si discute ancora

maggio 1978

il dilemma legge-referendum sull’aborto è un trabocchetto che stravolge e annulla le nostre elaborazioni, perché in tutti e due i casi il rapporto, o lo scontro, con le istituzioni viene caricato di significati globali, a partire da una rivendicazione settoriale. (L’aborto libero non può essere un fine da conquistare in sé, un «diritto civile», né una leva su cui puntare per un attacco alle istituzioni; è qualcosa che chiama in causa tutto l’insieme delle contraddizioni fra le donne e il «maschile» che è nella società. Proprio per questo la nostra posizione di fronte al potere maschile nelle istituzioni in questo momento è di debolezza, non di forza: non si tratta di una debolezza che è imputabile al movimento in una specifica questione, ma di una debolezza più generale, che è quella sempre sperimentata dalle donne quando cercano di rompere le vere barriere dei comportamenti e dei valori maschili. Si sperimentano resistenze esterne, ma anche contraddizioni interne al movimento, che vengono alla superficie ogni volta che la globalità dei motivi, affiorante in un nostro obiettivo apparentemente specifico, non sembra ancora riassumibile in un progetto di tutto il movimento e di tutte le donne. , Di fronte a questo ci si arrocca in una posizione di difesa, che in molti casi è fuga collettiva, fuga da un confronto serio tra donne. O si cercano scorciatoie che ci portano fuori strada. Ma allora, che fare? Nel problema dell’aborto, chiaro che una risposta del movimento non è ancora maturata per tutte queste implicazioni.
Resta però l’aborto a livello individuale,
come rifiuto di accettare maternità imposte dalle norme sociali, oppure impossibile per condizioni di necessità, o per l’incapacità che abbiamo oggi di decidere liberamente. La «scelta» di abortire nasce con tutti i connotati negativi di un gesto che è motivato da circostanze indotte da una situazione storica, intrecciate con le condizioni specifiche di ciascuna donna (che formano la realtà materiale e mentale della sua oppressione). È idealistico parlare del problema delle donne in generale, come gruppo, di fronte alla maternità. Come ci sono infinite donne, ci sono infinite motivazioni di scelta di fronte alla maternità; il loro dato comune è quello di non crescere su un terreno solo e unicamente privato : si tratta invece di motivazioni che, nella loro individualità, sono lo specchio particolare di una varietà di circostanze intimamente sociali. L’aborto quindi ha infinite connotazioni: di emancipazione, di parziale riscatto, oppure anche di subalternità al sistema. È chiaro che in queste condizioni storiche, è una risposta sempre e comunque difensiva, non una espressione di autonomia piena e_ di controllo sulle condizioni della prapria vita. Per questo la nostra risposta collettiva non può essere quella di assumere l’aborto come bandiera. Ma può essere invece quella di cercare di aprite sempre più spazi perché la «decisione», con tutta l’angoscia che porta con sé, sia almeno possibile nella solidarietà e nel confronto tra donne, senza l’imposizione di un rapporto solo individuale con le istituzioni, nella loro veste repressiva oppure di elargitrici dall’alto del «permesso» di abortite alle condizioni che secondo i loro parametri si reputano normali. La richiesta dell’aborto libero-gratuito-assistito, attuabile anche in strutture controllate dalle donne, ha queste motivazioni dietro di sé, ma certo è solo un punto di partenza. Per allargare il nostro spazio bisogna guadagnare terreno nella riconquista della nostra vita su tutti i fronti: organizzazione domestica e famiglia, lavoro,. salute, tutti i terreni de l’oppressione materiale e mentale delle donne, che non possono essere» sciati alla lotta e alla sofferenza individuali soltanto. E se anche la maternità libera deve essere possibile per tutte non può essere affidata solo alla conquista di spazi individuali di agibilità.
Non c’è istituzione con cui non sia centrale e continuo il confronto-scontro per riconquistare la vita. Famiglia, scuola, uffici, ospedali, sono importanti quando e più del parlamento. È attraverso le istituzioni che avviene il controllo sul privato ed è impedita la espressione dei bisogni. ‘Nell’oppressione sul privato si radicano le oppressioni di tipo «pubblico»: disuguaglianza sociale e rapporti di sfruttamento, di potere. Per questo le donne dicono che la sessualità non è un problema separabile dalla divisione del lavoro, dalla famiglia, dalle classi, dallo sfruttamento e dalla violenza; cominciano a scontrarsi, non solo con i co-responsabili più prossimi e visibili dello sfruttamento, ma anche con il potere più distante e i suoi cani da guardia. Invadono la cosiddetta sfera pubblica con il loro privato, portando in superficie le cose non espresse, «normali» su cui si regge il sistema. Comincia appena ad essere intaccata qualche norma imposta dalle regole del gioco maschili: gerarchie, princìpi della prestazione e della competizione, definizione di criteri di scientificità e tecnicità, dietro cui stanno modi di essere legati al sesso, considerati «naturali».
C’è però ancora tanta strada da fare perché questo diventi un progetto di liberazione in cui si riconoscano tutte le donne (e non loro soltanto!).
Intanto corriamo il rischio di lasciarci invischiare nella caccia ad obiettivi che non sono nostri, che non servono alla nostra maturazione e crescita. Ma le accuse reciproche di strumentalizzazione e asservimento alla logica delle istituzioni non possono farci uscire dall’equivoco. Le nostre possibilità, come movimento, dipendono dalla capacità di capire fino in fondo la nuova fase di crescita che abbiamo davanti: non siamo più alle prime modificazioni personali nel rapporto uomo-donna all’interno della coppia. ‘Le trasformazioni personali mettono in questione tutte le contraddizioni del nostro essere sociale, e anche quelle che esistono fra noi vengono portate alla luce dal nostro agire collettivo. Non sarà possibile, però, far maturare le nostre elaborazioni e trasformazioni, se non riusciremo a entrare collettivamente in Questa nuova prospettiva, accettando che vengano fuori — anche in modo duro — tutte le diversità tra donne che sono connesse alla specificità delle condizioni e della oppressione di ciascuna; è in queste che dobbiamo riunite a guardare con chiarezza per trovare anche i motivi comuni e gli obiettivi su cui puntare.