questa è la donna che piace al fascismo
«Alla scostumatezza delle femministe noi contrapponiamo la nostra femminilità intelligente», dichiarava una delle responsabili femminili dell’MSI esattamente un anno fa, a Natalia Aspesi di «Il Giorno», durante il congresso missino che ebbe luogo a Roma. «La casa è il nostro fortino», «il lavoro della donna deve essere assistenziale, prima sposa e madre e poi lavoratrice… progresso femminile ma non femminismo, funzione angelica della donna che aiuta il guerriero a riposare». Queste dichiarazioni non sono certo nuove. Sono in linea con tutta la reazione e il fascismo e rievocano tragicamente il concetto che Mussolini aveva delle donne: «La donna deve obbedire…», oppure le ormai famose tre K «Kinder, Kirche, Kuche», bambini, chiesa, cucina alla base di tutta la politica hitleriana nei riguardi delle donne. Una donna a casa, suddita felice che considera il lavoro esterno talvolta una triste necessità, sempre però apportatore di traviazione e pericolo. Non a caso nel 1936 si stabilivano assegni speciali per le donne che rimanevano a casa, svalorizzando e sottopagando quelle che si «ostinavano» a lavorare, e il divario dei salari fra uomo e donna era nell’ordine del 50%. La Germania nazista parallelamente licenziava tutte le donne sposate, persino le insegnanti, alle quali non era permesso neppure dare lezioni private. Un solo compito: quello di fare figli, possibilmente di pura razza ariana e servire l’uomo. «L’uomo è per noi un camerata — diceva la «camerata» riedizione 73 — ma a essere donne non rinunciamo. L’uomo anzi ci favorisce, ci coccola». «E grazie ancora dobbiamo dire — insisteva un’altra dirigente — perché l’uomo è l’uomo e noi rispettiamo la sua superiorità. È lui che si deve occupare delle cose; quel che conta è il pecoraro, poi.le pecorelle devono andare dietro e basta». Ed è su questo impianto reazionario, conservatore e della peggior tradizione italiana che l’MSI sì rivolge da un anno alle donne e cerca di far breccia nei settori della piccola borghesia, soprattutto in provincia. Già nel n. 3 Effe riportava del sindacato delle casalinghe fondato dalla Cisnal in Sicilia e delle Sex-Truppen, organizzazione femminile di Ordine Nuovo. Certo che l’ideologia nella sua semplicità storicizzata non può che trovare l’approvazione di molti uomini mentre l’insistenza con la quale si esalta la «femminilità» delle donne può facilmente trarre in inganno -le donne stesse, dato che viene coadiuvata da pubblicità, caroselli, settimanali femminili, stampa in generale. Una femminilità impastata di servilismo, di adorati pannolini, di bucati, di manine alla glicerina, di silenzi ristoratori e di attivismo casalingo sottovoce. Una femminilità che appare una esaltazione della donna, l’alter ego della virilità tipicamente fascista fatta di muscoli lucidati, organi genitali pubblicizzati, di «siamo maschi quindi tutto ci è dovuto». Una femminilità, come scrive Germaine Greer nell’Eunuco femmina «come prodotto artificiale della castrazione di un essere chiamato donna» e aggiunge: «il fatto però che il nostro concetto di femminilità venga così frequentemente pubblicizzato dovrebbe essere una prova a priori della sua natura artificiosa».
Elena Deutsch, allieva di Freud, una delle psicanaliste freudiane maggiormente «antifemministe» descriveva le attitudini delle donne considerate compagne ideali per la vita: «… se esse possiedono in grado elevato la qualità femminile dell’intuito, sono collaboratrici ideali che spesso ispirano i loro uomini e sono esse stesse felici in questo ruolo. Sembra che siano facilmente influenzabili, si adattino ai loro compagni e li capiscano. Sono le più graziose e le meno aggressive e vogliono conservare quel ruolo; non insistono sui propri diritti, semmai è vero il contrario. Sono facili da manipolare in tutti i modi purché si sentano amate» e aggiungeva «la loro capacità di identificazione non è un’espressione di povertà interiore ma di ricchezza». Una definizione elementare di quelle che sono le donne ideali e che è il risultato dell’oppressione culturale e sessuale a cui la donna è stata sottoposta lungo i secoli e non certo quello che effettivamente la donna è e potrà essere man mano procederà la sua liberazione proprio da schemi come questi. Ma questa elementarità di un concetto della donna e della sua femminilità è stato funzionale proprio al «nazionalismo» e al fascismo. Un nazista, Wilhelm Stapel, dava questa definizione: «il nazionalsocialismo è un movimento elementare, non lo si può attaccare con ‘ argomenti ‘. Gli argomenti sarebbero efficaci solo se il movimento si fosse sviluppato attraverso gli argomenti». E infatti i discorsi fascisti e nazisti hanno sempre fatto leva sui «sentimenti» degli individui della massa «evitando il più possibile qualsiasi argomentazione obiettiva». Ma come scrive Wilhelm Reich in Psicologia di massa del fascismo, il successo di uomini come Hitler si ottiene quando «la sua concezione personale, la sua ideologia o il suo programma trova riscontro nella struttura media di un largo strato di individui che fanno parte della massa». Ma quale ideologia trova maggior riscontro nella massa di quella anti-donna, esaltatrice di un individuo chiamato femmina, ammaestrato ad essere schiavo?
Anche Hitler si appoggiava sui diversi strati della piccola borghesia, gli stessi a cui si rivolge oggi Almirante assieme al suo movimento femminile, anche perché la donna è l’anello più debole, economicamente dipendente, quindi maggiormente legata al concetto cosiddetto femminile che le offre protezione in cambio dell’obbedienza e del servilismo. Sarebbe ingiusto verso le donne fare una polemica gratuita: le giustificazioni a favore delle donne sono molteplici ma occorrerebbe mettere in risalto anche un aspetto che emerge più difficilmente ma che è strettamente connesso al concetto di femminilità quale viene proposto dal fascismo. Il fatto che questa femminilità non è solo funzionale a un rapporto economico e politico ma anche e soprattutto alla unisessualità e spesso alla omosessualità maschile sempre latente nei movimenti fascisti e reazionari. L’innamoramento che il «maschio virile» ha di se stesso, spinto all’eccesso, esclude l’amore «con» l’essere considerato inferiore cioè la donna. Il «Genio, il Potente, il Forte cerca il suo eguale e con lui divide anche i piaceri sessuali».
Una omosessualità semidichiarata quella di Hitler, schedato già prima del 1913 dalla polizia di Vienna fra i «pervertiti sessuali», dichiarate quelle di Rohm, braccio destro del Fiihrer e del corpo speciale delle SA, antagoniste delle S S, e che vennero proprio decimate nella notte dei lunghi coltelli, durante una festa di omosessuali, ma che può invece nascondersi anche dietro alla virilità proclamata ai quattro venti dai fascisti italiani che dimostravano la loro italianità con avventure pubblicizzate a ripetizioni in cui la donna era solo l’oggetto, il mezzo col quale dimostravano quante volte e in che modo avevano avuto rapporti ma che avrebbe potuto essere anche sostituita da una pecora, un’asina, un chiavistello se questi fossero di colpo assurti a simbolo di virilità. E non bisogna lasciarsi ingannare dalle dichiarazioni che Mussolini, nel 1939, faceva ad Hitler quando negava che in Italia ci fossero «pederasti di qualunque sorta perché i figli di Roma sono tutti veri amatori». Fustigare clamorosamente la omosessualità può significare solo mascherare una parte di se stessi e non a caso Hitler «invertito schedato» mandava gli omosessuali nei campi di sterminio. Una ideologia quella fascista che esclude le donne, se ne serve soltanto come fattrici perché i figli sono utili all’Impero ma, come proclamava Mussolini «Nel nostro Stato non deve contare», che proibiva l’aborto perché quante più nascite ci sono tanto più si potranno colonizzare e ingrandire i confini, che favoriva le case chiuse ed esaltava senza parere la prostituzione e i rapporti a pagamento quali ristoratori per il guerriero, pronunciandosi solo per una maggiore igiene, non certo a beneficio della donna, ma necessaria all’uomo: la famosa paura della sifilide che pervade tutti gli scritti di Hitler e sulla quale si basano le teorie antisemite, la paura di castrazione e di malattia assurta a ideologia. Scriveva nel 1943 lo psicanalista Walter Langer di Hitler: «In età matura, volendo proteggere le proprie repressioni egli si servì poi degli orrori della sifilide per giustificare la paura inconscia della sessualità genitale e per razionalizzare il fatto che egli evita tutte le situazioni in cui potrebbero essere risvegliati i suoi desideri infantili. Evitando il livello genitale dello sviluppo libidico, l’individuo diventa impotente almeno nei rapporti eterosessuali». E ancora, «una volta capito il legame tra la sua perversione sessuale e il suo antisemitismo, diventa anche comprensibile il suo continuo collegamento tra sifilide ed ebrei».
Non si può certo liquidare l’antisemitismo in questa chiave hitleriana di proiezione della sua paura di castrazione, ma può essere lecito considerare che la paura delle donne e la paura di castrazione vanno di pari passo, che il rinchiudere le donne in un ghetto apposito, quello della femminilità compiacente le fa scadere da temute antagoniste a vittime consenzienti. E a questo proposito sono abbastanza indicativi i manifesti dell’MSI alle donne: una giovane tanto per benino con golfino e filo di perle, sorridente e timida al quale viene contrapposta la donna di sinistra raffigurata con uno dei disegni di donna di Guttuso, pugno alzato, scapigliata, aggressiva, in pieno movimento. Un’abitudine a compiacere l’uomo, un’educazione volta a togliere fin dall’infanzia alla bambina ogni iniziativa, una morale che trova disdicevole qualsiasi exploit femminile non conforme alla tradizione fanno delle donne le involontarie vestali di una politica sessuale rivolte contro di loro, le spinge ad assecondare involontariamente un mondo omosessuale fatto unicamente a dimensione uomo. Non è un caso il fatto che tutte o quasi le lettere spedite dai componenti della cosiddetta maggioranza silenziosa a Camilla Cederna, quando fu ucciso il commissario Calabresi non erano di polemica politica verso un esponente della sinistra ma erano lo sfogo maschilista e sadico contro la donna che non obbedisce al suo ruolo e quindi deve essere «sfregiata», «minacciata sessualmente», deve venirle «la sterilità in grembo», le occorre «la camomilla per sedare i sensi», è una Erinni, è «nata vacca», «non ci sarà pietà per te vecchia baldracca» e via di seguito. Un mondo, quello maschile fascista fatto di «campi militari», di addestramenti militari e digiuni sessuali, in cui «si parla fra uomini» e che purtroppo non si addice solo ai missini ma anche a tutti quelli che più o meno inconsapevolmente provano verso la donna un mal simulato disprezzo misto a un malcelato timore.