quanto è femminile la questione nel pci?
Le tesi congressuali, nonostante lo spazio dedicato alla donna, dimenticano nodi cruciali quali la sessualità e la famiglia.
A marzo si dovrebbe tenere il XV congresso del Partito Comunista Italiano. Per l’occasione sono state pubblicate le tesi da discutere nelle varie sezioni in vista del Congresso e che contengono le proposte comuniste per affrontare i problemi nazionali e internazionali.
In questa Iista immensa e sommaria troviamo alcuni passaggi dedicati in modo particolare alla questione femminile. Si ammette che «oggi le nuove dimensioni della questione femminile mettono in luce contraddizioni che, vissute più acutamente dalle donne, riguardano l’intera organizzazione della vita. Il movimento operaio deve far propria la causa dell’emancipazione e liberazione piena della donna».
Al di là di queste nobili enunciazioni le tesi tacciono però su argomenti quali la sessualità e la famiglia, che pure sono alcuni dei nodi specifici in cui è più evidente la contraddizione uomo-donna.
Tuttavia le tesi hanno il merito di riconoscere che «I problemi delle donne, del loro lavoro, della maternità, del rapporto uomo-donna, non costituiscono ancora, nella misura necessaria, parte integrante e organica delle piattaforme programmatiche e delle scelte generali politiche delle forze democratiche e del movimento operaio. Troppo spesso persistono chiusure politiche, ideali e di costume». Speravamo che al convegno sul tema “Movimento operaio, movimento delle Donne e tesi del Pci” che si è svolto a Roma il 2 febbraio emergesse — con più chiarezza — che le donne comuniste spesso si trovano sole a lottare contro quei ritardi di cui parlano le tesi. Purtroppo al convegno poche hanno affrontato direttamente questo aspetto del problema. Per questo abbiamo deciso di parlarne noi con alcune compagne comuniste. Che qualcosa sta cambiando nel Partito Comunista emerge anche dal fatto che, a differenza di pochi anni fa, alcune comuniste militanti ora si sentono più libere di criticare ed attaccare i compagni che fanno ì femministi a parole e nei fatti sono trogloditi.
Colloquio con Danis Frigato responsabile femminile PCI Veneto e Rossana Branciforti deputata del PCI.
Qual è lo spazio reale che hanno le donne dentro il partito?
Danis. Non c’è dubbio che a livello teorico (anche le tesi lo dimostrano) il PCI non solo ha recepito ma è anche propositivo in una lotta per la emancipazione e la liberazione delle donne. Nella pratica però le compagne sostengono una lotta quotidiana per «difendere» certe conquiste. Gli organismi dirigenti sono essenzialmente maschili e gratta gratta sotto il comunista trovi il filisteo, tanto più quando sali ai livelli intermedi.
Puoi farmi qualche esempio?
Sì. Con l’approvazione della legge sull’aborto, c’è stata una mobilitazione essenzialmente delle donne. Nella mia regione è accaduto persino che, secondo alcuni compagni, intendo dirigenti regionali, si sarebbe dovuta accettare la proposta dell’assessore DC alla sanità di non applicare in tutti gli ospedali la legge nazionale.
Incredibile, com’è stato possibile?
Il Veneto è la regione più ospedalizzata d’Europa e i DC che prima hanno fatto proliferare come funghi gli ospedali seguendo la solita logica clientelare (gli ospedali sono 74 di cui 65 con divisione ostetrico-ginecologica), poi hanno deciso di rispondere alla domanda d’aborto applicando la legge solo in metà degli ospedali, per scoraggiare la domanda stessa. Inoltre la giunta regionale DC ha emanato una circolare di aperto invito alla obiezione di coscienza, e ha addirittura incluso un facsimile per la domanda d’obiezione inviato a tutto il personale degli ospedali, compresi cuochi e addetti alle pulizie.
Di fronte a questa situazione voi comunisti cosa avete fatto?
La commissione femminile ha predisposto una serie di iniziative, ha richiesto alla giunta di fare convenzioni con medici privati, di mobilitare il personale, di costituire équìpes itineranti in modo che il servizio potesse essere garantito in ogni ospedale. Su questo programma c’era accordo generale tra donne dei partiti laici, femministe e UDÌ. Questa linea è stata giudicala massimalista da alcuni dirigenti PCI e non giusta perché si contrapponeva troppo frontalmente alla giunta monocolore DC Dopo varie riunioni si è di fatto accettata la linea della commissione femminile, ma non ci si è impegnati per fare rispettare nella pratica il principio che le leggi dello Stato vanno applicate e che questo dovrebbe essere il compito della regione.
Questo avrà contribuito a rendere più difficile l’accesso all’aborto per le donne del Veneto?
Infatti, siccome tutto il partito non si è impegnato a fondo, le resistenze della DC fanno sì che solo circa la metà degli ospedali praticano l’aborto.
Ci sono stati altri episodi di disparità tra teoria e prassi di questo tipo?
Forse l’esperienza dei consultori è ancora più emblematica (tieni conto che il presidente della Commissione Sanità è un compagno). Nel 1977 bisognava distribuire i fondi della 405 ai comuni che ne hanno fatto richiesta. Poiché la maggioranza dei comuni richiedenti erano di sinistra la DC ha proposto in «nome della programmazione» di dare i soldi non ai comuni richiedenti, ma alle unità socio sanitarie locali ancora largamente inesistenti (ce ne sono 13 su 49). In questo modo la DC si proponeva di rallentare il processo di elargizione di fondi ai comuni di sinistra.
Non è possibile che alcuni dirigenti comunisti fossero d’accordo su questo: non era come darsi la zappa sui piedi?
Ti posso solo dire che la Commissione Femminile certamente non era d’accordo. Altri compagni però pensavano che il consultorio è una specie di «cosa» dove dentro ci sono tutte le «cose» irrisolte della nostra società e che la lotta delle donne per i consultori doveva essere utilizzata per premere per l’attuazione dell’intera riforma sanitaria e dell’USSL.
Ma le USSL dovranno proprio essere un’insieme di servizi, tra i quali ci sarà pure il consultorio, dunque tanto valeva avviare intanto i consultori per cui c’erano soldi disponibili.
Non ci sono le idee chiare. Si è arrivati ad un compromesso: i compagni si sono astenuti sulla proposta DC.
Mi sembra da questi esempi che spesso le vostre energie di donne PCI sono spese per vigilare e lottare con i compagni maschi per condurre battaglie sui problemi delle donne. Questo non vi crea problemi di inimicizie che pesano quando sì tratta di accedere ai massimi livelli di direzione?
Come no! Tant’è che la nuova leva femminile di dirigenti provinciali e regionali si fa capire di più dai compagni ma a spese d’una perdita dello specifico.
E le più combattive che fine fanno?
La tendenza media è di spostarle in altri settori, in qualche caso di mandarle nei movimenti di massa (CGIL, COOP, Contadini, ecc.). La cosa meraviglia quando pensi che la questione femminile assume sempre più contraddizioni di sesso all’interno del movimento operaio e del partito.
Come si manifesta questo?
Prendi l’esempio del part-time. Siamo state accusate dai compagni di essere arretrate e ideologizzate perché l’essere moderni presupporrebbe fare gli errori delle socialdemocrazie europee, la cui strada noi stessi diciamo di non voler percorrere. Eppure sono state rilasciate interviste a favore del part-time. C’è stato e continua ad esserci uno scontro con i compagni, anche se recentemente siamo riuscite a far passare la linea della commissione femminile sul part-time a livello di direzione nazionale. Siamo cioè per la regolamentazione del part-time dove è già applicato; contro la sua introduzione in nuovi settori visto che non servirebbe ad introdurre nuove donne nel mondo del’ lavoro ma andrebbe a danno delle donne occupate nel nord.
Pensi che stavolta i compagni rispetteranno questa presa di posizione della Direzione che viene incontro alle istanze delle donne?
Ne dubito. Per esempio il nostro segretario regionale ha sostenuto che una società moderna non può non proporsi il discorso del part-time.
Le esperienze che avete avuto all’interno del partito in questi anni, unite alla crescita del movimento delle donne all’esterno dei partiti, come, hanno mutato secondo voi le donne del PCI?
Rossana. Contiamo di più nel partito ma sentiamo ora l’esigenza di una alleanza con altre donne sia fuori che dentro le istituzioni. Bisogna però distinguere a seconda delle generazioni. Lo scontro che c’è stato tra movimento femminile e femminista, soprattutto all’inizio ha portato una parte delle giovani dirigenti comuniste a rinchiudersi nel partito e ad assumere le logiche interne, a ricercare cioè sicurezza nelle mediazioni e nei metodi interni al partito. Questo fa parte di un movimento generale della nostra società che ha portato le nuove generazioni non più a lottare come avanguardie, a pagare di persona, sia a livello privato che pubblico, ma a ripiegarsi sulle acquisizioni del passato. C’è perciò anche tra le giovani PCI una riscoperta della famiglia, una rivalorizzazione delle proprie esigenze personali, che sono giuste; ma a volte si arriva anche al punto di teorizzare la priorità del ruolo della donna nella famiglia rispetto ad un impegno politico sociale. Mentre la generazione più giovane si è ripiegata su se stessa, riflettendo la crisi giovanile più generale (Berlinguer è un sovversivo in confronto con certe giovani FGCiotte) l’esperienza delle donne sopra i 30 anni va nella direzione opposta. Prima di tutto nelle sezioni si sono liberate del complesso di essere ghettizzate nelle commissioni femminili, hanno acquisito un ruolo sia più complessivo che più specifico. Hanno riappreso dal femminismo la rabbia, la necessità di scontrarsi anche nel privato coi mariti compagni, la voglia di riunirsi fra sole donne.
Mi interessava capire particolarmente perché secondo te le donne giovanissime partecipano con meno grinta delle trentenni, forse sono solo meno interessate a far politica nel modo tradizionale, cioè subordinando il personale alle regole del gioco politico, vivendo in modo scisso?
C’è un problema di fondo generale. Noi oggi abbiamo un proliferare di nuovi soggetti sociali, giovani, donne, emarginati in genere. È una riduzione della base produttiva. Occorre dunque affrontare il problema del rapporto tra classe operaia e questi nuovi soggetti emergenti. Gli uni e gli altri sono vittime di una società a capitalismo maturo, ma mentre la classe operaia vive questo rapporto con il capitalismo in modo diretto (può incidere direttamente con la lotta sul capitale) gli altri soggetti vivono questo rapporto di contrasto in modo mediato, testimoniando se stessi e la propria condizione. C’è da dire che questa «testimonianza» come nel caso delle donne è tale da ottenere risultati sulla condizione di vita, senza i quali sarebbe impensabile parlare di liberazione. Il partito non può dunque avere una linea di sommatoria di bisogni di soggetti diversi che potrebbero sfociare a livello sociale in un corporativismo. Occorre creare nuovi momenti aggreganti. Le strutture del partito, vanno cambiate perché sono troppo staccate dalla società.
A proposito di distacco tra strutture formali della politica e cittadini, tu che sei deputato, che esperienza hai vissuto come donna a Montecitorio?
Come donna, che aveva sempre fatto politica da donna, cioè partendo dai problemi concreti e badando ai contenuti mi sono accorta che spesso gli uomini, purtroppo anche i compagni recepiscono la politica come questione separata. In Parlamento inoltre ho fatto l’esperienza di un posto che si misura in secoli d’arretratezza, sul modo di lavorare. Ci sono saloni, fatti solo per chiacchierare, dove non c’è un posto in cui sedersi a studiare. Inoltre non mi piace il modo di fare le leggi nel chiuso delle Camere senza un vero confronto con la gente. Occorrerebbe fare le leggi con la gente, discuterne a fondo prima e non andargliele a spiegare dopo, spiegando dopo anche i compromessi che si sono dovuti fare.
Gestendo un certo potere come parlamentare tu come sei cambiata?
Non sono cambiata. Il solo potere che ha sempre contato per me è quello di stare legata alla gente. In fondo poi il potere d’un parlamentare non è molto elevato. Ho lottato invece qualche volta per persuadere i compagni a votare certe misure in favore delle donne. Per esempio sulla legge della riconversione industriale, ci siamo battute per la fiscalizzazione degli oneri sociali solo alle donne. Sull’aborto ci sono stati scontri duri sulla questione della decisione della donna e sulle minorenni. Sul concordato, sugli enti inutili ne sono prevedibili altri.