aborto

momenti di lotta

in tutta Italia si formano comitati e coordinamenti di informazione e controinformazione sull’aborto.

luglio 1978

firenze
Grazie al massiccio impegno delle don. ne in queste ultime settimane, è patito a Firenze l’hospital day per l’aborto. Ciò significa che è stato possibile organizzare, dopo pressioni dirette sul, la Regione, il doppio di interventi quotidiani precedentemente limitati dall’ospedale di S. Maria Nuova al numero di cinque, due in più in casi veramente straordinari.
Ne era derivato un disagio notevole per le donne che. ultimamente si vedevano rifiutare il ricovero (con l’hospital day basterà un giorno solo in ospedale) anche se accompagnate da certificato d’urgenza.
Si era giunti ad una situazione insostenibile, con oltre cento donne in lista d’attesa che avrebbero subito l’intervento in data da destinarsi, ma sicuramente dopo la fine di luglio.
Sono partite dunque convenzioni (ordini di servizio in qualità di supplenti) a giovani medici anche in via di specializzazione, è stata chiesta la collaborazione di ospedali vicini a Firenze per alleggerire il lavoro dell’unico .(attualmente) reparto maternità cittadino, ma sembra che qualcosa si muova anche nel senso dell’apertura di nuovi reparti di questo tipo in altre strutture ospedaliere.
A Fiesole, forse fra due mesi, il primo dei quattro reparti ostetricia e ginecologia previsti (oltre a quello di Careggi) dalla zonizzazione socio-sanitaria è ancora in alto mare.
È vero dunque che non è stato sfruttato tutto il tempo possibile ad una migliore gestione della legge da parte dell’ospedale e degli amministratori; si può dire che l’hospital day parte, su proposta delle compagne di Firenze e di alcune figure del personale sanitario della maternità che insieme hanno formato il Comitato Informazione e Controinformazione Aborto, parte, dicevo, con oltre un mese di ritardo rispetto ai tempi legali.
Dichiara la compagna Silvana Morales, avvocato: «Ritengo che la legge riconosca alla donna che presenti certificato d’urgenza, o anche ordinario, dopo i sette giorni, il diritto d’intervento immediato e se necessario al ricovero ed è quindi un dovere delle strutture ospedaliere garantire tale diritto, per non determinare un ritardo pericoloso per la donna sotto il duplice aspetto psicotico. Il ricovero può essere rifiutato o ritardato solo nel caso che non si possa in alcun modo agire diversamente».
Questo dimostra che potevano essere evitati alle donne la paura di non poter più abortire, la prolungata attesa, il via via burocratico per poter presentare tutte le analisi prima del ricovero. Se oggi può partire l’hospital day come già in altre città vicine (Bologna, Prato) significa che fin dall’applicazione della legge si poteva «agire diversamente».
Rimane il problema dell’obiezione di. coscienza vissuto oggi come un libero arbitrio da parte del personale sia sanitario sia ausiliario. Quest’ultimo caso porta al rifiuto del bicchier d’acqua alle donne ricoverate per aborto, sia prima che dopo l’intervento, alla ghettizzazione e alle ingiurie.
l’assessore regionale alla Sanità, Giorgio Vestri, ha affermato in proposito che non se la sente di prendere provvedimenti che «suonerebbero discriminatori rispetto alle -scelte personali del cittadino», ma a noi sembrava che qualcosa potesse essere tentato soprattutto pensando ai diritti della donna in ospedale. All’interno del reparto circolavano volantini parrocchiali che invitano all’obiezione di coscienza, a non toccare gli oggetti delle donne che abortiscono, a non porgere loro neanche le posate. Perfino la legge non prevede l’estensione del diritto all’obiezione né al personale sanitario, né prima né dopo l’aborto, ma solo per quanto concerne l’intervento. Dovrebbe essere possibile sciogliere questo nodo e se non ci pensa l’Ente Ospedaliero, se proprio non si può far niente per altra via, verrà fatto un esposto alla Magistratura perché decida in proposito. Se non lo faranno gli altri, lo faremo noi donne.
Ogni settimana alla Casa dello Studente di Careggi c’è un’assemblea su questi temi, è importante discutere insieme sotto questa formula del Comitato, ma anche & prescinderne, visto che l’impegno e la mobilitazione non sono finiti.

palermo
Le donne in Sicilia come in tutta Italia hanno già cominciato a tastare a piccoli amari bocconi le contraddizioni e le carenze nonché le nefandezze e i soprusi della legge sull’aborto. Noi non ci riconosciamo in essa perché è espressione del potere maschile capace solo di «dare la vita» a scandali, corruzioni, violenza, sfruttamento e… potere maschile.
Praticare dolorosi, antigienici e sbrigativi raschiamenti chiamandoli aborti legali o terapeutici rispetto a ieri ha solo questo di diverso: la possibilità per gli ospedali di fare un notevole «salto» burocratico, ammonticchiando le carte e le scartoffie (moduli e certificati) che la inquisitoria casistica della legge sull’aborto prevede. A Palermo sono in molti quelli che ci hanno fatto abortire e morire. Sono in molti quelli che ci hanno costrette all’obbrobriosa e colpevolizzante clandestinità, anche nelle cliniche volgarmente dette «di lusso». In questa città come in altre sono in molti quelli che ora si affannano a rilasciare dichiarazioni-petizioni di principio sul pro o contro l’obiezione di ‘coscienza e che improvvisano rapidi calcoli progettando umoristiche alternative per far fronte alle inadeguate strutture sanitarie meridionali e italiane in genere. A tutti questi diciamo: rifatevela, la coscienza, invece di «obiettarla» e svenderla, in vista dei non improbabili guadagni e relativi interessi da coprire nel solito modo sporco che vi compete.
Chi è responsabile del genocidio delle donne sottoproletarie di Palermo e delle donne tutte non deve avere più diritto di parola se non sui fogli dei giornali asserviti al sistema. Per quello che ci riguarda, ai medici non daremo più il potere di farci soffrire e umiliare elemosinando uno straccio di aborto terapeutico. Quanto alle vostre «lamentele» sulle carenze degli ospedali palermitani, è risaputo che da anni avete «rimediato» con le numerose fiorenti e lucrose cliniche private cittadine, dove vengono «addestrati» in modo a-scientifico i giovani medici futuri macellai e dove si sottopagano e supersfruttano migliaia di neo-laureati/e e di infermiere/i. A queste ipocrite lamentele fanno minacciosa eco le donne morte o mutilate di parto e di aborto.
A queste lamentele si aggiunge il fatto, non irrilevante che in tutte le chiese in questi giorni c’è un gran scomunicare e chiamare a raccolta «i fedeli» per bandire questa nuova crociata contro «le infedeli» e «disonorate» madri.
C’è inoltre chi vomita sentenze del tipo «gli uteri vanno riempiti e non svuotati»… E molti altri suoi compari ghignano all’idea di poter mettere donne contro donne, donne che devono partorire contro donne che devono abortire, rispolverando — da novelli pilati — la sempre valida scusa delle insufficienti strutture e attrezzature ospedaliere. I medici «democratici» dal canto loro ci iniettano un po’ di sensi di colpa per non esserci date adeguatamente da fare sull’aborto in questi ultimi due anni. Loro, che in tutti questi otto anni dì nostre lotte non hanno saputo fare altro che uno scheletrico appello per l’aborto libero e (giammai) gratuito racimolando in tutta Italia la encomiabile cifretta delle 300 firme.
C’è pure chi, e purtroppo sono donne (le cosiddette «compagne» dell’UDI), ha imbrattato i muri di Palermo con manifesti inneggianti alla nuova legge sull’aborto con cui finalmente le «maggiorenni» potrebbero abortire ‘(un vergognoso anche se elegante modo di nascondere il problema delle minorenni) e che sarebbe il risultato delle lotte fatte dalle donne (tra i cardini del nostro addestramento domestico-educazione familiare c’era, una volta, il decoro e non la sfrontatezza). Questo, esemplare elenco potrebbe continuare all’infinito se da parte nostra non ci fosse la ferma volontà di analisi-mobilitazione-intervento contro queste meschine campagne antiabortiste e antifemministe, che — lo sappiamo da anni — sono servite e servono soprattutto a coprire i profitti degli aborti clandestini (esenti da tasse). Chi vuole continuare a fare dell’aborto un fatto privato e non politico, un obiettivo riformista funzionale agli autoritari e banderuoli piani demografici del capitale, sappia che per noi l’aborto resta un fatto politico e non privato, un obiettivo rivoluzionario su, cui allargare, e non certo esaurire, il nostro fronte di lotta. Con questo documento vogliamo soprattutto informare le donne che a Palermo si è formato un coordinamento femminista di controinformazione sull’aborto, la salute e la sessualità. Come a Genova e in altre città, noi ci proponiamo di: 1) fare applicare la legge nel migliore dei modi (lavoro arduo e difficile dato che — per limitarci al solo aspetto tecnico — mancano le attrezzature: vogliamo il metodo Karman e non cucchiai per raschiamenti; vogliamo posti letto e ricoveri e non centri di smistamento per rimandarti a casa al più presto possibile; vogliamo aumentare il personale sanitario e lo vogliamo «qualificato» a fare aborti e non esercizi di sadismo chirurgico); 2) fare nostro il problema delle minorenni che questa legge ha vergognosamente escluso; 3) dare assistenza a tutte le donne e informazioni (elenco medici obiettori e non, notizie sui contraccettivi meno nocivi esistenti, dove esiste il Karman e dove no, elenco dei consultori pastorali e laici e delle cliniche private che fanno o non fanno aborti); 4) esercitare un controllo negli ospedali perché forniscano un servizio e non un disservizio e perché vengano rispettate le decisioni delle donne senza infamanti intromissioni o barbose prediche o manifesti ricatti; 5) chiedere l’istituzione di corsi Karman gratuiti e l’attuazione (con notevole ritardo) della legge regionale sui consultori pubblici; 6) collegarci con altre donne a livello regionale per cercare di eliminare il divario tra le situazioni delle città rispetto a quelle dei paesi dove più forti sono i condizionamenti e dove, anche per chi ha preso coscienza, è più difficile non tanto organizzarsi ma solo esporsi, pena l’emarginazione totale. Infine: staremo bene attente perché ogni aiuto, consiglio, ammonimento-imbonimento da parte di medici o avvocati «democratici» o da parte di chicchessia non si traduca in strumentalizzazione. Sull’aborto e sulla lotta per l’aborto noi donne siamo state e continueremo a essere sole.

Il coordinamento femminista palermitano di controinformazione sull’aborto, la salute e la sessualità si riunisce ogni martedì alle ore 17 presso il Centro Siciliano di Documentazione – Libreria Centofi