il figlio che si allontana
comunque la si giudichi, la disgregazione della famiglia è un fatto. In ogni caso, anche quando sopravvive, essa manifesta la sua crescente incapacità a soddisfare le legittime esigenze del bambino, sia che la madre stia in casa o che se ne allontani, ed anche se gli dedica tutte le sue energie. La famiglia nucleare, e le condizioni di vita che essa normalmente offre,’ limitano il campo di esplorazione del bambino e dell’adolescente, riducono le sue tendenze a stabilire rapporti affettivi su un rapporto a due o tre al massimo di natura spesso morbosa. E non è un caso se i giovani hanno sempre più fretta di allontanarsi totalmente o parzialmente dall’ambito familiare, per ritrovare il gruppo dei loro coetanei ed allargare l’ambito sociale e/o spaziale della loro esplorazione. Figli e figlie delle famiglie più bisognose si rendono autonomi, per così dire, occupandosi prestissimo o con matrimoni precoci; i figli e le figlie dei borghesi trovano negli studi universitari, spesso prolungati senza fine, il pretesto per una rottura «amichevole» con il loro ambiente. Solo le famiglie molto ricche riescono a conservare (relativamente) i figli nel loro ambito mettendo a loro disposizione possibilità eccezionali capaci di far concorrenza alle seduzioni dell’esterno e della libertà, offrendo insomma nell’ambito del privato delle possibilità che dovrebbero essere condivise con altri. Ma anche «comprando» l’affetto non è possibile che rallentare, per una generazione al massimo questa tendenza inevitabile.
Questa rottura della famiglia, che può sembrare la fine di un mondo comporta tuttavia degli elemeniti positivi perché ci obbliga ad una disappropriazione
dei figli. Infatti nella famiglia borghese i figli sono stati a lungo, e spesso sono ancora, considerati come un bene, una proprietà dei genitori. E da ciò derivavano le sottili distinzioni legislative tra figli legittimi e adulterini, bastardi, adottivi, ecc. che facevano differenza tra figli veri con diritto all’eredità e figli falsi. Ma questo bambino’ posseduto era un bambino amato? e se amato, in che modo?
Quanti genitori ed in particolare quanti padri accettavano e accettano che i loro figli si stacchino da loro non solo materialmente ma anche socialmente, culturalmente, ideologicamente?
Bambini amati, amati fino a soffocarli, rinschiusi in una prigione dorata. Talora anche bambini poco amati, bambini non desiderati e diventati ingombranti, bambini picchiati, abbandonati o più abilmente caricati di tutte le frustrazioni dei loro genitori e condannati a sopportarne le nevrosi.
Su tutti questi frutti della famiglia borghese che certi vorrebbero far passare per ideali, dieci o vent’anni più tardi, si interrogheranno pletore di psicanalisti, psicologi, psichiatri individuali e di gruppo… ma spesso invano. E se Freud ha ragione, se l’uomo si forma davvero nella prima infanzia, prima dei tre anni, allora è possibile dire che la prima infanzia passata nell’ambito della protezione familiare ha prodotto una folla di malati.
E’ per questo che non bisogna mettersi troppo a lutto per la morte della famiglia o spaventarci alla prospettiva di vedere l’educazione comunitaria sostituirsi progressivamente all’educazione puramente privata. In questo movimento di disappropriazione scopriremo che i bambini non appartengono a nessuno tranne che a se stessi e che tutto il nostro compito si limita a favorire fin dall’inizio e progressivamente, la loro responsabilizzazione. Impareremo a sviluppare una paternità collettiva nei confronti di tutti i bambini, biologicamente figli nostri o altrui, anche se alcuni più di altri saranno a nostro carico. E noi smetteremo di pensare che i bambini che abbiamo messo al mondo ed educati abbiano, solo per questo, un debito nei nostri confronti. È l’insieme dei rapporti umani che debbono essere concepiti come rapporti di sostegno reciproco, senza contabilità di diritti e di doveri.
Indubbiamente è questa una visione utopisitca, un progetto difficile in una società in cui tutti sono così profondamente separati dalla classe, razza,
sesso, l’età, ma è una visione limite che deve costituire l’orizzonte del nostro lavoro sociale e politico.
Indubbiamente, i bambini che cresceranno in una società in cui saranno state rotte o allentate le catene della famiglia saranno diversi da quelli di oggi: non esis; società nuova senza uomini nuovi e .,on possiamo sperare di ripetere all’infinito lo stesso tipo di umanità. La famiglia nella sua forma attuale non può più svolgere il ruolo che da essa ci si aspettava. Noi non ne desideriamo il fallimento, ci limitiamo a constatarlo.
Davanti a questo fallimento diventa necessario inventare nuove forme di relazione e di educazione. È diventato impossibile essere «buoni genitori» e soprattutto essere una «buona madre» nelle strutture familiari e sociali presenti: tutti i bambini, i nostri bambini, ce lo mostrano. E poi è la virtù che viene meno.
Non abbiamo più voglia di essere «buone madri», vogliamo essere donne felici di fronte a bambini felici che non è detto debbano essere obbligatoriamente «nostri».