convegno consultori

dalla stasi alla lotta: mai più delegare

Roma, convegno nazionale sull’aborto e consultori. 28 gennaio 1978. La nostra risposta al “movimento per la vita” è la riorganizzazione della lotta per l’aborto e i consultori, ma anche la riproposta dell’anello di congiunzione aborto, sessualità, maternità.

febbraio 1978

con i tempi che corrono molte compagne sentono più che mai l’esigenza di riunirsi- per approfondire e discutere nuovi aspetti dei vecchi problemi del movimento. Per il 1978 infatti sono previsti molti momenti d’incontro, il primo dei quali è stato questo del 28-29 gennaio sul tema dell’aborto e consultori. Ne seguiranno altri a livello regionale, nazionale ed internazionale (es. a Pasqua il convegno internazionale a Roma sulla violenza sulla donna). Al convegno sull’aborto e consultori svoltosi alla Casa della Donna di Roma, hanno partecipato circa duemila femministe provenienti da tutta Italia. I punti di discussione proposti inizialmente erano:
1) quali sono i nuclei che praticano l’autogestione e come lavorano;
2) importanza politica dell’autogestione oggi e scarsa diffusione della pratica;
3) l’autogestione come pratica del self-help;
4) l’autogestione e il «dopo legge»;
5) difficoltà dell’autogestione all’interno dei gruppi femministi;
6) richiesta d’aborto nei consultori pubblici.
Ci siamo poi divise per ragioni di spazio in tre stanzoni, dato che la Casa delle Donne di Roma non ha una sala che poteva accogliere tutte. Nei diversi gruppi sono emersi sostanzialmente tre grossi nuclei di problemi. Le compagne che hanno lavorato e lavorano nei nuclei, che praticano l’aborto, hanno lamentato la scarsa solidarietà del movimento verso la loro forma di militanza, in particolare negli ultimi mesi. Per questo motivo molte di loro sono entrate in crisi, specie quelle appartenenti ai nuclei che lavorano da più tempo nelle grandi città. Invece nei piccoli centri di provincia, dove le compagne hanno iniziato a praticare gli aborti, l’esperienza sembra essere ancora un momento importante di crescita per chi pratica l’aborto e per le donne che esse avvicinano. Queste diverse esperienze si sono tradotte in proposte differenti: ci si, chiede se vogliamo continuare a farci carico dell’aborto con il rischio di farci usare dalle altre donne e se invece non dobbiamo delegare il problema alle istituzioni. Altre hanno insistito che le pratiche del self-help e dell’aborto avevano permesso di accumulare delle esperienze che il movimento delle donne potrà utilizzare come medicina alternativa e contropotere. Perciò il self-help e la pratica dell’aborto va vista tatticamente come una pratica di massa per estendere la riappropriazione della medicina e della salute da parte delle donne. Secondo alcune compagne è particolarmente urgente decentralizzare i nuclei dell’aborto, del self-help, per non sovraccaricare e delegare tutto alle compagne di Milano o Roma. Alcune compagne delPMLD hanno particolarmente sottolineato la necessità di estendere la pratica dell’induzione (aspirazione precoce al primo ritardo mestruale o aspirazione dell’endometrio tout court). Altre compagne hanno ribattuto che tale pratica è stata da tempo abbandonata dalle stesse americane che l’avevano proposta ed effettuata, anche per motivi tecnici e clinici, oltre che ideologici. A proposito dell’aborto inoltre alcune hanno sottolineato l’esigenza che la pratica del metodo per aspirazione parta da una seria preparazione attraverso il self-help, perché lo aborto alternativo (in attesa della legge o della depenalizzazione) sia praticato con senso di responsabilità verso la salute della donna e come contropotere alla medicina ufficiale. Occorre cioè essere inattaccabili almeno sul piano tecnico.
Altre compagne si sono poste invece il problema di come ottenere l’aborto dalle istituzioni, cioè che atteggiamento prendere di fronte alle proposte di legge e/o referendum. Esse hanno sottolineato che l’attuale pratica dell’autogestione dell’aborto costituisce uno strumento di lotta, ma che non deve diventare un momento istituzionalizzato. Non si vuole cioè che venga delegata al movimento femminista la pratica degli aborti clandestini, sfruttando il movimento per non affrontare le contraddizioni in Parlamento. A questo punto ci si è chieste perché nel movimento tante donne si sono rese latitanti rispetto al problema aborto riproponendo l’importanza di capire il significato profondo dell’aborto per ciascuna di noi.
Alcune compagne hanno affrontato questo problema della latitanza o disagio sull’aborto, esprimendo l’esigenza di non vederlo come staccato dall’elaborazione femminista sulla sessualità, sulla maternità, sui ruoli, sulla famiglia, ecc. Esse hanno rivendicalo la necessità d’un progetto più globale, che ci faccia andare all’esterno, non più come «quelle che chiedono l’aborto», ma come donne che propongono una maniera diversa di vivere nel quotidiano. Per fare questo occorre creare dei «centri per le donne» in ogni città, in modo che ogni donna possa avere uno spazio alternativo a quello familiare nel quale discutere e ritrovarsi con altre donne.
L’importanza di mostrarci all’esterno con proposte «positive» diventa oggi cruciale, quando ci troviamo a combattere contro il famigerato «Movimento per la Vita» organizzato dai cattolici contro l’aborto, (la cui proposta di legge pubblicheremo nel prossimo numero). Questi ci attribuiscono soltanto scopi e contenuti di «morte», mistificando completamente le nostre posizioni. Noi chiediamo anticoncezionali per non abortire e vogliamo l’aborto legale per non morire e in prospettiva vogliamo non più abortire, perché siamo le prime a dire che l’aborto è una violenza sulla donna. Occorre perciò dare una risposta qualitativa a questa ondata di medioevalismo, in modo che nei quartieri, nelle fabbriche, nei mercati dappertutto (occupando gli stessi spazi politici che i cattolici hanno attraverso parrocchie) tutte le donne possano sapere che noi lottiamo per una vita più felice, per la gioia della nostra liberazione comune. Occorre cioè essere pronte, se d sarà lo scontro frontale sul referendum, a diffondere i nostri veri contenuti, per evitare mistificazioni e confusioni dannose al movimento di lotta per la nostra liberazione.
Il convegno si è chiuso con la proposta di rilanciare la lotta per l’aborto, visto non come «pura rivendicazione» ma collegato alle tematiche fondamentali del movimento (gestione della salute, della sessualità, della maternità). È stata riaffermata la volontà del movimento di non subire passivamente la violenza delle istituzioni ma di lottare per garantire alle donne spazi vitali (consultori autogestiti – centri delle donne). La discussione riprenderà il 25-26 febbraio al Governo Vecchio. È stata anche fatta la proposta di uscire unitariamente l’8 marzo sui temi della gestione della salute.