il nudo non e in vendita
Germaine Greer: Australiana, laureata all’Università di Melbourne nel 1959, ha preso la libera docenza a Cambridge nel 1968. Ha insegnato letteratura inglese nell’università di Warwick. Autrice dell’«Eunuco Femmina», un best-seller femminista, Germaine Greer vive attualmente in un casolare della campagna toscana. Ha scritto questo articolo direttamente in italiano, lingua in cui sta conducendo una nuova esperienza letteraria.
Lo sfruttamento commerciale della immagine della donna,e, soprattutto,del suo corpo nudo,porterebbe noi femministe a rifiutare per istinto di autodifesa,disgustate,qualsiasi immagine del nudo femminile:per Germaine Greer, invece,il nudo femminile autentico è ancora da riscoprire,e non possono farlo se non le donne,fiere di essere tali.
Il corpo femminile esiste. È un fatto. Non potremmo negare questo fatto senza mentire. Non è l’esposizione del veto corpo femminile che ci umilia; ci offende la sostituzione di un corpo truccato, mascherato ed incompleto a quello vero. Non possiamo pretendere che il corpo femminile esista soltanto come prova della personalità o dell’anima; esiste per conto suo, esprime il suo proprio carattere carnale denuncia le esperienze fisiche molto più chiaramente di quelle spirituali.
Il calendario del «Ladies Home Companion 1973» presentava 12 uomini nudi ed è stato fatto da alcune donne, La loro intenzione era di mostrare l’uomo nella sua totalità; appariva particolarmente significativo un nudo maschile inchinato elegantemente su uno sgabello, ritratto mentre sfiorava le pagine di un libro pesante (si vedeva almeno quanto era grosso): l’uomo, con ogni evidenza un intellettuale, portava occhiali anch’essi dei più pesanti, L’impresa dimostra come noi non osiamo ancora adoperate gli uomini come essi hanno sempre adoperato noi altre, L’unica parte sessuale del corpo maschile era, come sempre, riverentemente (nascosta e nessuna delle fotografe aveva avuto il coraggio di chiedere a questi uomini nudi che facessero qualche piccolo segno di invito, di civetteria. Anche se la ragione di mostrare un nudo è sempre la rappresentazione della «fisicità» dell’essere umano, non per questo spogliarsi è meno giustificato: l’importante è mantenere un equilibrio tra motivazione fisica e motivazione spirituale del nudo. Se neghiamo l’importanza e il fascino del corpo restiamo sempre nel solco tracciato dalla chiesa: odiatrice del corpo ed oppressore spietato della donna. Contro di noi ha sempre operato l’arma psicologica insidiosissima del pudore. Il pudore è stato inculcato’ così profondamente nella donna da essere assunto come carattere congenito della femminilità. La donna attiva, la donna che si fa protagonista, viene considerata maschile. L’educazione alla riservatezza è stata sempre uno dei mezzi più efficaci per annullare la genialità femminile; gli avvenimenti più importanti della vita fisica della donna, come per esempio il godimento sessuale, le mestruazioni, il parto e la menopausa sono sempre stati velati: allo stesso modo che si imponeva il velo, e ancora in certi paesi lo si impone, alle donne obbligate ad andare in chiesa per «purificarsi» dopo il parto. La libidine femminile, l’amore delle donne, non si è mai potuto esprimere nelle opere d’arte. Al momento in cui la donna dovrebbe sentirsi realizzata al massimo, sorge il pudore: balbetta, si confonde, tace, o cambia strada e scrive sonetti devoti.
No, spogliarsi non sempre vuol dire lusingare o civettare; può anche significare la libertà o la disponibilità di sé. Per esempio, nel ‘500 in Inghilterra le donne portavano il vestito scollato e i capelli sciolti sulle spalle finché non erano sposate: subito dopo dovevano coprire il seno e perfino il collo, e legare i capelli dentro la cuffia. La donna non sposata disponeva ancora in qualche misura del proprio corpo; una volta sposata apparteneva invece completamente a suo marito e il suo vestito diventava una cassaforte. La regina Elisabetta ci teneva tanto a questa distinzione che, anche vecchissima, portava i capelli sciolti e il seno (finto) scoperto.
Se noi, in quanto femministe e disgustate dallo sfruttamento commerciale del corpo della donna, poniamo un veto alla rappresentazione del nostro nudo, perpetuiamo lo stesso errore dell’Inghilterra cinquecentesca, rinchiudiamo il corpo della donna di nuovo nella cassaforte, facendone aumentare il valore di mercato, e quindi la possibilità massima di sfruttamento commerciale.
La censura non può funzionare come arma della lotta di liberazione della donna, primo perché è sempre un’arma dell’oppressione e dell’oscurantismo e poi perché la situazione contemporanea, schifosissima com’è, è direttamente risultante dalla censura. La censura vuol dire soltanto nascondere i fatti, reprimere l’espressione della realtà economica e morale in modo che fiorisca di nascosto, che cresca e si invigorisca e arricchisca di più proprio perché è fuorilegge. Il giro enorme della prostituzione nell’Italia meridionale ci fornisce l’esempio più chiaro di questa dinamica. Le prostitute, le fotomodelle, le spogliarelliste, sono oppresse esattamente come noialtre, anche se siamo madri di famiglia, suore, commesse o giornaliste. Dobbiamo per forza aggirare il sistema maschile se vogliamo essere realistiche e non teoriche. La rivoluzione non si farà domani. Possiamo lottare tutta la vita per rendere meno dure le condizioni della nostra resa, ma se pretendiamo di non arrenderci ci inganniamo. Sotto il capitalismo ognuno è un prostituto, però anche le prostitute possono usare la loro forza collettiva come tutti i lavoratori per iniziare una vera e totale lotta di classe. Non potremo mai respingere una parte della collettività femminile nel caos individualistico della malavita, dove le donne vengono divise e sfruttate più che mai. Invece dovremmo incoraggiare ed appoggiare tutte le iniziative di lotta delle «salariate sessuali», siano mogli o prostitute, così che non rimangano prive di potere e possano influenzare anch’esse le condizioni del loro lavoro.
La nostra tattica deve usare il meccanismo opposto a quello censorio. Abbiamo un dovere positivo di smascherare l’ipocrisia schifosa dell’etica sessuale, e non possiamo fare a meno della cooperazione delle donne che la conoscono a fondo e nel lato più orribile. Ingiuriarle, disprezzarle, castigarle sarebbe miope e reazionario. Anche se, personalmente, possiamo considerarci salve dalla necessità di farci vedere le cosce per trovare lavoro, dobbiamo considerarci privilegiate o fortunate, ma non superiori alle altre. Infatti si può sostenere che mettere l’immaginazione e il cervello al servizio di qualsiasi giornale in vendita è una prostituzione molto più radicale e insopportabile che quella di truccarsi e portare vestiti scollati per adescare la clientela. Il nocciolo del problema, però, è quello dell’immagine della donna, dell’iconografia nociva che abbiamo dovuto interiorizzare come conseguenza inevitabile dello sfruttamento universale delle attrattive del corpo femminile, ai fini del maschio.
È stata la fotografia a partorire questo mostro. I pittori si sono sempre interessati del corpo della donna come motivo decorativo e significativo, non come pornografia. Il pittore, inoltre, non copia esattamente quello che dipinge, lo inventa. La forma della donna nella pittura viene sottoposta alle leggi della composizione, perciò diventa una proposta estetica, una disposizione di masse, linee, tessuti e colore. Anche se molti quadri trattano di voluttà e piacere, non si definiscono come proposte erotiche. La pittura non consiste in sguardi rubati al vietato e non propone la verità letterale. Non siamo spinti a dirci «Così dovremmo essere se vogliamo piacere». La bellezza che vediamo non è quella della donna, ma quella del quadro. La fotografia è più elementare, direttamente legata alla trascrizione di una realtà esterna, anche se le possibilità di falsificazione sono uguali a quelle della pittura. La fotografia ci inganna perché finge di rappresentare i fatti. Il corpo della fotomodella esiste indipendentemente dell’immagine che se ne riceve. Visto che lo scopo della pin-up è sempre quello di eccitare la lussuria maschile e così vendere migliaia di copie del giornale, il fotografo si deve concentrare sui caratteri sessuali senza accentuarli tuttavia troppo, sfruttando il fascino dell’oggetto tabù senza però provocare l’ansia e il disgusto di esso. Così gli impresari del nudo si sono costruiti una convenzione assai banale, facilissima da rappresentare coi mezzi limitati della stampa. Basta far vedere le mammelle alte e grandi, la vita stretta, natiche ampie, gambe lunghe, con la possibilità di esasperare tutte queste caratteristiche per mezzo della lente fotografica. Il tipo di bellezza così fabbricato è del tutto rato nella vita quotidiana. Il nostro guaio è che, però, ormai è diventato normalissimo nella immaginazione sia dell’uomo sia della donna. Un assistant editor di Playboy mi disse che l’uomo che si illude di potere un giorno o l’altro fare l’amore con una Playmate deve essere certamente un indi; viduo infantile e poco intelligente: «si fa l’amore, infatti con le persone, non con le fotografie», osservava il collaboratore di Playboy. Sarebbe un’osservazione giustissimi ma la sessualità non è un fatto razionale. Purtroppo pel’ tanti uomini l’amplesso non ha come partner una persona reale, ma un simbolo in cui si possono radunare tutte le immagini erotiche, e quasi sempre stereotipe di cui si dispone. L’uomo che ti -bisbiglia all’orecchio, al buio «Tesoro, tesoro, tesoro», potrebbe essere uno che si è dimenticato semplicemente il tuo nome. A parte gli atteggiamenti masturbatori degli uomini, bombardati continuamente da questa immagine della «donna veramente donna», dobbiamo analizzare i risultati molto più gravi che questa immagine falsificata produce sulla donna stessa. La donna normale non somiglia allo stereotipo: il suo corpo ha bellezze che dipendono essenzialmente dall’armonia esistente tra le parti di esso, dal movimento e da ciò che può esprimersi da tutto l’insieme. Ma la donna purtroppo non può rendersi conto della propria bellezza se non ne riceve conferma dal mondo esterno. La donna vera ha muscoli, mani che lavorano, peli, piedi che camminano, seni che allattano, un corpo che agisce, che soffre, che invecchia. Niente di tutto ciò si trova nella immagine commerciale della donna.
Anche le donne più giovani e più blandite si sentono minacciate dalla esistenza di quest’oggetto così comune e sì irraggiungibile. Chiedono scusa, delle mammelle, delle natiche, dei peli, della propria età, delle tracce dei figli che hanno messo al mondo. Così è stato distrutto tutto l’orgoglio e la fiducia delle donne. La creazione di questa norma inespressa ci fa truccare, conciare, depilarci, farci l’intervento al seno; fare la cura dimagrante, temere la vecchiaia inevitabile più del colera.
Lo scopo e la profondità di questa tirannia si può illustrare con un solo fatto. Ci sono al mondo delle donne che sono così depresse per i cosiddetti difetti al .seno che la plastica del seno viene fatta per esse a spese della pubblica assistenza (Australia) e che la desiderano appassionatamente, anche quando i mariti sono contrari. In certe carceri femminili cercano di sollevare il morale delle carcerate (di solito non criminali ma disadattate) insegnando loro come truccarsi, persino offrendo loro la possibilità dell’intervento cosmetico. Possiamo odiare questi tentativi di reinserire le ribelli nel giro del sistema, però dobbiamo anche evitare la crudeltà del nuovo puritanesimo che non vuol accettare che il corpo abbia importanza alcuna. Infatti nessuno sa finora l’effetto della fisionomia sulla formazione del carattere: ingenuamente crediamo che avvenga il contrario: che sia la mente ad influenzare il corpo, il che non è assolutamente vero. Il corpo vive. Il rifiuto di concedergli la propria importanza non è che un pregiudizio intellettuale.
La donna non s’imbellisce per ordine dell’uomo, né tantomeno perché capitola ai suoi desideri. Dei fascisti, per esempio Hitler, hanno persino vietato alle donne l’uso del trucco. Alle donne più oppresse spesso è proibito il rendersi più attraenti, lo sciogliersi i capelli, il portare colori vivi, come per esempio le soldatesse, le insegnanti, le serve, le studentesse. La donna si è sempre espressa attraverso il proprio corpo come l’uomo «primitivo». Durante certe epoche, di solito epoche permissive e comparativamente libertarie, anche gli uomini si sono presentati come oggetti attraenti. La divisa triste dell’uomo perbene non è altro che un indizio della propria oppressione. L’esistenza di un concetto di bellezza non costituisce in sé la piaga delle donne. Questa si trova nel fatto che questo concetto è diventato ristrettissimo e volgarissimo, così che può regnare un solo tipo confezionato senza immaginazione e senza tenerezza. Solo la donna eccezionale può valutare la propria bellezza e realizzarla secondo il suo gusto indipendente, fregandosi dell’incapacità dell’altra gente di vederla e apprezzarla. La gran maggioranza delle donne seguono disastrosamente stili estranei a loro stesse, invece di Sventare uno stile individuale. Cercano disperatamente di pagare il proprio corpo, la propria età, la propria carnagione. Così il regno dello stereotipo viene assicurato e il processo s’intensifica. Esiste già negli Stati Uniti una razza di femmine confezionate, che si sono fatte interventi agli occhi, ai nasi, ai menti, ai seni, alle natiche (la lipidectomia), in modo che sono effettivamente indistinguibili Luna dall’altra. Questo fenomeno è l’ultima negazione della vera bellezza della donna.
Il problema più urgente quindi sarebbe come salvare la vera bellezza della donna naturale così trascurata dalla volgarità della stampa maschile colla sua banale ripetizione di «tits’n’ass, ass’n’tits, tits’n’ass» (sarebbe tette-culo, culo-tette, tette-culo nella frase di Lenny Bruce). Dobbiamo imparare ad apprezzare la bellezza femminile per conto nostro, il che non è facile, perché anche noi siamo invase dai fantasmi seno-natiche. Dobbiamo spiegare la nostra propria bellezza in modo più ampio, più vario, più intelligente e perciò più eccitante. Invece di ributtare la donna di nuovo nelle tristezze del puritanesimo, dobbiamo infonderle fiducia ed orgoglio, perfino impudenza. Dobbiamo adoperare il corpo femminile come strumento di espressione della nostra speranza, del nostro futuro, non ricacciarlo un’altra volta dentro il busto di timore e vergogna. Ormai le riviste semi-pornografiche sono giunte ad uno spazio morto. Ricorrono agli attrezzi più strani per rendere la loro ricetta monotona un po’ più piccante, dandoci un brivido di perversione, dando al seno-natiche il carattere di bambina, di suora, di sadica cogli stivaletti e la pelliccia, di malsana sdraiata nel letto disfatto cogli occhi allucinati ecc. ecc. Non dovrebbe essere troppo difficile l’impegnare più fantasia, più sensibilità, più creatività nel ritrarre il vero fascino della donna.
Si dovrebbe fare capire alla gente accecata l’erotismo del corpo della donna che lavora, della campionessa, della madre, della donna anziana, l’attrazione potenziale ed attuale di ognuna di noi. Dobbiamo fare come Van Gogh quando gioiva del corpo della sua amante, una povera donna col corpo tutto segnato dai parti e dal lavoro pesante. Cercava di farle capire che il suo corpo era per lui molto desiderevole, e che lui sarebbe stato capace di farlo capire a tutto il mondo. Noi dovremmo sentire e tentare altrettanto. Così il sensualismo s’inserisce di nuovo nella sfera delle emozioni sociali, invece di essere una specie di orgasmo isolato e meccanico.
Per Van Gogh bastava la carta e il carboncino; noi dovremo giungere alla battaglia contro la donna seno-natiche, le cui forze sono migliaia mobilitate nel mondo intero, a disposizione della quale ci sono miliardi in tutte le monete del mondo. Diventare fotografe per poter imporre la nostra immagine del nudo femminile sarebbe difficile e costosissimo fin dall’inizio; poi ancora più difficile stampare e distribuire le fotografie. Sarebbe molto più facile rifiutarsi di affrontare il problema dell’erotismo del corpo femminile; anzi ci eviterebbe la possibilità di sconfitte assurde. Sarebbe anche una vigliaccheria.
Ci si libera solo da sé. Se aspettiamo che gli uomini trovino un modo giusto di guardare alle donne, aspetteremo per sempre. I neri ci hanno fatto capire il fascino del nero; le donne dovrebbero farci capire la vera bellezza della donna.
Il mondo ci darebbe delle lesbiche visto che ci intratteniamo tanto del corpo femminile. Infatti tutte le donne fantasticano sul corpo femminile proprio perché solo la donna esiste nella nostra cultura come oggetto sessuale. (Può essere che dovremmo incominciare a realizzare l’immagine erotica del maschio, ma questo è un altro discorso). Ad ogni modo dobbiamo liberarci da questo spettro che ci sta sempre addosso.
Il falso: un profilo di donna ritoccato pubblicato da Playboy, «La fotografia ci inganna perché finge di rappresentare i fatti»,
II vero: un corpo naturale di donna — una donna di 47 anni —, senza giochi di luce, senza trucchi. L’opposto dell’immagine della «pin-up» creata unicamente per eccitare gli uomini.
Il nudo nella maternità, un momento difficile per la donna proprio perché in quei mesi il corpo femminile non corrisponde a quei «canoni» artificiosi voluti dalla «cultura maschile».