quando l’uomo ha le lune

alla scoperta scientifica dei cicli periodici maschili

febbraio 1974

In un numero della rivista americana, Ms., è comparso un articolo assai interessante, a firma di Estelle Ramey, in cui si afferma che anche gli uomini, come le donne, hanno cicli periodici. Estelle Ramey è una endocrinologa, professoressa di fisiologia e biofisica alla Facoltà di Medicina della Università di Georgetown e appartiene, sottolinea la rivista Ms., a quel ristretto 2% di professori ordinari donne, insegnanti nelle facoltà mediche americane. La Ramey prende le mosse dall’affermazione che, per quanto uomini e donne, come è ovvio, siano differenti, maggiori sono le loro somiglianze, in quanto esseri umani. Le «differenze» sarebbero state, se mai, esagerate e stranamente interpretate, fino a diventare sinonimo di «inferiorità».

E, a misura che sono diminuiti i motivi che, in altri tempi, avevano giustificato la discriminazione sessuale, è aumentata la necessità di una fede quasi religiosa nella supremazia maschile. In pratica, aggiunge la Ramey, la religione continua ad affermare che le donne sono uomini imperfetti o mancati. Inoltre, molti sostengono che le donne non si comportano in modo obbiettivo e coerente come gli uomini, poiché soffrono di forme di alienazione mentale periodica, dovuta ai loro «lunari» ormoni sessuali.
Secondo questa stessa teoria, gli uomini sono i leaders naturali, essendo dotati di una stabilità biologica simile a quella dei minerali.

Eppure, ai giorni nostri, afferma l’Autrice, non è più possibile negare che tutti gli esseri viventi, uomini e donne, animali e piante compresi, siano soggetti a cicli, e mensili e quotidiani. Anche gli uomini, infatti, hanno cicli mensili, benché le loro manifestazioni siano meno vistose di quelle femminili. Studi compiuti in altre nazioni evidenziano questi fatti.

Ad esempio, in Danimarca è stato condotto uno studio molto attento, durato sedici anni, sugli ormoni sessuali maschili contenuti nell’urina dell’uomo. È risultato un accentuato ritmo periodico di trenta giorni nel fluire e rifluire degli ormoni.

Altri studi riguardano i cambiamenti d’umore tra gli uomini. Oltre quarant’anni fa il dottor Rex Hersey, mettendo in dubbio il fatto che i lavoratori nelle fabbriche potessero avere prestazioni giornaliere sempre uguali, osservò per un anno sia il personale amministrativo sia gli operai, concentrando i suoi studi su quei gruppi che. .sembravano più soddisfatti e capaci nel loro lavoro.

Attraverso una combinazione di interviste ai lavoratori, compiute quattro volte al giorno, regolari esami fisici e colloqui con i familiari, il dottor Hersey arrivò alla conclusione che ogni individuo mostrava una gamma di emozioni che variavano in modo tale da poter essere pronosticate entro un ritmo periodico breve di ventiquattro ore ed entro un ritmo più prolungato che variava dalle quattro alle sei settimane. Si alternavano così periodi caratterizzati da apatia, indifferenza o tendenza a drammatizzare avvenimenti di scarsa entità, con altri improntati a sentimenti di benessere, energia, senso di leggerezza e minor necessità di dormire. Per venire a fatti più vicini ai giorni nostri, si possono citare gli studi compiuti dagli esperti della Omi, una grossa compagnia giapponese di trasporti.

Questa ditta gestisce, privatamente, un sistema di trasporti che impegna oltre 700 mezzi pubblici, autobus e taxi, nel denso traffico di Kioto ed Osaka. Poiché la compagnia registrava perdite altissime dovute ad incidenti del traffico automobilistico, i suoi esperti iniziarono, fin dal 1969, uno studio sistematico di ogni autista (tutti uomini) e dei suoi cicli lunari, in rapporto all’umore ed all’efficienza, per stabilire un calendario di lavoro individuale che coincidesse con i periodi migliori di ciascun lavoratore.

Le ultime statistiche della compagnia (secondo dati rilevati dopo l’adozione del nuovo orario di lavoro) riportano un calo di un terzo nel tasso di incidenti relativo agli ultimi due anni, e questo nonostante il fatto che nello stesso periodo il traffico sia notevolmente aumentato. Condizionato sin dalla più tenera infanzia all’idea dell’efficienza maschile, sempre ed ovunque, senza cicli periodici giornalieri o mensili, l’uomo è portato a rifiutare qualsiasi teoria che gli voglia appioppare (così a lui sembra) un comportamento ed uno stato d’animo che non è in suo potere dominare o che non sia stato determinato da agenti esterni, cioè quell’imponderabile che non dipende né da lui né da altri. In altre parole, l’uomo non è disposto in alcun caso ad accettare (accettare su un piano emotivo prima che razionale), di poter essere un individuo non perfetto in ogni momento e di poter avere turbe o mancanze o cicli periodici, come invece è dato per scontato della donna, condizionamento sociale e sessuale dell’uomo è anzi talmente profondo che è difficile scuoterlo dal suo stereotipo, e maschile e femminile, ed intavolare un dialogo con lui sull’argomento. Se l’uomo è medico si trincererà nella scienza, facendo ricorso alle ricerche cliniche, magari condotte con metodi radio-immunologici, che hanno chiarito che non esistono ritmi gonadotropi maschili e cicli ipotalami-ipofisari legati alla funzione gonadotropa. La sicurezza con cui questi medici citano i testi e gli autori (tutti uomini) che hanno partecipato a tali ricerche, ricorda molto da vicino la certezza con cui Don Ferrante trattava (secondo Manzoni) «de’ principi più certi e più reconditi della scienza».

Secondo la Ramey, d’altra parte, l’uomo, nel venire a conoscenza di non possedere la mitica stabilità biologica che gli era attribuita, può subire lo stesso shock psicologico sofferto quando Copernico gli ha rivelato che né la terra, «né lui», erano al centro dell’Universo.

Diamo allora per scontato, per continuare il discorso, che anche l’uomo abbia dei cicli periodici, o mensili, di cui però non si rende conto (perché non vuole e non può) e che imputa al tempo o alla lite con il capufficio o il primario o all’avaria all’automobile o, comunque, ad altri avvenimenti separati e non dipendenti da lui — tutto ciò perché non è stato condizionato a pensare di dover soffrire per qualche fenomeno ricorrente del proprio fisico. Al contrario, la donna è addestrata o educata fin da piccola (con frasi fatte che echeggiano quelle costruite per ricordarsi i nomi delle Alpi nella giusta successione, Ma-con-gran-pe-na-le… eccetera, e che suonano molto minacciose: «Tu partorirai con dolore!», «l’anatomia è destino», «le ragazze sono indisposte una volta al mese», «ho le mie cose, anche tu quando sarai grande!») cioè è addestrata fin da piccola alla sofferenza periodica e a considerarsi malata in determinati giorni: cresce con il condizionamento opposto e vegeta all’insegna della instabilità («oggi sto bene ma so già che domani o la settimana prossima starò male»). Deve rappresentare cioè il simbolo della fragilità e della insicurezza. Le conclusioni più logiche sembrano ovvie.

Se l’uomo, pur avendo cicli periodici che potrebbero alterare le sue prestazioni e le sue capacità, supera agevolmente questi fatti grazie alla sua ignoranza medesimi e, imputando gli eventuali malesseri personali a fattori esterni, crede di mantenere ad un buon livello costante la sua efficienza, diamo — si dirà — lo stesso tipo di educazione (o di ignoranza) alla donna, avvertendola com’è naturale dei suoi cicli biologici, legati alla ovulazione e alla mestruazione, ma senza spaventarla sui medesimi, anzi, considerandoli come riprova ed indice di buona salute. Il ragionamento è senz’altro buono e meritevole di essere ampliato anche discutendo i modi in cui si può avviare le ragazze a conoscere meglio il proprio fisico e a percepire i fatti che le riguardano, ad esempio nell’ambito dell’educazione sessuale che deve avvenire nella famiglia e nella scuola. In effetti, nei tempi passati (e spesso tuttora) si è molto esagerato sui disturbi della mestruazione, esagerazione che rispondeva tuttavia ai precisi canoni imposti dalla società, quelli di inibire al massimo la funzione e la vita sessuale. Tutto ciò, però, non ci vieta certe riflessioni sulla vita comparata di uomini e donne.

La donna, pur con tutti i suoi disturbi mensili ed il piccolo rituale che ne segue, ha in media, una vita più longeva del suo compagno maschio e le sono praticamente sconosciuti certi malanni assai più gravi (vedi l’infarto, per non citarne che uno) che colpiscono invece gli uomini.

Viene fatto allora di domandarsi se una pausa ogni tanto, un breve periodo di relax per riprendere fiato e ritemprarsi per le lotte e gli impegni successivi non siano preferibili, specialmente se si pensa alla esistenza dinamica e convulsa del giorno d’oggi. Incominciamo con il cancellare dal nostro vocabolario la voce «efficienza sempre, perpetua e ad oltranza». Abbiamo — pur essendo uomini — dei cicli periodici, mensili (come è dimostrato che abbiamo periodi giornalieri di veglia e di sonno che debbono essere alternati)? Cerchiamo di evidenziarli, procurando di fare una piccola pausa proprio in quei giorni (ed in quelle ore) anche, se mai, per lavorare meglio e con più lena nel periodo seguente. Siamo sicuri di possedere poteri da superuomini o siamo condizionati ad un punto tale da poter dire che «noi non abbiamo cicli»? Del resto, Estelle Ramey, ed altri con lei, assicurano che anche gli uomini, come le donne, hanno cicli periodici. Non si tratta certo di educare ed allevare nuove generazioni di uomini e donne attenti a tutti i piccoli malesseri, ma di migliorare l’educazione di uomini e donne ridimensionandoli entrambi. Non più ragazze che si appartano periodicamente, che in determinati giorni soffrono e non possono permettersi di fare certe cose, ma neppure uomini sempre efficienti, convinti di essere continuamente indispensabili, distrutti anzitempo da una lotta impari e competitiva con se stessi e con il mondo esterno.

Può darsi che, a questo punto, anche qualche appartenente al sesso forte abbia fatto proprio il punto di vista della Ramey e, modestamente, mio, e mostri la giusta curiosità di conoscere quando cadrà il suo prossimo ciclo. L’Autrice avverte giustamente che questo è un fatto individuale ed è difficile fare calcoli precisi se non si dispone di tests specifici compiuti ad intervalli regolari.

Ci sono comunque, spiega Estelle Ramey, tre generi di cicli, basati su quello lunare, Quello sensuale che muta ogni 28 giorni, quello intellettuale che dura 33 giorni e quello del benessere fisico di 23 giorni.

Sembra che le capacità dell’uomo aumentino durante la prima metà di ogni ciclo e declinino durante la seconda. I livelli minimi di capacità si trovano all’inizio e alla metà di ogni ciclo, quando avviene il cambiamento da forma buona a cattiva e viceversa. Questi sono i giorni in cui si hanno minori capacità: ad esempio, per quanto riguarda il ciclo del benessere e delle possibilità fisiche, è facile avere incidenti sul lavoro proprio in questi giorni. Per determinare i cicli personali si deve contare il numero dei giorni da quando l’uomo è nato, senza dimenticare di aggiungere un giorno in più per gli anni bisestili. (Dal 1896, gli anni bisestili sono stati: il 1900, il 1904 e così via ogni quattro anni.) Si deve poi dividere il totale del numero dei giorni per 28, per stabilire il ciclo sensuale, per 33, per il ciclo intellettuale e per 23 per quello del benessere fisico. Il totale ottenuto rappresenta il numero di cicli che l’uomo ha avuto durante la sua vita.