terrorismo

la nostra lotta è già resistenza

il giornale femminista francese «Histoire d’Elles» ha intervistato in Germania Traude Burhmann, militante femminista, redattrice di «Courage» (il giornale delle donne di Berlino), studiosa di sociologia. Tema dell’intervista: il rapporto tra il terrorismo e la lotta delle donne.

febbraio 1978

Histoite d’Elles: «Qual è stata la tua reazione quando hai saputo della morte dei tre di Stammheim?»
Traude: All’inizio, non ho potuto crederci, soprattutto che si fosse arrivati al punto che delle persone si «suicidano» così in prigione. Quel giorno, alla redazione, eravamo tutte sconvolte, avevamo paura che succedesse qualcosa agli altri prigionieri politici. Tra le donne incarcerate, ce ne sono alcune che hanno contribuito a mettere in piedi il centro delle donne di Berlino. La cosa peggiore è che non potevamo entrare in contatto con loro, perché erano isolate. Ci siamo sentite totalmente paralizzate; le possibilità che avevamo per farci sentire dall’opinione pubblica, volantini e manifesti, non erano praticabili in quel momento. Secondo l’opinione pubblica quel che è capitato va bene, è giusto, si è sentito parlare di ristabilire la pena di morte, sta diventando impossibile fare manifestazioni. Due anni fa, quando è morto Holger Meins, io stavo facendo una raccolta di firme per una petizione per le strade: mi è venuta voglia di rifugiarmi nel metro per paura che mi linciassero. Ti identificano subito con la Raf. La sola possibilità d’azione è stata una specie di comunicato stampa; la sera ci siamo ritrovate al centro delle donne per discutere quel che si poteva fare. Non abbiamo trovato altro da fare che aggiungere una frase al telegramma spedito dagli avvocati dei tre anarchici spiegando perché non credevamo al suicidio. Quando è morta Ulrike Meinhof, ci sono stati dei manifesti enormi; a Berlino migliaia di persone hanno partecipato ai funerali e ci sono state anche personalità che hanno parlato e espresso i loro dubbi. Il padre della Ensslin è stato accusato di diffamazione nei confronti dello Stato perché dubitava del suicidio di sua figlia.
H.d’E.: Non si ha dunque più il diritto di esprimere dubbi su questa vicenda?
Traude: No. Se uno ha un ruolo pubblico, non ne ha più il diritto. Questo può portare persino al licenziamento. Il fatto di aver fatto una colletta per garantire cure mediche a Gudrun è stato sufficiente per definire «simpatizzanti» i genitori di Gudrun.
H.d’E.: Le femministe hanno preso altre iniziative?
Traude: Il centro delle donne di Bo-chum ha mandato una lettera aperta a Irmgard Moller, poi un telegramma, poi ci sono state le discussioni e un articolo su Courage dell’avvocatessa della Moller. Ma non ho sentito parlare di iniziative più importanti.
H.d’E.: La liberazione degli ostaggi del «Boeing» dirottato ha suscitato reazioni?
Traude: Sì. È stato un grande choc scoprire come lavora la polizia, come viene utilizzata e formata. Quel che è grave, è il fatto che, in ultima analisi, essa è impiegata contro la popolazione. E poi tutta quella polemica alla radio, soprattutto contro le donne… Tutte le sere alla tele c’è un film con delle terroriste. Su ogni rivista si trovano articoli con le foto delle ricercate. Il governo si dà molto da fare per convincere i cittadini a dare una mano nelle ricerche. Tra la gente serpeggia una grande diffidenza: chiunque si comporta in maniera un po’ fuori dalla norma — per esempio, che dorme più a lungo o che telefona da una cabina pubblica — è già sospetto.
H.d’E.: Qual è la tua analisi politica della RAF?
Traude: Non posso parlare della RAF senza che mi venga in mente la guerra del Vietnam, il fatto che il governo tedesco accetta la bomba al neutrone, la violenza quotidiana. Vedo questa lotta armata come una reazione. Non posso giudicare la loro violenza senza vedere allo stesso tempo che esiste una violenza mille volte più grande. Ma le azioni della RAF che prima avevano un senso politico sono ora concentrate sul gruppo stesso, sulla liberazione dei prigionieri. Sono completamente isolati e la sinistra sta prendendo le distanze da loro.
H.d’E.: Cosa ne pensi delle donne terroriste? Perché le donne diventano violente?
Traude: Tenendo conto della violenza di Stato, si può a malapena dire che il terrorismo sia violenza. Ma è difficile dire perché le donne diventano «terroriste».
H.d’E.: E tu come reagisci di fronte alla violenza della polizia?
Traude: Una ha una rabbia incredibile e in più la provocano. Per esempio, nei processi politici: tu ci vai come osservatrice e vieni perquisita, identificata come simpatizzante. Fa venire una tale rabbia vederli con i loro mitra: è evidente che la violenza nasce da una simile aggressione. Il ricorso alla violenza è sovente la conseguenza del fallimento di altri strumenti; vedo nella violenza la disperazione di non avere mezzi per difendersi.
H.d’E.: C’è una repressione specifica contro le donne?
Traude: Sì, nei processi per stupro, dove si arriva sempre alla conclusione che la donna l’ha voluto, o nella legalizzazione della violenza nel matrimonio. Nella vita quotidiana, qualunque modo «diverso» è censurato, tutto è assimilato al terrorismo. Per me questo modo «diverso» di vivere è già resistenza.
H.d’E.: Si tratta dunque di una repressione sottile e quotidiana che però trova la sua base nelle leggi.
Traude: Sì, come quando hanno cercato di mettere le donne del centro delle donne di Francoforte sullo stesso piano delle terroriste per via di viaggi in Olanda. Tutti i campi in cui le donne hanno guadagnato terreno, come la medicina, con la creazione di un «centro per la salute della donna» a Berlino, costituiscono una minaccia per lo Stato e la stampa ha già attaccato duramente il centro. Ma le donne all’inizio del movimento erano più all’offensiva, ora lo sono di meno per l’intimidazione terribile e la paura che si è diffusa.
H.d’E.: Cosa è successo esattamente a Francoforte?
Traude: Nel ’75 alcune donne del centro sono state accusate di «associazione criminosa» perché avevano organizzato viaggi in Olanda per gli aborti. Sono state rilasciate. Poi i centri delle donne non sono più stati attaccati, tranne una casa di vacanza per le donne che è stata perquisita, senza che si sappia perché. Forse perché rappresentiamo una certa forza. Pensa a Emma, che tira 120.000 copie o a Courage che ne tira 60.000. Questi giornali non sono letti solo dalla sinistra o dagli emarginati. Forse non ci attaccano più anche perché molte donne hanno il trip del ritorno alla natura; si ritirano e allattano. Io penso che dobbiamo fare tutte e due le cose: trovare altre forme di vita e reagire a quel che viene dall’esterno.
H.d’E.: Avete discusso molto della violenza?
Traude: Sì, molto della violenza quotidiana, ma moltissime donne rifiutano di parlare della violenza delle donne della RAF. Dico, o: il movimento delle donne deve trovare altre forme di vita e non vogliamo discutere della RAF, sia perché la loro politica è falsa sia perché non vogliamo lasciar distruggere le nostre nuove forme di vita dall’esterno. Io sono arrivata alla conclusione che, qualunque sia la propria posizione nei confronti della violenza, bisogna appoggiare le prigioniere politiche perché secondo me, queste donne appartengono al movimento delle donne. Non si possono separare le due forme di lotta: dobbiamo trovare la nostra autodeterminazione all’interno del movimento, continuando a lottare contro l’esterno che cerca di condizionarci. Viviamo qui, non possiamo dire «questo non ci riguarda». Anche se non vuoi discutere della RAF in rapporto alla violenza di Stato, questa si abbatte ugualmente su di te, per esempio le centrali nucleari. Il movimento delle donne deve essere forte all’interno per poter lottare all’esterno. È dunque importante lavorare continuamente ai nostri progetti, anche nei gruppi di ritorno alla natura, ma mantenendo i contatti con l’esterno. È un doppio compito.
H.d’E.: Si potrebbe definire la violenza terroristica come violenza maschile?
Traude: Quando si osservano da vicino le azioni della RAF non c’è differenza tra la violenza delle donne e degli uomini. Comunque basta poco per essere accusata di violenza e diventare «terrorista». Una donna, ad esempio, ha avuti 4 anni e mezzo di prigione per aver affittato l’appartamento a dei terroristi. Si vuole persino introdurre «l’internamento di sicurezza», finora riservata ai delinquenti che erano stati molte volte in galera. Ora lo si chiede per i terroristi condannati una volta e per persone a cui erano stati rubati i documenti: anche loro eran «terroristi». È molto più importante discutere questa violenza di Stato di quella della RAF. Se ti mettono in galera oggi, finisci nell’isolamento totale e non puoi neppure vedere il tuo avvocato. Sei in galera e ti danno il colpo di grazia. Questo è importante nella situazione globale della Repubblica Federale tedesca.
E non riguarda solo la RAF, ma tutti quanti. Si ha paura dei vicini, al telefono si sta attenti a quel che si dice. Si diventa diffidenti: è la cosa peggiore il fatto di incontrare qualcuno e pensare automaticamente «Cosa vuole? Cosa si nasconde?».
H.d’E.: Pensi che siano i terroristi a obbligare la Repubblica Federale tedesca a introdurre queste misure repressive?
Traude: No, ma è quel che crede la maggioranza della gente. Mia madre dice sempre: «Voglio vivere in pace, ho sofferto abbastanza, non voglio sapere niente». Quel che mi spaventa è che questa reazione viene proprio dalla generazione che ha vissuto il fascismo. E la sinistra sostiene che la RAF ostacola la lotta dei movimenti progressisti. Non è vero. Dal 1949 hanno introdotto delle leggi per distruggere la resistenza nella popolazione.
H.d’E.: Come lo spieghi storicamente?
Traude: All’epoca erano leggi per la protezione delle frontiere. Dall’inizio «si» doveva fare qualcosa contro il comunismo.
Poi sono passate altre leggi, fino a quelle del 1958. Ciò prova che non si tratta della RAF. Lo Stato ha un monopolio della violenza che non si lascia portare via.
H.d’E.: Pensi che la Repubblica Federale tedesca si avvii a diventare un paese fascista?
Traude: I neo fascisti si fanno più forti, distribuiscono i loro giornali, organizzano incontri. Il film «Hitler, una carriera», viene mostrato nelle scuole e comunque ha un grande successo. Si vendono giocattoli con croci uncinate. Quel che lo Stato permette è secondo me l’inizio di una nuova forma di fascismo. Abbiamo un’esperienza che fa capire chiaramente quel che accade qui.
Abbiamo fatto un’azione contro un grande magazzino, che aveva messo in vetrina manichini mezzi nudi, sdraiati sul letto. Abbiamo scritto «misogino» sui vetri e per terra: hanno cancellato le scritte. Abbiamo fatto degli articoli di denuncia e dei picchettaggi di fronte al grande magazzino. Ma c’era un provocatore pieno di odio che ci ha insultato chiamandoci «comuniste».