8 marzo: qualcosa in più per il femminismo
la parola tabù, come era nei primi anni ’70, il femminismo e i problemi, le tematiche che esso ha fatto emergere, sono ormai entrati a par parte del patrimonio culturale di massa, degli argomenti del dibattito politico di ogni giorno. Il femminismo è così diventato sinonimo di un modo aperto e equilibrato di affrontare non solo la sessualità, la maternità, l’aborto, ma la nostra stessa esistenza e la nostra presenza nella società. Pur fra mille difficoltà e contraddizioni, il femminismo è entrato nei partiti, nei sindacati, nelle scuole, nei mass media. Eppure, non tutto il bilancio è positivo. E’ chiaro, da un lato, che ci troviamo ad aver fatto delle battaglie e delle pratiche di vita che non sono state senza risultati sulla realtà sociale esterna, ad aver maturato una consapevolezza di noi stesse e dei nostri problemi che era ancora dieci anni fa del tutto impensabile; ma dall’altro ci troviamo a dover affrontare una serie di rischi che ci vengono da noi stesse (cioè dal difficile passaggio in cui si trova il movimento) e dalle strumentalizzazioni che spesso gli altri fanno delle nostre battaglie e delle nostre elaborazioni. Come dire che da un lato siamo cambiate, il movimento è cambiato, ma che dall’altro il femminismo rischia una sua neutralizzazione, un assorbimento nel gran calderone dei luoghi comuni correnti: può diventare una parola vuota, se non continuiamo sul terreno dell’elaborazione e delle pratiche inventate da noi in prima persona.
A queste nuove esigenze, il movimento si sta silenziosamente adattando. Oggi molti dei collettivi “storici”, soprattutto nelle grandi città, si sono sciolti, ma continuano i gruppi di studio, di lavoro, di iniziative esterne. Contemporaneamente, nei centri minori, nascono situazioni diverse e le donne continuano collettivamente le loro lotte, in condizioni molto diverse da quelle delle grandi città. E pensiamo che questo cambiamento, o anche quella che viene chiamata la crisi del femminismo (termine per la verità troppo abusato) non costituisca qualcosa di negativo o di perdente: se alcuni collettivi si sciolgono, non vuol dire che il femminismo è bell’e pronto per essere risucchiato nel grande archivio delle mode travolte. Significa che stiamo cambiando e stiamo cercando altre forme e pratiche in cui continuare il nostro lavoro. Che stiamo lavorando nel nostro quotidiano di donne, sui problemi veri, quelli che si ripresentano tutti i giorni, indipendentemente dalle mode culturali. ma al tempo stesso significa che ci siamo rese conto che la situazione politica ed economica è elemento non indifferente — al contrario, un elemento determinante — per la donna: pensiamo ai problemi dell’occupazione, della salute, della casa, al comportamento delle istituzioni di fronte a leggi che ci riguardano, ai giochi dei nostri uomini politici, alle beffe di iniziative come la nomina di Ines Boffardi. In questo quadro, un bilancio della nostra attività “giornalistica” era necessario, e si è rivelato utilissimo. Sono ormai sei anni che Effe esce più o meno puntualmente in edicola, e questo non è il primo editoriale in cui annunciamo un cambiamento. Il giornale si è modificato spesso in questi anni. Da una rivista rivolta verso l’esterno, in cui si era cercato di dare la parola alle donne in prima persona e al tempo stesso di fornire tutte le informazioni possibili su quanto ci riguardava più da vicino, Effe si era, a poco a poco, trasformata, sull’onda del femminismo che avanzava prepotentemente, in un giornale del movimento, che cercava non solo di portare all’esterno quanto ci arrivava dal movimento, ma anche dì essere uno strumento di collegamento.
Oggi è necessario per noi di Effe cambiare un’altra un’altra volta, pena la perdita non solo dell’occasione per un importante passo in avanti, ma anche del ruolo svolto finora. In questo ultimo mese, due riviste che sono state un punto di riferimento importante per il femminismo, “Les Cahiers du GRIF”, in Belgio, e “Femmes en Mouvement”, in Francia, hanno chiuso, per non essere costrette a integrarsi, a passare al professionismo. Noi invece abbiamo deciso di continuare a vivere questa esperienza di informazione per le donne. Non vogliamo abbandonare uno spazio come il nostro, che abbiamo creato da sole, in completa autogestione, contando solo sulle nostre forze, imparando a fare di tutto, da una fattura commerciale agli articoli.
L’attivo che avevamo registrato negli anni scorsi, attivo dovuto al fatto che la maggior parte di noi aveva continuato a lavorare gratuitamente, lo investiamo così interamente in questo nuovo progetto. Un progetto di giornale più strutturato, con rubriche culturali fisse, con un’ inchiesta ogni mese (e non a caso iniziamo da un’inchiesta sul femminismo a Roma, che continuerà nelle altre città), con interviste a donne che hanno qualcosa da darci (in questo numero Paola Borboni) con una sezione culturale approfondita e con un’attenzione particolare ai fatti di attualità*politica. Un’attualità politica però che riguarda in modo diretto le donne e su cui abbiamo uno specifico da far conoscere. Non meravigliatevi quindi di non trovare cenno ai bambini morti a Napoli, o al Vietnam o alla Cina, o alla crisi di Governo. Non è che questi fatti non ci interessino o non ci riguardino in quanto donne, in quanto femministe impegnate nella costruzione di una società diversa. Ma il compito che ci siamo date è di fare informazione in modo diverso, da parte di donne, sulle donne, diretta a un pubblico di donne che anche se non militano in un collettivo femminista ne hanno però assimilato le idee e i contenuti. Anzi, l’unico modo per noi di’ intervenire è di continuare a lottare per far conoscere le nostre idee, ciò che elaboriamo, in quanto donne singole o collettivamente, ma in maniera autonoma sui . problemi che conosciamo meglio, perché ci toccano più da vicino. Il contributo femminista non è insomma neutro e indifferente. Al termine della nostra ricerca c’è anche un modo più equilibrato di affrontare la vita, un modo più umano e più nostro di porsi di fronte alla brutale realtà del tempo in cui viviamo. Ma allo sbocco del tunnel, in cui si trovano le donne — tutte le donne — possiamo arrivare solo insistendo ad avanzare pazientemente, anche se talora a tentoni, sull’unica strada che ci è concretamente percorribile quella segnata dai problemi che ci accomunano tutte, e che sono e saranno sempre e solo nostri.