delusione e rabbia per un progetto abortito
da anni mi occupo del problema dell’aborto e posso dire di averlo approfondito, discusso e sofferto abbastanza; oggi, di fronte al testo del progetto di legge mi sento di dare un giudizio sostanzialmente critico e negativo. In sostanza, con questa legge le donne non potranno abortire, o potranno farlo con enormi difficoltà, se fortunate, ostinate, emancipate, forti abbastanza da passare attraverso il tortuoso iter di complicazioni, lungaggini, difficoltà con le quali si troveranno a scontrarsi. Dalle democratizzate Commissioni Giustizia e Sanità una figura di donna è uscita in pratica del tutto simile a quella che da secoli ci è imposta, una donna da convincere, una donna da controllare, proteggere, se possibile, punire. Una donna non autonoma formalmente e culturalmente, insomma una donna diversa dalla donna che stiamo vivendo e costruendo in Italia, ormai da anni ed anni.
Non ci interessa ora dare un giudizio sulle posizioni dei partiti antiabortisti, come la DC, ma nelle Commissioni la maggior parte dei partiti «laici»,,come il P.c.i., è andata ad inutili mediazioni con la DC, su emendamenti presentati dalle compagne radicali e demoproletarie, che avrebbero reso la legge sicuramente più giusta ed accettabile alle donne. Mediazioni inutili, dico, perché sia in commissione che in parlamento la DC ha comunque votato e voterà contro la legge. Quindi anche in questo caso, specialmente in questo caso, la logica compromissoria non paga. I compagni comunisti ci rispondono che così le forze cattoliche forse non andranno alla spaccatura del paese su una questione, diciamo, secondaria rispetto alle grosse questioni nazionali. Questo ragionamento, questo approccio tattico, al di là dei dissensi ideologici, ci appare inaccettabile per il motivo che non si svendono delle esigenze e dei principi quali quelli emersi da un movimento giusto, ricco, di massa come il movimento delle donne, dei contenuti ormai profondamente entrati nella realtà del paese, non si svende tutto questo a così basso prezzo e senza nessuna garanzia.
Ma passiamo agli articoli del testo di legge. Innanzitutto il 1° articolo, in cui si sancisce, di principio, che l’aborto non va usato come mezzo anticoncezionale, come se, da sempre le donne non si trovassero sole di fronte a questo problema, come se in moltissimi casi, esistessero già alternative sociali e culturali atte ad evitarlo. Vorrei solo accennare al problema dei 90 giorni, e del medico, perché mi sembra che su questo il movimento già da vario tempo ha discusso e si è espresso in modo univoco. Per quel che riguarda la figura del medico, dal nuovo testo della legge emerge di particolare nuovo: che deve avere almeno 5 anni di professione per svolgere la sua funzione di consulente, non per eseguire l’intervento. Assurdi e pericolosi questi 5 anni che automaticamente escludono i medici più giovani ed eventualmente più disponibili e comprensivi (immaginiamo le condotte e gli ospedali di alcune provincie). Passiamo al problema dei 7 giorni necessari al medico per permettere alla donna di ripensare alla sua situazione. Non so se i parlamentari che si sono occupati di questo particolare abbiano incontrato molte donne nella situazione di dover abortire. Io, personalmente, so con certezza che nella situazione delicata e tragica di una donna che ha deciso (non può fare altro) di abortire, qualsiasi ritardo rappresenta una enorme fonte di ansia, di paura, di disperazione. Art. 4. Per abortire dopo i 90 giorni, dobbiamo proprio stare per morire, avere noi o il feto, processi patologici tali da farci morire o da distruggerci psichicamente, nel qual caso l’iter diventa ancora più complesso, con la collaborazione di specialisti, l’informazione al direttore sanitario dell’ospedale (l’introvabile!).
Nell’Art. 6 si parla delle strutture in cui poter abortire. E qui emergono alcuni degli aspetti più ambigui e fariseici. Per evitare alle strutture sanitarie cattoliche l’imbarazzo dell’obiezione di coscienza IN QUANTO OSPEDALE (es. il Gemelli di Roma) si è invertito l’iter, saranno gli ospedali pubblici a dover fare la richiesta per poter eseguire interventi abortivi, questo dato non è un particolare insignificante, personalmente lo trovo pericolosissimo per quello che dimostra ancora una volta sulla presunta laicità dello stato italiano: la norma è quella dell’istituto religioso che non fa la richiesta, l’eccezione è rappresentata dall’istituto pubblico che chiede di poter eseguire l’aborto. Inoltre i poliambulatori pubblici di cui si parla nello stesso articolo non sono, compagne non illudiamoci, i consultori. Un altro dato grave è sicuramente il fatto che gli ospedali non potranno eseguire aborti per più del 25% degli interventi globali, la motivazione, ad analizzarla attentamente appare soprattutto di natura estetica, del tipo che le cliniche che fanno troppi aborti urtano un immagine dell’Italia pacificata e ^ concordataria. Questo punto è grave, anche perché siamo tutte a conoscenza della reale situazione degli ospedali italiani, e questa situazione porterà in moltissimi casi (specie per gli aborti con motivazione «psicologica») ad impedire l’espletamento dell’aborto (ormai è tardi, fai il figlio!). Qui, dopo alcuni articoli che riguardano l’assistenza mutualistica, si arriva all’articolo 10. Questo articolo riguarda il problema delle minorenni, le quali, secondo il testo della legge, per abortire (sotto ì 16 anni) dovranno far partecipare a questa decisione almeno uno dei genitori, i quali in effetti hanno, come il medico, solo potere consultivo sulla decisione della donna. Questo articolo vorrà dire probabilmente ancora aborto clandestino, le molte ragazze che ho visto, figlie dei padri e delle madri nazionali, pur di non dirlo ai genitori (e subire le conseguenze di tutto) farebbero qualsiasi cosa. Non sono molto d’accordo con Emma Bonino quando dice che questa legge è uguale a quella di prima è anzi più pericolosa perché mistificante; credo che questa brutta legge, che è un segno anche della debolezza del movimento delle donne, su questo obiettivo negli ultimi mesi, credo che non toglierà all’Italia la piaga dell’aborto clandestino, ma potrà servirci per aprire dovunque, in Parlamento, nei comitati di quartiere, nelle scuole, nelle fabbriche, negli ospedali, momenti e spazi di mobilitazione, questa legge il movimento delle donne dovrà gestirla, dovrà usarla per approfondire il dibattito sul problema dell’aborto e sul problema del rapporto con le istituzioni.
Si apre adesso la fase più difficile forse di tutti questi anni di lotte, in parlamento come in tutte le strutture in cui è presente, il movimento delle donne deve farsi carico delle esigenze di libertà e giustizia delle donne, così:come deve riacquistare nuovi livelli e modi di unità, di forza, di coscienza e chiarezza.