mlac: una sigla a favore dell’aborto

febbraio 1974

«Nella lotta per l’aborto libero, il tempo dei manifesti e delle petizioni è già superato: è venuto il momento di imporlo nella pratica».

Con queste parole, lo MLAC di Grenoble, in Francia, apre, nel suo libretto «Liberalizziamo l’aborto», il discorso coraggioso su una pratica di aborti illegali militanti che équipes formate da donne e uomini, da non-medici e da medici, fanno ormai in Francia — e specialmente a Parigi e a Grenoble — dagli inizi del 1973.

«L’obiettivo che noi perseguiamo praticando l’aborto oggi in Francia, dove è proibito, e facendolo sapere, è triplica:

I) Vogliamo creare un fatto compiuto e porre i poteri pubblici e l’Ordine dei medici davanti alle proprie responsabilità.

II) Vogliamo dimostrare che l’aborto può essere semplice: la tecnica dell’aspirazione, conosciuta in altri paesi, permette di demistificare quest’atto, di sdrammatizzarlo, senza, è chiaro, pretendere che l’aborto possa sostituire la contraccezione.

IlI) Attraverso quest’esperienza, per ora limitata agli aborti, noi vogliamo cambiare i rapporti tra medici e pazienti, e tentare così di abbozzare una medicina alternativa».

MLAC significa Movimento per la Libertà dell’aborto e della contraccezione. Mentre il Parlamento francese ha ancora una volta rinviato la discussione del progetto per la legalizzazione dell’aborto, 2.000 donne in Francia, a contare dal principio del ’73, hanno potuto abortire con queste équipes dello MLAC.

 

LIBERALIZZIAMO L’ABORTO

Il Gruppo di Grenoble racconta la sua esperienza all’inizio. Di come alcuni studenti di medicina dei-Università di Grenoble, nel marzo ’72, avessero cominciato a praticare rischiosamente degli interventi, nelle proprie camere, al college: ponevano le sonde nell’utero delle donne: «Purtroppo, non conoscevamo chirurghi che avessero poi il coraggio operare il raschiamento.

Se degli studenti di medicina erano arrivati a prendersi questo rischio, ciò accadeva perché dopo il maggio del ’68 s’era aperto anche il discorso della condizione femminile, e, nell’ambito di questa, era stato posto — rifiutato al principio da molti — anche il problema dell’aborto».

Ciò che pose quasi subito i militanti della sinistra di classe, o anche soltanto i medici radicali, di fronte a una scelta in prima persona, praticare o no l’aborto, fu l’immediata, enorme, angosciante quantità di richieste di aborto che provenivano dalle donne partecipanti alle assemblee, o da altre, che ne avevano avuto notizia. A Grenoble, l’uscita del manifesto di autodenuncia delle 343 donne «note» di Francia — da Simone De Beauvoir a Delphine Seyberg — provocò la presa di posizione di sessanta medici che, nel maggio del 1971, si dichiararono pubblicamente favorevoli all’aborto. Più tardi la polizia si provò ad arrestare una dottoressa, la Annie Ferré Martin, liberata dopo pochissimi giorni, non soltanto per la mobilitazione di quasi tutta la stampa, ma, principalmente, perché una massa di diecimila persone scese nelle strade a manifestare.

Nel giugno del ’72, un medico di Grenoble e quattro studenti di Medicina di quella università partono per l’Inghilterra, dove l’aborto è già legalizzato dal 1967, per tentare di trovare una soluzione tecnica adatta a praticare gli aborti nella clandestinità. Questa soluzione è il metodo Karman, messo a punto, e non è un caso, da uno psicologo, Karman: nell’agosto del 1972 Karman si ferma in Francia per parlare ad una assemblea organizzata dal MLF (Mouvement de libération des femmes) ed a cui partecipano anche medici e avvocati. «Sono u-no psicologo — disse Karman — ed ho sempre pensato che il trauma provocato dall’aborto eseguito con strumenti metallici non è una necessità medica. Poiché i ginecologi rifiutavano la mia tesi ho fabbricato io stesso delle cannule e delle siringhe per realizzare l’aborto per aspirazione. Ho praticato per la prima volta l’aborto per aspirazione in una clinica privata di New York. Fui denunciato e messo dentro. Ma le donne avevano capito l’importanza del mio tentativo, una manifestazione di donne a mio favore contribuì a farmi rilasciare quasi subito, e si continuò a praticare questo tipo di aborto a Los Angeles, pur, per motivi legali, avendo dovuto dare all’intervento abortivo un altro nome: aspirazione del flusso mestruale».

A Grenoble si cominciò così a praticare il metodo Karman, mentre medici, studenti di medicina (uomini e donne) e femministe di tutte le altre città di Francia, chiedevano informazioni e consigli per costituire équipes Karman.

L’equipe, secondo il modello di Grenoble, è costituita da «praticiens» e «intermédiaires»: i primi, nella maggioranza uomini — almeno al principio — e studenti di medicina, praticano l’aborto: i secondi sono invece tutte donne, o che hanno già abortito con lo MLAC o che hanno comunque scelto, come femministe e come compagne, di svolgere questo tipo di militanza politica. Sono le intermediarie che prendono il primo contatto con le donne che vogliono abortire, e raccolgono la prima indispensabile documentazione sul loro stato di salute, il tempo della gravidanza, situazione economica ecc.

Chi pratica l’aborto, nel gruppo di Grenoble, sono studenti in medicina e uomini, salvo una donna, infermiera. Le intermediarie sono invece tutte donne tra i 18 e i 35 anni, studentesse, segretarie, casalinghe ecc. Non tardava a porsi quindi il problema dei rapporti tra medici e non medici, e, fondamentale per una corretta analisi femminista dell’azione MLAC tra uomini e donne. Perché dell’iniziale gruppo di studenti in medicina, che era un gruppo misto, soltanto gli uomini hanno in concreto praticato g|j aborti? Perché soltanto una donna, e soltanto diplomata infermiera, tra i «praticiens»? Le donne debbono forse essere ritenute «delegate» ad un livello inferiore, quello delle intermediarie, riproducendosi il meccanismo di subordinazione tipico anche in una situazione di avanguardia militante come lo MLAC? Tutti problemi che l’equipe ha l’ulteriore merito di discutere apertamente, con la massima lealtà, nel libretto «Liberalizziamo l’aborto».