la coppia si inventa provando

febbraio 1977

ci siamo sposati, come penso tanti, nei primi anni dopo il ’68, naturalmente senza credere nel matrimonio, naturalmente in municipio, vestiti male, coi testimoni in eskimo e anfibi, senza confetti né partecipazioni, rifiutando i regali che invece arrivavano lo stesso, orribili e inutili. Ci sentivamo molto bravi e anticonformisti a passare i quindici giorni di licenza matrimoniale io nel povero doposcuola di un paesino di montagna tirato avanti dal prete-scomodo – in – esilio – tra – gli – emarginati, lui un po’ dai parenti e un po’ a lavorare.
Non credevamo nel matrimonio e neanche nella famiglia, istituzioni borghesi (ci eravamo sposati per motivi molto pratici) però credevamo nella coppia, nell’Amore, non in quello eterno che dura tutta la vita, ma in quello esclusivo che, fin quando dura, non lascia spazio ad altri amori, amorazzi, amorini, ma che non deve essere troppo esclusivo da non lasciarlo all’amicizia, ai vari rapporti umani, all’impegno sociale e politico. Insomma, avevamo una specie di decalogo non scritto su quello che «doveva» essere il nostro rapporto di coppia.
Però, si sa, i decaloghi ognuno se li interpreta come crede e così, nel giro di poco tempo, era diventato chiaro che ognuno di noi due si ‘ aspettava qualcosa di diverso. Così io, ragazza piuttosto standard per quei tempi, né bella né brutta, vestita male perché la politica è più importante, abbastanza impegnata, ma non troppo (cioè non come un uomo), autonoma dal marito sia economicamente, sia nelle amicizie e negli impegni, pessima casalinga, terrorizzata all’idea di un eventuale figlio, tempo libero passato col naso nei libri e nelle riviste «di sinistra», sdegnosa verso le altre donne, quelle che parlano solo del trucco e dei cantanti, ero capace di passare tre giorni chiusa in
camera, quasi senza mangiare, piangendo in continuazione, se Lui mi aveva trascurata, se era troppo tempo che non facevamo l’amore (ma allora dicevamo scopare), se era uscito di casa senza dirmi che stava via più di due ore e poi, quando avevo finito di piangere per quello, incominciavo a piangere per quanto ero cretina. Ho sempre avuto la lacrima facile, fin da bambina, ma alle donne è concesso.
Nonostante vivessimo in una comune, queste cose ce le portavamo avanti da soli perché erano troppo private, e tutti e due ci sentivamo un po’ anormali: io a volte pensavo.di essere ninfomane, solo perché avevo voglia di far l’amore troppo spesso rispetto alle esigenze di Paolo e alla media che tenevano i nostri amici e che sbandieravano in giro come conferma di normalità; lui voleva perfino andare da un endocrinologo a farsi controllare le palle, sentendosi talmente lontano dall’immagine del Maschio Infilzatore che a quei tempi andava per la maggiore.
Dopo circa tre anni di crisi cicliche, come le chiamavamo, avevamo un po’ accantonato il problema, presi da cose pratiche come il figlio che nel frattempo avevamo voluto, il trasloco in campagna dove andavamo in un altra comune, la novità e la fatica del lavoro manuale. Poi, nel giro di poco tempo, sono successe tante cose. È successo che io, sentendomi forse più realizzata dal nuovo tipo di vita e di rapporti umani, mi sono pian pianino sganciata da Paolo al punto di sentire chiaramente che in quel posto ci stavo bene e ci sarei stata anche senza di lui; vivevo bei momenti da sola e con le altre persone, non mi importava più se lui stava via due ore o due settimane, né quante volte si faceva l’amore, e naturalmente da quel momento abbiamo fatto le più belle scopate e lui era diventato perfino focoso. Sembrava che ci fossimo innamorati di nuovo. Ma la strada che avevo imboccato doveva portare a una revisione del mio rapporto con Paolo. Quando eravamo ancora in città avevamo letto e discusso molte volte le teorie di Reich e di Cooper sulla famiglia e la coppia e, almeno in teoria, non le rifiutavamo.
Adesso eravamo arrivati a scendere nella realtà: io avevo iniziato una relazione con un altro, per di più uno che stava con noi, nella stessa comune. Ci sono stati mesi di inferno: fra me e Marino c’era un rapporto che, nato come liberante, aveva causato le sofferenze più nere in sua moglie e in Paolo. Allora, mettendo avanti il gruppo e gli interessi che ci univano tutti e quattro, avevamo deciso di non portarlo avanti, o meglio, di limitarci sul piano sessuale, come se si potesse avere comunicazione fra due spiriti che si erano messi in tasca i loro corpi.
Da allora sono passati due anni, sono passati altri rapporti, molto meno coinvolgenti di quello con Marino ma che, di volta in volta, mi hanno dato qualcosa; forse un po’ superficiali ma molto sinceri; sono stata sincera fino a rasentare la crudeltà. Erano rapporti che adesso senz’altro rifiuterei ma che erano estremamente coerenti col momento che stavo vivendo: ero una donna «liberata»; avevo molta facilità di rapporti sessuali gratificanti per gli uomini e che comunque andavano benissimo anche a me, in cui non mettevo in discussione né me stessa né i miei partners; le loro donne mi vivevano come «l’altra» e avevano un po’ paura di me, giustamente, perché io non creavo problemi come poteva invece capitare a loro. Mi accorgevo di correre a volte il rischio di creare un nuovo rapporto chiuso che razionalmente rifiutavo, ma avevo il buon senso di capire che io in quel momento ero così, non potevo fingere di essere diversa, non potevo forzare le tappe.
Poi quel periodo è finito, ho incominciato a mettere in discussione quel tipo di rapporti, anche perché mi accorgevo che in parte volevano essere un surrogato di quello che non avevo potuto vivere: quello con Marino. Ho passato un periodo in cui il mio corpo era anestetizzato: non solo non avevo un briciolo di voglia di far l’amore, ma neanche di una carezza, di un gesto affettuoso, di sentirmi bella, di mettermi addosso dei vestiti decenti.
In quel periodo la situazione fra noi quattro era migliorata, Maria aveva un atteggiamento diverso, si era notevolmente sganciata da Marino, aveva interessi suoi, rapporti autonomi; sarebbe stato possibile riprendere, fra me e Marino, senza far stare troppo male neanche Paolo (le cose assolutamente indolori sono impossibili). Ma io stavo passando quella fase, Marino mi sembrava addirittura di detestarlo, non mi andava di essere toccata da lui nemmeno sulla spalla, eppure capivo che era una reazione al lungo periodo di repressione che avevo subito e aspettavo che passasse, impegnandomi intanto in un lungo lavorio di analisi della mia vita, soprattutto degli ultimi anni, della mia sessualità, della maternità, del mio modo di vivere le altre donne, dei principali rapporti con gli uomini che avevo avuto.
Dopo che mi sono chiarita parecchie cose, che ho incominciato a recuperarmi pian piano, la situazione si è sbloccata. Sono riuscita a vivere con Marino dei bei momenti, a farci l’amore; ma è chiaro che io non ero quella di tanti mesi prima, come non lo era lui. Quello che non avevamo vissuto due anni fa non lo abbiamo vissuto mai più. Adesso tra noi due c’è un rapporto decente, tenuto insieme non dalla sessualità, come allora, che è finita proprio all’ultimo posto, ma soprattutto dalle scelte di vita che facciamo insieme e insieme a Paolo e Maria, dalla confidenza che a volte è quasi cameratismo, dallo sforzo di capirci ed accettarci, ma allo stesso tempo di metterci in discussione reciprocamente. È un discorso aperto.
Se devo dire come mi sento adesso, mi sento sola, una che ricomincia daccapo. Ormai non sceglierei più non solo di sposarmi, ma neanche di convivere con un uomo col quale ci sia un rapporto piuttosto impegnativo. Sì, con Paolo continuo a viverci, nella comune, ma con lui si tratta di reinventare il rapporto su basi diverse da come è stato prima: a lui ci tengo, e non solo per i sei anni passati insieme, per le scelte comuni, il figlio… Ci terrei anche se l’avessi incontrato l’altro ieri. Anche con lui è un discorso aperto.
E anche con me stessa ho un discorso aperto: sto vivendo la contraddizione di aver bisogno degli uomini, di aver voglia di farci l’amore (con le donne ci sto bene, adesso, ma non vado più in là dell’affetto e dell’amicizia) e allo stesso tempo essere frenata nei rapporti con loro, provare tanta rabbia nello scoprire ogni volta la loro supremazia nel sociale travasata nel privato, e anche col più dolce, il più attento ti accorgi di subire delle violenze, se non . sul piano sessuale, su quello intellettuale. Ogni tanto penso che qualcuno deve pur essercene, di diverso, poi mi accorgo che è come fabbricarsi un principe azzurro di tipo nuovo. No, sono io che devo cambiare, diventare più forte per poterla vivere, questa contraddizione, senza esserne soffocata, senza oscillare, come faccio adesso, tra il compromesso e la solitudine. Auguri.