevolmente elaborati in correlazione con i testi profetici. Del resto sembrano dovuti all’ultima redazione dell’opera e tradiscono ancora abbastanza nettamente la loro indole avventizia. L’interesse speciale di questo vangelo — detto di Matteo — e la ragione del credito che godette presso le antiche comunità, sta nel posto che vi tengono i discorsi attribuiti a Gesù: complesso di insegnamenti in cui non mancano elementi giudeo-cristiani e che, nell’insieme, recano il segno delle loro origini ebraiche ma che, nella redazione, furono adattati allo spirito del cristianesimo universale.
Il vangelo di Luca è una compilazione analoga a quello di Marco e di Matteo. Marco ha fornito anche ad esso la maggior parte dei racconti; il resto è finzione leggendaria e costruzione mitica. Così la predicazione di Gesù a Nazareth, la missione dei settantadue discepoli, l’ascensione del Cristo risorto.
Il quarto vangelo — quello di Giovanni — è il più recente e si è propensi a datarlo verso il 120-130. Comunque è chiaro che i vangeli non sono documenti storici, ma catechismi liturgici che contengono la leggenda culturale del Cristo, non annunciano alcun altro contenuto e non rivendicano nessuna altra qualità. E questo secondo il Loisy, uno dei massimi studiosi neotestamentari. (Vedi «Le origini del Cristianesimo». Il Saggiatore). Ma c’è ancora qualcosa da dire sull’insegnamento del Cristo. Egli non condanna mai lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non spende una parola contro la schiavitù, tanto che i primi cristiani continuarono a tenere in casa schiavi e schiave. Cristo rinvia tutto all’altro mondo. Si limita a consigliate una generica carità e a sollecitare il ricco a dividere il suo con il povero. Ma se il ricco rifiuta di spartire col povero le proprie sostanze, quale possibilità hanno di realizzarsi i saggi ammaestramenti di Gesù? Anche il tentativo di presentare il Cristo come un femminista ante-litteram appaiono puerili e direi che ad ognuno di essi si può opporre almeno un esempio contrario. Ma allora, cosa rispondere alla Terlato che dice di essere femminista e di credere nella morte e nella resurrezione del Cristo? Che, se alla morte ci crediamo anche noi — perché vogliamo credere che sia vissuto — alla resurrezione non crediamo. E non ci crediamo — tra l’altro — proprio perché siamo femministe. È il femminismo che ci ha abituato a mettere in discussione e a riverificare tutte le conclusioni che una cultura maschile ci aveva servito come definitive. Se è vero che il marxismo ci ha insegnato che non ci si può impegnare in un’analisi prescindendo dal materialismo storico, il femminismo ci ha reso estremamente critiche anche ad un’analisi marxista perché a volte questa può prescindere da un’ottica femminista. Se il cristianesimo è una fede religiosa, la sua nascita è pur sempre inquadrata in un determinato periodo storico e quando Costantino nel 313 lo impose come culto di stato, vide il problema unicamente in termini politici e lo risolse con una serie di compromessi politici. La situazione gli si presentò in questa prospettiva: salvare l’unità e la coesione dell’impero servendosi della unità religiosa garantita dal cristianesimo. Che questo fosse il suo calcolo politico ce lo assicura Eusebio che attribuisce a Costantino questo commento al suo editto: «Io mi proponevo di ricondurre ad una unità l’opinione di tutti i popoli circa la divinità, e di rendere all’impero, che mi sembrava colpito da grandi mali, il suo vigore antico…». (Vita Const. II, 65). Il riconoscimento del cristianesimo come religione di stato lo fece diventare una religione di massa. In virtù di un semplice editto imperiale i suoi adepti crebbero in brevissimo tempo, di parecchi milioni.
Nel cristianesimo confluirono culti orientali e misteriologid, come quello del persiano Mithra che era sempre stato rappresentato come un fanciullo divino, nato da una vergine in una grotta, e i cui fedeli celebravano il rito di un pasto in comunione spezzando il pane, ricevevano un battesimo d’acqua che cancellava i peccati e attendevano la resurrezione del dio. Entrambe le religioni accoglievano i loro seguaci anche dai più umili strati sociali. Molti presumono che i simboli animali degli evangelisti (leone, toro e aquila) siano modellati su quelli del miltraismo, poiché tutti questi animali compaiono nel culto di Mithra. Carattere molto simile a quello di Mithra aveva Mazda, divinità della fede zoroa-strica. E a questo proposito devo dire che l’iconografia con la quale viene rappresentato lo spirito santo, mi ha sempre ricordato in modo sospetto questo dio persiano. Mazda (VI secolo a.C. circa) ha le stesse ali, lo stesso capino, la stessa imperturbabilità… Da lontano, non sembra un colombo? (vedi il disegno del simbolo a pag. 22). Altri culti e rituali confluirono nel cristianesimo, portati anche dai soldati di ritorno dalle campagne militari in oriente. Erano culti orfici che avevano il loro nucleo centrale nella morte e la discesa agli inferi del dio che poi sarebbe risorto. Quindi, oggi come oggi, credere alla resurrezione del Cristo, vuol dire credere in quella di Attis, di Mithra, di Orfeo. Non ha senso. «La fede religiosa — scrive Loisy — non è altro, per se stessa, che uno sforzo dello spirito — immaginazione intelligenza volontà — per infrangere il quadro naturale, apparentemente meccanico e fatale, dell’esistenza». Le difficoltà che l’idea della resurrezione incontra nel nostro spirito, e che incontrò già nel mondo ellenico, non esistevano per quei credenti giudaici, avvezzi a concepire in questo modo, senza sottigliezze, la sopravvivenza dei defunti, e incapaci di concepirla altrimenti. Di fatto, si cominciò col credere alla risurrezione di Gesù perché non si sentiva alcun bisogno di prove. I discepoli, in virtù della loro fede antecedente, si trovavano nell’impossibilità di raffigurarsi Gesù come annientato dalla morte. Solo più tardi, quando si predicò il vangelo in ambienti non giudaici, cominciarono le obiezioni e solo allora si cercò di provare la risurrezione con argomenti perentori: il sepolcro vuoto, la cena ad Emmaus, l’incontro con Tomaso. Siamo convinte che l’epoca delle grandi religioni — così come quella delle grandi monarchie, delle grandi scoperte geografiche e dei colonialismo — sia finita. Esaurita la funzione di guida spirituale, quella che resta in piedi è la struttura di potere, una colossale organizzazione finanziaria e commerciale disposta a tutto (o quasi) pur di non rinunciare al dominio. E qui si evidenzia in modo preciso la responsabilità dei partiti della sinistra — radicali esclusi — che non ancora hanno mai affrontato il problema in termini precisi. Il partito comunista, in particolare, non si è mai proposto di riparare alla mancanza d’informazione (non vogliamo parlare di ignoranza) e al fatalismo delle masse e ha sfruttato anzi il dissenso e l’insofferenza di alcuni cattolici per aggregarli a sé in un momento storico quanto mai fluido e possibilistico. Anche Don Franzoni, si è prestato al gioco. E questo davvero spiace. Spiace perché non è difficile immaginare che puntulamente il prossimo papa accoglierà nelle sue paterne braccia Franzoni e i suoi fedeli e lo reintegrerà nei suoi privilegi, salvando capra (cioè la pecorella smarrita) e cavoli (i loro, perché gli altri… gli altri saranno nostri) e concludendo così una altra riuscitissima operazione pubblicitaria.
E questo il momento, per noi donne e per noi femministe, di portare a termine correttamente l’analisi che da qualche tempo abbiamo intrapreso e individuare, senza tentennamenti, quali sono le zavorre che hanno sempre appesantito le nostre esistenze e liberarcene. Potremo così recuperare e riappropriarci dell’enorme carica sentimentale, emotiva e psichica che l’educazione ci ha costretto ad incanalare nella religione e nella superstizione. Riprendiamoci — dopo esserci riappropriate del nostro corpo — anche la nostra spiritualità, che non sappiamo forse ancora bene qual’è, ma che certo non è quella, fredda e controllata, miracolistica e inconcludente che animava (se animava…) la confraternita dei dodici apostoli e dei loro seguaci, in cui le donne erano tenute ai margini — oggetto sempre e protagoniste mai — con buona pace degli Zebedei. Scrive Marcello Craveri nella sua «Vita di Cristo» edita da Feltrinelli: «Noi pensiamo che, se è vero che il mondo è stato creato da un dio, esso non è stato creato per questo dio — che infatti dimora altrove — ma per gli uomini: quindi esso deve essere antropocentrico e organizzato in modo che gli uomini vi si trovino il meglio possibile»;’ Provate ad aggiungere «e le donne» ogni volta che nomina gli uomini e poi va benissimo.