alice nel ghetto
Lorenza Mazzetti. Scrittrice, giornalista, regista cinematografica, ha scritto fra l’altro «Il cielo cade». Per incarico del Teatro Stabile di Roma sta svolgendo un lavoro di drammatizzazione di sogni tra i bambini che frequentano le scuole delle borgate romane. Da questo materiale è tratto il sogno che pubblichiamo.
Questo è il sogno di una bambina di nove anni, della quarta elementare della borgata San Basilio a Roma. In questo sogno, la bambina elabora positivamente la frustrazione subita, a causa del rimprovero del padre. Per capire i meccanismi delle elaborazioni oniriche, bisogna rendersi conto che un rimprovero non è vissuto, nell’inconscio, come un semplice rimprovero, ma produce la morte del soggetto rimproverato perché per l’inconscio odiare (in questo caso rimproverare) equivale ad uccidere. Ma perché la bambina rimproverata, e cioè odiata, in questo sogno non muore? Perché trasferisce la propria aggressività, la voglia di vendicarsi del rimprovero paterno, costruendo degli ‘ altri ‘, che tornano incessantemente nella sua casa, cercando di uccidere il padre. Allora lei, potendosi permettere di decidere della vita del padre, se salvarlo o invece farlo assassinare, in questa potenza realizza la propria vittoria. In questo senso ha elaborato positivamente la frustrazione: infatti è lei l’eroina che dà la vita a suo padre. Si può definire questo il tipico sogno di una bambina, piuttosto che di un maschio? No, perché questo è un sogno di tutti i bambini rimproverati dai genitori. I sogni dei bambini non sono distinguibili secondo il sesso, ma sono distinguibili secondo il tipo di elaborazione del dolore e della frustrazione subita. I sogni infantili possono essere quindi divisi in tre gruppi fondamentali. Al primo gruppo appartengono i sogni, sia di bambine che di maschi, in cui l’elaborazione dell’offesa avviene secondo la legge del contrappasso, dell’occhio per occhio, del dente per dente, lasciando il bambino in un circolo vizioso, in un meccanismo che si riproduce incessantemente: morti inferte e subite. All’assassinio, primario, rappresentato dal rimprovero paterno, segue, in sogno, un assassinio del padre da parte del bambino offeso: un crimine, questo ultimo, che deve essere lavato coll’assassinio del figlio, a opera di animali o di personaggi simbolici. Al secondo gruppo appartengono i sogni nei quali i bambini non avendo la forza di reagire uccidendo il padre, erotizzano la punizione ricevuta. Nasce la personalità succube che non potendo soddisfare il bisogno dell’Eros — amare ed essere amati — lo soddisfa erotizzando l’unica forma di amore offerto, la sopraffazione. Il bambino vive la sopraffazione, comunque, come una forma d’amore, sia pure deviata: mentre l’indifferenza sarebbe intollerabile. Anche qui i sogni dei maschi e delle femmine sono analoghi: sono le conseguenze sul piano del comportamento ad essere diverse: infatti la bambina che erotizza la punizione paterna sarà una donna masochista e succube dell’uomo, e resta nel campo dell’eterosessualità: il maschio invece che erotizza la punizione paterna, avrà la strada aperta all’omosessualità. Il terzo gruppo di sogni inferitili è quello in cui i bambini ristrutturano vittoriosamente il proprio io, distrutto dalla punizione paterna. È il caso che stiamo esaminando. La bambina rimproverata, infatti, va a ietto con lo «gnocco»: ha Perso cioè l’amore del padre ha perso il padre, come se fosse morto, si trova in una situazione di lutto. L’elaborazione fantastica del lutto, attraverso il sogno, le permette di soddisfare al tempo stesso l’aggressività contro il padre (suscitando i fantasmi degli assassini di lui) e l’amore per il padre (salvandogli la vita). Questo sogno denota anche la nascita dell’io, la capacità di controllare gli eccessi dell’ES, per non cadere in punizioni frustranti. Vedi il gonfiarsi e lo sgonfiarsi di questa Alice di borgata. Qual’è l’incidenza della vita di borgata in questo sogno? Per i bambini di borgata, più che per i bambini borghesi, il padre è vissuto come una onnipotenza. Il suo rapporto con il Dio è ovvio, la sudditanza della madre accentua la forza paterna. II modo con cui l’Onnipotenza paterna si esercita è primitivo come nelle fiabe l’orco: urla, mena, divora. Anche il rapporto carnale padre-figlio o padre-figlia è molto più intenso, creato com’è dalla punizione fisica, dalle percosse. In questo ambito si profila anche il rapporto incestuoso, che è da ritenersi comunque meno distruttivo della personalità del bambino di quanto non lo sia il gelo espresso da un padre borghese nei confronti del figlio. Chi non aggredisce fisicamente, chi non mena, rende ancora più difficile la possibilità, ed il piacere, della vendetta, e determina, nello offeso, quella situazione di morte «ontologica» che Laing chiama «medusaica» Riferendosi allo sguardo pietrificante della medusa. Essere pietrificati è certamente peggio che essere passionalmente odiati e quindi odiare.