due cuori ‘na camera e cucina

giugno 1977

quando si parla di Architettura come «strumento di potere» si pensa all’efficacia di certe architetture monumentali e rappresentative, alla docilità con cui essa varia al variare dell’utenza (e qui la verifica è quotidiana). Che l’architettura contribuisca alla divisione per classi è chiaro quasi a tutti: case popolari e villini hanno di solito utenze diverse. Anche per quanto riguarda gli appartamenti gli elementi discriminatori non mancano: tipo di pavimentazione, numero di stanze, loro ampiezza, posizione, arredo ecc. Però se si parla di appartamento in termini di divisione in spazi predeterminati (camera da letto, cucina ecc.) ecco che salta fuori la frase «è un modello che risponde alle sue funzioni e che è determinato dalle abitudini dell’uomo»; starebbe a dimostrarlo anche il fatto che qui la forte differenziazione tra classi sociali scompare. Ma non è solo la divisione per classi che serve al potere. Serve anche il perpetuare un certo tipo di famiglia e i ruoli dei loro componenti. E anche qui secondo me l’architettura serve bene il potere: l’ha aiutato a fare della famiglia un nucleo privato eliminando o degradando ogni possibile luogo d’incontro inter-familiare, l’ha aiutato a sancire il ruolo riproduttivo della coppia destinando una intera stanza a «talamo nuziale», lo ha aiutato a cercare di mantenere la gerarchizzazione tra i componenti della famiglia impedendo loro una certa indipendenza, costringendoli ad uscire ed entrare da una stessa porta sotto il controllo di chi «esercita l’autorità», l’ha aiutato a istituzionalizzare il ruolo di casalinga evitando esempi di mense collettive e anche qui una stanza allo scopo. E si badi bene che la cucina è inamovibile: la carniera matrimoniale può essere destinata ad altro uso anche se contro la volontà del progettista che, non esistendo fortunatamente letti incorporati nei muri, deve limitarsi a sottolineare la funzione della stanza con i due attacchi della luce. La cucina no. La cucina è là e te la tieni, con il suo bravo gas per cucinare ed il suo lavandino a farti pensare che alternative non ci sono.
Nella breve analisi etnologica sulle abitazioni ho notato una strana coincidenza delle prime suddivisioni all’interno delle abitazioni con l’avvento del patriarcato, che ha rafforzato in me la convinzione che esista un nesso tra suddivisione e differenziazione degli spazi e formazione di ruoli all’interno della famiglia.
Il significato che volevo dare allo spazio ed alla nocività si è così puntualizzato: spazio
appartamento inteso come suddivisione e gerarchizzazione di spazi aventi destinazioni già fissate; nocività formazione e/o consolidamento di ruoli all’interno della famiglia. Più un’abitazione viene suddivisa in spazi dalla destinazione prestabilita, maggiore è la difficoltà di liberarsi da certi schemi di vita familiare. Nei^ campeggi, nei falansteri, in tutti quei luoghi dove è maggiore la vita comunitaria il bisogno di prefissare e dividere gli spazi diminuisce, mentre aumenta quando più forte è la volontà di cristallizzare, rafforzare i ruoli: dalla relazione di un architetto sugli standards «ideali» per le case popolari (periodo fascista) : «La camera per il figlio maschio sarà di metri 3×4, quella per la figlia femmina di metri 3×3». Mi sono chiesta come poteva essere fatto un appartamento che non condizionasse o che condizionasse il meno possibile la famiglia, che favorisse la rimessa in discussione del suo ruolo e di quello dei suoi componenti. Ho sentito poi l’esigenza di parlarne con il Collettivo Femminista di Pescara che mi ha ‘riconfermato alcuni punti che riteniamo necessari:
1) Spazio individuale:
ogni individuo deve avere un suo spazio autonomo per avere la possibilità di isolarsi (se lo vuole) e di autogestirsi. Questa possibilità non deve essere limitata ai figli più grandi ma estesa a tutti, moglie e marito compresi. L’ingresso individuale deve esserci anche se può non essere usato.
2) Spazio collettivo familiare:
inteso come luogo d’incontro voluto e non inevitabile (può anche non essere familiare ma di gruppo) necessario per gli scambi affettivi.
3) Spazio collettivo inter-familiare:
per non rendere inevitabile la privatizzazione della famiglia e per dare a tutti i suoi componenti la possibilità di non
cristallizzarsi (possibilità oggi negata alla casalinga).
Questo spazio di riunione deve poter essere scelto (i bambini possono decidere di riunirsi tutti in uno spazio, così le donne ecc.).
Un altro punto da noi giudicato indispensabile è la collettivizzazione dei servizi per evitare lo spreco di manodopera fra l’altro non pagata e per, più che restituire, dare alle donne la possibilità di gestirsi un tempo libero a loro sempre negato.