sorellanza

criticare va bene, ma…

questo attacco a Effe è comparso su «… e siamo tante…» il quasi mensile del Movimento Femminista Romano del dicembre ’77. Intanto sarebbe interessante discutere della differenza fra donnismo e femminismo. E poi, siamo apertissime alle critiche, purché siano costruttive e soprattutto vengano da chi Effe lo legge davvero e non lo usa solo come pretesto per polemiche astiose che non servono per capirci.

marzo 1978

sono preoccupata, arrabbiata, tesa: il recupero, vale a dire l’uomo, è fortissimo. Ottunde molte donne, le rende cieche, le fa correre verso il precipizio del compromesso con lui. Si chiamano femministe, come fate voi, e sollevano un gran polverone che ci offusca tutte, separatiste, lesbiche, quelle che cominciano ora, alimentando la confusione sul femminismo, allineandosi a fianco del chiaro disegno maschile portato avanti attraverso partiti, politica, stampa,’ parlamento, cultura. Il vostro dibattito è più di una spia, è un sintomo di resa alla sopravvivenza in luogo di continuare la lotta per la vita. Ed è un sintomo ancora più grave perché scavalca sette anni di femminismo, perché si presenta come «crescita» del femminismo, perché nega i tentativi di questi ultimi anni di femminismo di cancellare il criterio (maschile) della non vita-sopravvivenza con quello della vita, femminile. Esigenza profonda questa della vita, battaglia forte, delicata e complessa che fa leva su qualcosa che abbiamo valorizzato da poco: la donnità. È un nostro patrimonio da sempre: il significato politico straordinario di oggi è che la stiamo tirando fuori dall’ombra per organizzarla in un mondo di valori vivibili malgrado tutto, e voi tutto questo lo rinnegate. Lo rinnegate davanti a donne che hanno vissuto e continuato a vivere questa lotta-vita e indebolire questo significato per quelle donne che cominciano ora. Siete delle emancipate e non, sia chiaro, delle femministe: ecco l’unica cosa vera che avete detto direttamente e indirettamente nel dibattito. E da brave emancipate siete piene di confusione, malafede, paure. E, cosa gravissima, le gettate addosso al femminismo. Parlate a nome di donne sottintendendo femministe mentre disconoscete battaglie e vittorie del femminismo; dalla vostra bocca è uscito solo un discorso sudicio telecomandato dal maschio ideologico che è in voi, dalla vostra dipendenza psicologica dal maschio. Sento, a parlare con voi, la stessa difficoltà di incontro reale che mi danno tutti i maschi, la stessa noia, la stessa rabbia per l’oppressione che esercitano, riconosco in voi lo stesso anelito a confondere, dividere, indebolire le donne con la pretesa di fare il contrario, la stessa incapacità a vivere e a sentite la donna, sento il disprezzo per la donnità e la vostra resa al gioco del potere. E tutto questo è orribile. Da molto tempo non compro più Effe, ma ora il vostro gioco è diventato pericoloso per tutte le donne e sento l’obbligo verso me stessa e verso le altre di denunciarlo: attraverso voi passa il recupero, attraverso il vostro confondervi passa tutto l’indebolimento delle donne e lo stravolgimento del femminismo. Il vostro immobilismo e la vostra crisi sono meritate: siete donne che si negano la dormita, proprio come vuole il maschio, e vi spezzate le gambe da sole. Proponete parole vuote per riattaccarvi le gambe, ma dal pantano maschile non si può uscire ricorrendo solamente a formule sul vuoto come «organizzazione», «ideologia» ecc. escogitate dall’uomo per inventarsi una mobilità di cui non è capace, per mantenere in piedi il suo sistema che gli piace tanto servendosi di alibi di tutte le specie, per affossare tutto ciò che vi è di nuovo. Per me il separatismo è tutt’altro che una forma transitoria di crescita e una tattica da sacrificare in nome di una strategia «più matura», separatismo è una conquista, è il più grosso contenuto del femminismo, è sottrarre le proprie energie di donna ad un mondo maschile e darle a me, alla mia donnità e alla crescita della donnità in tutte le donne, è un metodo di lotta profonda e vera contro il maschio da cui soffoca da millenni e non a caso molte donne cadono come voi nella trappola: il maschio ha paura del separatismo e inventa che è «immaturo» infantile, un tantino «isterico» e non serio politicamente. E voi, plaff, ci cascate. È talmente strumentale questa visione maschile del separatismo che non vi accorgete nemmeno che il maschio è separatista da sempre, che ha sempre tenuto la donna in un cantuccio ben limitato e dominato da lui per non avere sorprese che lo detronizzassero e che si è servito del nostro sangue e della nostra vita-capacità di dare vita per esistere. Il maschio è esistito di riflesso a noi, è riuscito a campare, facendo stragi, perché ci ha schiacciato nell’ombra. E finalmente, quando ci accorgiamo di tutto questo e decidiamo di non prestarci più alle sue nevrosi e alle sue proiezioni di morte cominciando una, in certi casi, dolorosa ma liberatoria prassi di separatismo, arrivate voi e vi lasciate imbrogliare dal discorso dell’immaturità. E cercate di imbrogliare anche le altre donne. Eh, no. Questo è troppo. Oltretutto spacciate questo per femminismo. Le vostre confusioni vi gettano indietro di millenni.
Quella che chiamate la crisi del femminismo è la vostra crisi di donne senza forze, di donne che non hanno mai abbandonato il maschio. Il potere si serve facilmente di voi per annegare il femminismo nella merda del recupero e vi dà anche i soldi per farlo. La politica vi ha completamente annientato inducendovi a parlare del femminismo come di una ideologia. Non avete capito che vi annullate come donne e che vi prestate al disegno maschile di annullare tutte le donne.
Il femminismo è una scelta di vita non riducibile a formula, una spinta vitale delle donne, un potenziale che SI FA continuamente e a mano a mano sconvolge le menzogne del maschio scolpite nei millenni sulle nostre vite e sui nostri corpi creando spazi per far emergere la realtà donnica. Femminismo è lotta e io ho una certezza per questa lotta, un obiettivo: vivere me stessa, districata il più possibile dalle pastoie maschili, con le altre donne che sentono questo medesimo bisogno, cercare insieme di creare una dimensione donna che per ora è solo ricerca ma che solo dalla ricerca può venire, è una certezza che mi viene dal sentirla dentro e che amo e che solo nel separatismo — un processo di approfondimento sempre maggiore di me in rapporto a me e al resto, che attacca tutti i livelli di vita e che per non diventare nevrosi si crea sbocchi concreti nella prassi quotidiana — si rischiara e si fortifica. Soltanto nel separatismo io posso ascoltare la mia voce e quella di tutte le donne, la vostra compresa, posso capire dove e come si fanno gli attentati alle donne, posso far crescere la mia speranza di vita come un progetto che a poco a poco si realizza. Tutto questo fa paura all’uomo, intero, dall’estrema destra all’estrema sinistra, dal qualunquista al sognatore: e crea dei feticci-abbaglio come quelli di cui dimostrate di esservi fatte carico con questo dibattito, illudendovi di parlare da donne. Avete parlato da maschi libertari di sinistra, da studenti del movimento ’77, da «femministi», da maschi. Sono delusa. Non siete soltanto voi, ci sono tanti e tanti fatti che ogni giorno mi ripropongono questo stato d’animo, queste considerazioni, questa rabbia. Donna è bello: quale donna? Ci sono tante facce di questa donna.
La vostra non mi piace, la sento un pericolo, mi sento lontana da voi. Sono un’altra da voi. Ho sempre una strana speranza, un misto di utopia e di guardare concreto: che sii questione di livelli, che la strada la donnità è lunga e difficile, qualcuna si ferma e torna indietro, che qualcuna non la prenderà anche se si proclama femminista. Cerco di non scoraggiarmi, ma sento bisogno di difendermi, di difendere quello che ho raggiunto, di difenderlo anche dalle donne che vogliono massacrarlo e darlo in pasto all’uomo. Mi domando perché «vogliono», cerco risposte nelle radici più lontane e gemme più vicine, spero di riuscirci. L’uomo ci ha sempre diviso, singolarmente e come istituzione, lo sta facendo di nuovo, attraverso e donne: ai criteri di bellezza, di rivali in «amore» di rispettabili e puttane di madri e zitelle ha sostituito quelli di politiche e spontaneiste, di mature e infantili, di lesbiche e non, e non so che altro. Parliamone, cerchiamo, di approfondire questo. Sono forse le barricate più recenti erte fra noi: non mi voglio fare incantare.
Il mio progetto futuro non è vivere idillicamente con un maschio castrato; dopo un bagno nel «femminismo» mio o «suo» o di «tutte e due»:  non posso passare un colpo di spugna su quello che lui ha fatto per millenni a tante donne che hanno vissuto e lottato prima di me, non posso chiudere gli occhi di fronte al suo progetto di non vita che è suicidio camuffato da «civiltà», non posso diventare sua complice in un criterio di esistenza che ha avuto sempre come unico scopo quello di eliminarmi fisicamente e psicologicamente. Sto facendo una ricerca che prova in concreto che lui continua in questo suo progetto, che non vuole nulla di  ciò che noi vogliamo, che non è capace di capire neanche che cosa vogliamo: la vita; perché odia invidia la vita in quanto biologicamente non ne è portatore e vuole soltanto arrivare con i mezzi scientifici a sostituirci meccanicamente con delle provette che sono manovrabili, asessuate, morte. Ha già dimostrato che per il suo cazzo-sessualità è sufficiente una bambola di gomma: ora vuole arrivare all’utero di vetro per assicurarsi la «sua» riproduzione: Fra la bambola di gomma, la donna depersonalizzata suo strumento, e l’utero di vetro, fra questi due punti ideologici si colloca l’epoca storica del patriarcato, la civiltà, storia, i drammi dell’uomo e il recupero del femminismo adesso in atto. Tutto un sotterfugio, un espediente dovuto alla paura di poter non essere riprodotto, di estinguersi, di essere escluso dal ciclo biologico della natura. L’uomo non ama la donna, non vuole la donna: si vuole solo liberare dalla sua necessità di noi. Gli siamo necessarie perché altrimenti lui non ha modo di nascere. Questa cosa lo fa imbestialire, è dipendente da noi, ha paura delle nostre scelte, della vera gestione che noi possiamo avere del nostro corpo. Questa gestione passe per il distacco psicologico da lui e per questo ci teme e tenta il recupero.
Con i mezzi più vili: è in gioco la sua vita. Ma a questo punto io dico: la mia contro la sua. Lui non ha esitato a dirlo dieci-ventimila anni fa e si è mosso di conseguenza. Ora ho scoperto il suo gioco e non esito a dirlo io e questo perché nel momento, forse non troppo lontano, in cui lui farà viscere una creatura senza servirsi delle ovaie e dell’utero di una donna — cosa che sta tentando in tutti i modi di fare e che è a buon punto — si sentirà finalmente libero dalla sua dipendenza dalla donna e potrà dar sfogo a tutta la sua realtà di maschio-mostro che ora a certi livelli cerca di camuffare ma che ad altri appare in pota la sua chiarezza. Questo, secondo me, è il nocciolo crudo della civiltà, dell’era storica che stiamo vivendo da alcune migliaia d’anni. I segni ci sono tutti, dichiarati e non. E i maschi libertari, democratici, i «femministi», i promotori dei diritti umani non mi danno nessun affidamento. Mi opprimono ora, come gli altri, perché sono dei reggipalle anche se lo fanno con discrezione e sono alla ricerca di qualche boccata d’ossigeno in un sistema asfissiante persino per loro che sono maschi.
Vedere, ascoltare donne che cadono in questa trappola mi spaventa e mi opprime. E ho una prima reazione gridando dov’è il pericolo. Sento una profonda ingiustizia, anche e contemporaneamente, e sento una battuta d’arresto nella lotta per la vita. Ho sentito momenti emozionanti nella scoperta del femminismo, profondi e sconvolgenti, mi sono rivitalizzata e rigenerata. Non posso tornare indietro e vivo perché la vita continui. L’uomo? Non mi interessa la sua sorte in questo momento. Un domani potrà solo aggregarsi umilmente alle donne se prima non ci avrà nuovamente sterminate. Ma in sostanza non so cosa accadrà domani e non posso ipotizzarlo con onestà fino a quando non potremo vivere la nostra Donnità.