danza

il balletto la cultura la felicità

un pianeta femminile non ancora del tutto esplorato, dalle mitiche prime ballerine dell’ottocento alle schiere di bambine in scarpette rosa e tutù fino alle asessuate ballerine contemporanee, dialogo con vittoria ottolenghi, una delle più qualificate esperte in questo campo

maggio 1982

L’immagine della “prima ballerina” dell’ottocento, dell’ètoile vezzeggiata e adorata, ricca e famosa, sembra quasi incarnare un ‘idea di donna diversa, più libera delle sue contemporanee, almeno a prima vista. Questa donna, che si prendeva il lusso di avere diversi amanti, che accettava la corte di principi e sovrani, che stipulava contratti con diversi teatri d’Europa, sembra quasi assomigliare ad una figura di libera professionista dei nostri giorni. Cosa e ‘è di vero?
Io non penso assolutamente che il mestiere della ballerina sia mai stato realmente un mestiere in cui la donna era libera, libera e importante come generalmente si crede. Questa donna, con tanto di alucce e coroncina, posta su un piedistallo, in cima alla scala sociale del teatro, pagava per tutto ciò che aveva un prezzo altissimo. Innanzitutto doveva aderire ad un’immagine bella in sé, meravigliosa, romantica, di una creatura al di sopra di ogni cosa, che viveva in una dimensione irreale, il simbolo della poesia, dell’ispirazione, di quanto c’era di più bello, che l’uomo inseguiva, irrangiungibile…Ma era per lei categorico aderire a quell’immagine, che non aveva in alcun modo contribuito a creare, che era piuttosto il frutto di una cultura, poco importa se maschile o femminile, ma in ogni caso di qualche cosa di già istituzionalizzato e della quale non era che la “emanazione”. Perché era la cultura ufficiale dell’Ottocento che la “prima ballerina” incarnava, e questa adesione ad un’immagine era, innanzitutto, una forma di schiavitù.
E poi, come pensare che dietro ogni donna, dietro ogni gruppo di donne, in una compagnia, il vero depositario del potere, e anche di ogni creatività, era l’uomo. La donna era esclusivamente, nel migliore dei casi un’interprete. Ma era l’uomo che “tirava la carretta”, e che tirava i dadi: una poteva essere anche “la Taglioni”… ma se non c’era il su’ babbo, il su’ fratello, il su’ zio…non era nessuno.
E la Grisi, divina, amata da Gautier, che sapeva cantare e incantare, era soltanto un involucro meraviglioso per le “trame” di suo marito Perrot. E questo perché, per tutto l’Ottocento, gli unici che avevano accesso alla danza nella sua fase creativa erano gli uomini.
Le cose sono state realmente rivoluzionate, invece, dalla “solita” Isadora Duncan, che tutto ha rivoluzionato e che, anche se aveva anche lei un fratello, seppe dimostrarsi da sola genio, un talento, e cominciò a inventare da sé le sue danze. L’aveva già fatto Lòie Fuller, ma la Duncan lo fece in maniera più piena e clamorosa. E cosi che, con la nascita della danza libera, si arrivò ad una situazione se non altro di parità. Fu a questo punto, quando la donna cominciava ad avere accesso alla creatività e sembrava che fosse sul punto di prendere il sopravvento, in America, con Martha Graham e Ruth St Denis, prima di lei, fu a questo punto dicevo che dal gusto estetizzante di Diaghilev e compagni, per un fenomeno che aveva legami profondi con la cultura del tempo e con un certo dannunzianesimo, cominciò a nascere il mito del ballerino “divo”. Nijinsky, che per primo incarnò questo mito, ne rimase schiacciato, ne impazzì. Le sue creazioni perdute, che per il profumo che hanno lasciato nella letteratura e nelle testimonianze dei suoi contemporanei, abbiamo ragione di credere che fossero degli autentici capolavori, rimasero incomprese, e Nijinsky rimase prigioniero della sua immagine, ancora una volta un’immagine imposta e costruita, come è accaduto tante volte alle donne, che doveva gravargli addosso come le alucce devono aver gravato sulle spalle di tanta gente, Fracci compresa.
la messa del soldato
Oggi si è arrivati forse ad una situazione abbastanza soddisfacente, perché, realmente, come accade in certi matrimoni, si è cominciato a capire che per andare d’accordo, in una compagnia dove ci siano dei buoni creatori, ci deve essere una situazione di notevole parità: questo non significa che non si debba, come in certi casi Béjart, schiacciare la donna per esaltare l’uomo.
Ormai in moltissime compagnie americane ed anche europee, il Nederlands Dans Theater, per esempio, esiste una certa intercambiabilità dei ruoli. Penso in particolare alla “Messa del soldato” di Jiri Kilian, un bellissimo lavoro il cui impatto è assolutamente identico sia che siano tutti uomini, sia che siano tutte donne a danzarlo. Un po’ come, paradossalmente, ma genialmente, ha fatto Bejart col “Bolero” di Ravel. C’è, oggi secondo me, questa tendenza a scambiarsi i ruoli, senza tuttavia però che questo significhi rinunciare a certe connotazioni, a certe commozioni, tipiche del corpo femminile. Mi sembra, tutto sommato, positivo questo cammino verso una fase in cui sia l’uomo che la donna potranno valersi degli stessi attributi, diciamo cosi, “tersicorei”. Dove sta scritto che una ballerina non debba saltare quanto un uomo e non debba essere forte come un uomo, e che un uomo, per il fatto di essere uomo, debba rinunciare alla dimensione della grazia? La Plisetskaya salta come un uomo, e Vassiliev ha la grazia di una meravigliosa donna, e io amo moltissimo tutti e due.
Sono d’accordo. È vero che l’uomo e la donna devono lottare per impadronirsi l’uno delle prerogative dell’altra e viceversa, Manon ti sembra però che questo sì traduca, sempre più spesso, oggi, in un assottigliarsi fino quasi a scomparire, della qualità e dell’identità femminile, nel balletto?
Non vorrei che tu mi avessi frainteso. Mi piace di vedere che la Plisetskaya abbia le stesse prerogative, nel salto, e in altri passi, stiamo parlando sempre di danza, dei suoi colleghi maschi. Come mi piace vedere Vassiliev, che un pochino incarna, addirittura, lo “spirito virile dell’uomo nuovo sovietico”, tale che più in là non si può andare…che ha invece degli improvvisi languori, nei passi, nello stile, nelle sequenze creative per lui…Questo non significa che io auspichi l’avvento di un genere di danza dove l’identità sessuale appaia indistinta. Nel mondo che io voglio non sarà chiesto alle donne di rinunciare a tutte le meravigliose prerogative degli uomini e viceversa. Io mi voglio tenere stretti tutti e due i lati della vita, e anche nella vita privata ci tengo moltissimo ad essere una donna, ad essere una madre, una moglie, magari anche “pluridecorata”, addirittura…, e ad essere forte, ad essere autonoma, ad essere indipendente. E, come nella vita, ci tengo moltissimo a vedere sul palcoscenico una donna bella, dolce e forte, e un uomo forte, e dolce, e bello.
le mamme delle formichine
Vorrei parlarti di un certo fatto che mi ha dato di recente da pensare: in Russia le ballerine godono di tre giorni facoltativi di riposo in coincidenza col ciclo mestruale — in America, nelle maggiori compagnie di balletto, una percentuale alta, significativamente alta, di ballerine, non ha, mestruazioni, non le ha affatto o le ha “solo una volta ogni tanto”. Pare che ciò dipenda dal peso troppo scarso che sono costrette a mantenere.
Non ti sembra che questo abbia un suo riflesso puntuale anche in gran parte della produzione americana e anglosassone? Il balletto sovietico ha i suoi problemi di immobilismo e di creatività certo, ma ha prodotto anche in tempi recenti, figure di donna incantevoli pur se tracciate nell’ambito della più rigida tradizione. Oltre oceano sembra addirittura che si vadano perdendo “ì segni” del femminile. Non solo le ballerine, fisicamente, si assottigliano fino quasi a scomparire, ma scompare, sul palcoscenico, anche la loro identità
È vero e questo è, a mio avviso, il frutto dell’influenza infausta di uno dei più grandi geni di oggi, che è Balanchine. Il quale, anche se ha avuto cinque mogli, e se si riempie la bocca di frasi come “la danza è donna” in realtà non chiede alle sue ballerine, né ai suoi ballerini, di essere delle persone, di avere

“ci tengo moltissimo a vedere sul palcoscenico una donna bella, dolce e forte e un uomo forte, e dolce e bello…”
un’identità, un’originalità individuale. Potrebbe mettere a tutti una maschera identica e per quanto lo riguarda tutto funzionerebbe lo stesso, perché quello che lo preoccupa, quello che lui desidera e che sa magistralmente fare, sono delle “cattedrali” di movimenti assolutamente astratti, delle strutture che possono essere tenute su da chiunque, uomo, donna, bestia, fors’anche colonna.
Quanto poi al problema specifico delle mestruazioni, io credo che laddove la propria femminilità, la propria natura sessuale, non è particolarmente richiesta, si spenge, si estingue. Quando invece, come nell’Unione Sovietica, ci si tiene moltissimo a creare l’immagine di una “grande nuova donna sovietica”, che va sulla luna, e di un “grande, nuovo uomo sovietico”, buono e forte, e così via… è chiaro che i ruoli sessuali in questo caso vengono tenuti distinti. E in un certo senso tutto “funziona” più regolarmente, e le mestruazioni si hanno, e si hanno anche i tre giorni di riposo… In Italia il problema non esiste: una ballerina ha cosi poche occasioni di ballare che ballerebbe anche incinta di quattro mesi, figurarsi con le mestruazioni…
Il balletto resta tuttora un “pianeta femminile” che le donne conoscono poco. Il termine “danza classica” evoca schiere di bambine in calzette e scarpette rosa… E però anche schiere di mamme. Ora, quando ho pensato a quest’intervista sono partita dal presupposto che molte di quelle che l’avrebbero letta, pur con le idee chiare o meno chiare sul mondo, con il femminismo alle spalle e magati qualche anno di militanza in un gruppo politico, potevano trovarsi a fronteggiare, prima o poi, una figlioletta o una nipotino, che con aria innocente e supplichevole chiede di essere mandata “a danza”? Che fare?
Anch’io, cosa credi, ho fatto parte di quella schiera di mamme: mamme di formichine, di farfalline, di nanetti. Fino a quando le mie bambine, sciagurate streghe che non sono altro, meravigliose creature, simpatiche e sboccate, mi hanno detto insomma mamma piantiamola perché questa cosa non ha senso, fare le formichine, i nanetti e compagnia bella… e io non ho potuto dire altro se non che avevano tutte le ragioni… E certo vorrei che le mamme delle giovani generazioni non fossero cosi condizionate dalla tradizione, sciocche, come lo sono stata io da giovane.
Ma cosa potrebbe fare una donna della mia età per mettere un bimbetta “sulla strada giusta”? Che strumenti ha per evitare che resti schiacciata dal peso di quell’immagine deforme della femminilità che si ispira ancora alla tradizione dell’Ottocento, senza farla rinunciare alla danza?
Deve capire e farle capire che la danza è spettacolo ed è anche cultura. Questo è il punto. La danza è qualcosa che può essere “problematicizzata” al pari di qualsiasi altra arte. Si può parlare di idee coreografiche come si parla di idee musicali, e quelle sono altrettanto salde, altrettanto importanti e intelligenti, anche se sono effimere. Perché la musica si scrive, la danza no. Ma questo invece di rendere la cosa meno importante la rende più preziosa. Perché se tu guardi e capisci, capisci per sempre. Comprendere che alla base della danza ci sono delle idee, delle idee precise, frutto di una tradizione e di una cultura, che può essere analizzata e discussa, aiuta anche una ragazzina a vedere le cose sotto una giusta luce. Evita che si appiattisca su un modello considerandolo ideale e indiscutibile. Allora quella mamma, vada prima di tutto a vedere la danza, entri nelle sale prova, se può; e si sforzi di capire che cos’è. E quando avrà capito che è una cosa meravigliosa dica pure alla figlia vuoi avere un’esperienza di vita meravigliosa, un tipo di cultura diversa dalle altre, perché cosi tesa, cosi concentrata, così parlante, cosi dinamica, perché visuale? E se la figlia dirà di si deve essere contenta. Perché quella figlia sarà sempre più felice di un’altra figlia, uguale a quella, che non danza però… Capisci…?