cile: quando la donna non conta
Effe ha fatto a Rossana Rossanda quattro domande sul ruolo avuto dalle donne nella vicenda cilena: le pubblichiamo qui di seguito con le risposte scritte della Rossanda.
1) Effe Si può dire che la donna cilena abbia pesato negativamente, svolgendo un ruolo antiprogressista nel Cile di Salvador Allende?
Rossanda Se anche in Italia il voto maschile e quello femminile fosse disgregato, e distinguibile, come lo è in Cile, si vedrebbe che le donne votano meno a sinistra degli uomini, così come i vecchi votano meno a sinistra dei giovani, le campagne meno a sinistra delle città, e via dicendo. La donna ha riflesso, in Cile come altrove, la sua subalterneità politica, che si traduce in istinto conservatore.
2) Effe Può essere tracciata una analogia tra i voti delle donne cilene nel 1958 e nel 1964, quando si schierarono in maggioranza contro Allende e per Frei, e il primo voto delle donne italiane nel 1948, quando Togliatti dovette osservare, con amarezza, che avevano votato DC anche le operaie emiliane?
Rossanda Non so quanto peso abbia la Chiesa Cattolica nella determinazione del voto in Cile. Considerevole, penso, e tuttavia inferiore che nell’Italia del dopoguerra. Il Cile non mi è parso un paese calorosamente religioso e non mi risulta che nell’attacco ad Allende la chiesa sia stata particolarmente attiva. La democrazia cristiana è stata attiva, e aveva una forte base nei ceti medi, nelle campagne e anche in parte delle fabbriche. Conosco una fabbrica di Santiago dove le donne erano politicizzate tutte e divise a metà, chi con Allende chi con Frei. L’oggetto non era né l’inferno o il paradiso, né il marxismo o la religione: ma se valesse la pena di fare la coda per il socialismo domani, oppure no. Ed ancora: se si poteva uscire dalla crisi economica con una radicalizzazione della lotta o se si doveva rassegnarsi a ridare al capitale i suoi poteri di gestione. Era un dibattito rigorosamente politico, il nodo su cui è precipitata la crisi cilena.
Ma anche al di là di questo esempio, va detto che Unità Popolare ha toccato nell’aprile del 1971 il 51/100 dei voti, e nelle elezioni del 1973 oltre il 43/100. Nel 1971 il governo aveva il vento in poppa, nel 1973 era drammaticamente attaccato da destra ed in piena crisi economica. A meno di non credere che fossero, quelli per Unità popolare, tutti voti maschili, questo vuol dire che negli ultimi tre anni l’elettorato femminile era andato mutando.
3) Effe Che analisi si può fare del ruolo delle borghesi cilene nella «guerra delle casseruole»?
Rossanda Le borghesi cilene hanno fatto da cassa di risonanza ai borghesi cileni, Anche in questo caso non c’è stato un ruolo specifico delle donne, se non subalterno:» sono scese per le strade a strillare che non ne potevano più delle code, che non volevano il controllo sulla distribuzione, ma le mandava Frei e le fiancheggiavano i commandi armati di Pace e Libertà. In luglio, un gruppo di donne circondò la casa di Prats urlando invettive: c’erano tra loro le mogli di otto generali di corpo d’armata, quattro dei quali oggi dirigono la giunta. Brave spose, insomma, spedite dai mariti a «far politica», nella convinzione che in. Cile la polizia non le avrebbe disperse a manganellate o lacrimo- \ geni, e neppure idranti. Lo stesso, ed è a mio avviso più grave, vale per gli studenti, la cui maggioranza — fra i medi — si mosse allo stesso modo, del tutto subalterno alla DC e ai golpisti. Anzi, per gli studenti è più grave: una massa di giovanissimi, organizzati dalla scuola, hanno creato negli ultimi due anni caos e scontri di piazza con la destra. Le «signore delle casseruole» erano assai meno, e meno facilmente or-ganizzabili. Di fronte a loro, sta la ben più vasta organizzazione delle donne a sinistra, nelle fabbriche e nelle poblaciones. Nei giorni del golpe non solo si sono battute ma con estrema violenza. Naturalmente è difficile dire numericamente cosa contano. È sicuro che in questi tre anni la donna in Cile s’è radicalizzata e nel complesso è andata più a sinistra che fino al 1970.
4) Effe Nella politica di Unità Popolare che peso si è dato alla emancipazione femminile e, generalmente, ai bisogni delle donne?
Rossanda Non so se in Cile si sia fatto un discorso sulla liberazione della donna. Ci sono stata troppo poco. Quel che è certo è che la donna in Cile aveva una partecipazione al lavoro e alla politica non inferiore al nostro, e molto superiore, a quel che so, a quel che vidi a Cuba nel 1967, dove occorreva vincere una forte tradizione di «maschismo» e una assai tropicale adesione alla pigra sessualità, per cui le donne impegnate dovevano essere proprio rivoluzionane. In Cile no. Nell’ambiente politico che frequentai, c’erano molte donne e quelle che ho conosciuto lavoravano tutte. Una donna, Martha Harnecker, dirigeva il più grande ebdomedario della sinistra cilena; era — ed è spero — socialista. Nel seminario di studi che facemmo sulla transizione al socialismo, parlarono diverse donne, e la cosa appariva del tutto normale. In una fabbrica tessile parlai con molte donne: erano sciolte, senza timidezza. Avevano poche rivendicazioni che non fossero il salario. Credo che, nel tipo di sottosviluppo cileno (un sottosviluppo economico accompagnato da forme politiche moderne) il problema numero uno fosse il salario, un tetto, da mangiare; e che questo appannasse la coscienza di altri bisogni. C’è anche da pensare che tutta la società viveva con passione o con furore la grande scommessa di Allende: le donne si schierarono pro o contro, mutuandone le scelte essenziali.
Le borghesi cilene hanno fatto da cassa di risonanza ai borghesi cileni. Anche in questo caso non c’è stato un ruolo specifico delle donne, se non quello subalterno.
Augusto Pinochet, generale, che a capo dei «golpisti» ha trascinato il Cile in un lago di sangue. Fucilazioni, campi di internamento, dittatura sanguinaria: un «golpe» senza precedenti in un paese abituato a lunghi decenni di democrazia e di civiltà.
Le vestali della classe media
I tragici avvenimenti cileni hanno messo in luce con chiarezza esemplare le contraddizioni del pensiero borghese, permettendoci di verificare fino in fondo se la borghesia sia o no disposta a risolvere i conflitti sociali senza ricorrere alla violenza. Democrazia, ordine, libertà, dignità nazionale — i vessilli tradizionali della borghesia quando è al potere — sono stati calpestati in Cile da un giorno all’altro, in nome del più gretto interesse di classe.
L’asfissia economica abilmente provocata e coordinata dal capitale internazionale e dalla grande borghesia cilena aveva provocato il panico fra quei ceti medi che costituiscono il sostegno di ogni progetto controrivoluzionario.
Le donne sono state forse le protagoniste più attive di questa massa oscillante tra rabbia e paura. Il primo colpo di forza contro Allende — diventato poi costante simbolo di protesta — era stata la marcia delle «casseruole vuote», quando oltre 300 mila donne erano scese in strada per protestare contro la mancanza di generi di consumo. Certo le donne delle poblaciones, che hanno combattuto strenuamente nei giorni del «golpe», erano tutte per Allende e pronte a difendere con tutti i mezzi il mezzo litro di latte al giorno per figlio che il governo aveva loro assegnato. Ma le donne borghesi, ridotte dalla società consumistica al solo ruolo di consumatrici, sono state quelle, insieme, più direttamente colpite dalla crisi economica e più direttamente coinvolte nell’ideologia consumistica borghese.
Il sostanziale equivoco di una equazione: evoluzione del costume = emancipazione femminile, si è rivelato in Cile con molta chiarezza. Le cilene sono, almeno rispetto alle donne di altri paesi latino-americani, evolute; tuttavia, il fatto che la donna superi uno stato di inerzia e di soggezione, non sembra essere in sé un elemento qualificante di emancipazione.
La sola evoluzione sul piano del costume, non solo non rende la donna elemento di trasformazione sociale, ma può anche renderla uno dei principali veicoli della ideologia della classe egemone: come all’interno della famiglia la donna borghese diventa veicolo della pubblicità, così all’interno di un processo più vasto essa può portare quei modelli di comportamento che l’industria culturale le impone, se non cambia la qualità dei valori che la muovono. Una trasformazione socialista della società — quando tutti gli interessi precostituiti nazionali e internazionale si difendono con tutti i mezzi, non certo scoraggiati dai risultati di una elezione — e pacifica (cioè con l’alleanza dei ceti popolari e medi), sembra dover passare anche attraverso una consapevole lotta al consumismo e alla mitologia del benessere.