la tradizione perduta

Madri e figlie in letteratura: splende un Faro anche per le donne di oggi?

luglio 1980

Un gruppo di donne del Michigan si riunisce nel 1976 per studiare insieme il rapporto madre-figlia in letteratura» Hanno background» diversi: alcune sono appena laureate, altre sono docenti universitarie, antropologhe, studiose di scienze sociali, critiche letterarie, poetesse. Alcune di loro sono solo interessate ai problema. Insieme, libere da qualsiasi vincolo gerarchico, lavorano alla creazione di una “critica femminista”: le idee vengono messe in comune senza che alcuna si erga a giudice. Alcune di loro studiano i testi con le loro figlie: si getta un ponte tra le generazioni. Scambio di esperienze, conforto, tenerezza e rispetto reciproco.
Cercando in un genere di letteratura solitamente trascurato, nel privato dei diari, delle fiabe, dei miti, nelle canzoni e nelle autobiografie delle donne, recuperano l’immagine sfocata delle loro madri. Il passato materno torna a vivere. Ne esce un libro unico.
“Insieme… noi tutte andiamo in cerca di quella sconosciuta che è stata nostra madre…”.
LA TRADIZIONE PERDUTA – Madri e figlie in letteratura, a cura di Cathy N. Davidson e E.M. Broner, è un viaggio attraverso il tempo e lo spazio a cominciare dall’anno 2100 A.C., fino ai ventesimo secolo, dalle terre bibliche alle nazioni contemporanee. E’ una testimonianza della presenza della donna nelle diverse culture «un’affascinante escursione attraverso i rapporti, in continua evoluzione, fra madri e figlie nella storia della letteratura mondiale».
In che modo, nel corso delle diverse generazioni, le figlie hanno accettato o si sono ribellate alle loro madri? E con quali risultati? Nei ventiquattro saggi che compongono il libro vengono passati in rassegna diversi aspetti:
• una madre perduta, la cui unica traccia è un nome scolpito su una pietra tombale…
eroine vittoriane orfane di madre così come vengono ritratte nelle opere di George Eliot, fané Austin e delle loro contemporanee;
l’aspro contrasto, contenuto nei termini di “mistica femminile”, vissuto in tutta la sua amarezza, da Anne Sexton, Sylvia Plath, Doris Lessing;
il ritrovarsi per celebrare la rinascita della femminilità così come descritto da scrittrici quali Toni Morrison, Adrienne Rich, Simone de Beauvoir e Maya Angelou.
Tra i vari saggi ne abbiamo scelto uno, scritto da una madre e due figlie.

Avendo sia le mie figlie che io cercato di conciliare il ruolo di madri con quello di dorme che lavorano, ho proposto come lettura Gita al Faro di Virginia Woolf, quale spunto per una visione introspettiva della nostra vita. Centrato su due donne — una madre o un sostituto materno e un’artista — il romanzo esamina le possibili scelte che si offrono alle donne. Una sfida a scegliere fra l’essere madri o artiste — intraprendere una carriera o dedicarsi esclusivamente alla maternità —. La Woolf conosceva i problemi della donna artista, e il suo contributo al pensiero femminista non è trascurabile; il suo mondo poteva diventare un valido spunto per uno scambio di idee.
La mia proposta venne accolta in vario, modo. Una delle mie figlie, una storica americana, mi disse che avrebbe preferito studiare una scrittrice americana. Per fortuna però conosceva a fondo la Woolf anche per aver tenuto su di lei, un corso in un istituto femminile, per cui alla fine accettò di leggere e commentare insieme Gita al Faro. L’altra mia figlia, che aveva conseguito il perfezionamento in letteratura Inglese e Americana, e che da sempre prediligeva la Woolf, si dimostrò favorevole alla mia idea, anche se espresse delle perplessità relativamente al metodo da seguire. Abitando in Georgia, non le era facile comunicare, per cui temeva che il previsto scambio di idee avrebbe risentito negativamente della distanza. Dovetti ammettere che avrei fatto da mediatrice, organizzatrice, e che avrei curato io il lavoro di sintesi, insomma, rientrai volontariamente nel tradizionale ruolo di madre, e mi accollai la maggior parte del lavoro.
Il metodo che ho seguito, è stato quello di proporre a ciascuna delle mie due figlie, Deborah e Deena, le stesse domande sul romanzo, e a ciò far seguire una discussione su nastro con ognuna delle due. La discussione finale, quella con Deena, fu la più completa — in parte perché fu l’ultima, ma anche perché il suo interesse per la letteratura — attualmente comunque sta conseguendo il dottorato in amministrazione aziendale — la avevo portata a leggere e a rileggere quel romanzo, per cui aveva un rilevante bagaglio di conoscenze utili per le nostre discussioni. Ciononostante il nostro lavoro non mancò di punti deboli. Noi tre infatti non ci eravamo mai incontrate per parlare dell’argomento, anche se ognuna di noi aveva lavorato sul materiale dell’altra. C’era inoltre una certa reticenza ad “aprire il proprio animo”, a violare la riservatezza dei rapporti madre/figlia/sorella, nonostante il carattere di professionalità che ci eravamo prefisse di dare al nostro lavoro. Non mi era difficile immaginarci riunite in salotto, o in cucina a bere una tazza di tè, mentre discutevamo, ci arrabbiavamo e ridevamo — il problema delle distanze era stato temporaneamente superato — per cui ho fatto in modo che ci ritrovassimo in uno stesso posto per uno scambio di idee. Nonostante ci fossimo concentrate su Gita al Faro come fosse una finestra sulla vita delle dorme come madri e figlie, finimmo per chiederci se la Woolf avesse dato, o meno, tra contributo alla comprensione della condizione umana. Ritengo che tutte noi abbiamo ritrovato in lei le nostre esperienze di donne impegnate nel lavoro, e di madri, abbiamo prestato ansiosamente ascolto ai problemi che le figlie devono affrontare, e ci siamo sorprese scoprendo che la Woolf aveva una così chiara visione della mente femminile.
Rivolta alle mie figlie ho domandato: “Pensate che nel romanzo il rapporto fra madri e figlie sia esaminato secondo prospettive nuove?” Non credo “mi ha risposto Deena mi sembra che nel romanzo non si dica molto sui rapporti madre figlia, genitori-figli”. “Eppure”
le ho ricordato — “il romanzo si inizia con la scena fra la signora Ramsay, la madre, e il figlio più piccolo, James, per allargarsi a tutte quelle persone per le quali la signora Ramsay rappresentava diversi aspetti della figura materna. Fra queste, non solo i suoi otto figli, ma gli ospiti della casa, e in particolare Lily, la giovane artista che amava e nello stesso tempo nutriva un sentimento di rancore verso la signora Ramsay. “Ciononostante” mi ha risposto Deena “credo che la Woolf avesse interessi più ampi, il posto della donna nella società per esempio, non solo il suo ruolo di madre. La Woolf afferma che l’unico modo di esistere e di andare avanti è quello dì avere uno sbocco, un’esclusiva questa dell’uomo”. “Sono d’accordo con Deena” — ha detto Deborah — “penso che la Woolf presenti una falsa dicotomia, fondata sul sesso, ognuno parla estraniandosi dal proprio mondo per poi ripiegarsi sulla propria coscienza”. “Hai notato
ha interrotto Deena — che ogni volta che la Woolf parla della signora Ramsay, accenna alla sua bellezza, e ogni volta che si parla del signor Ramsay, si parla del suo modo di pensare? Quando si tratta di Prue, si mette in evidenza la sua bellezza; quando si parla di Andrew invece, sono i suoi conseguimenti ad essere evidenziati, e questa tendenza è ricorrente. Le donne vengono giudicate a seconda della loro bellezza, gli uomini a seconda della loro intelligenza. Alle donne, nel romanzo, non vengono attribuite riflessioni intelligenti o serie, a loro è negato il privato, il tempo, e l’incoraggiamento che come dice la Woolf in Una stanza tutta per sé sono essenziali per l’espressione artistica. Queste privazioni portano la signora Ramsay ad un esaurimento mentale ed emotivo.
“L’unica persona a non presentare queste caratteristiche è Lily, l’artista, che pur riconoscendo i valori della società, li rifiuta. Lily rimarrà libera di esprimersi, sebbene sommessamente, senza dividere le sue esperienze con altri. Attraverso la signora Ramsay e Lily, 1′ autrice dimostra come il valore della bellezza per la donna e dell’intelligenza per l’uomo finiscono per avvilire le capacità e le realizzazioni delle donne”.
“Non solo, — ha aggiunto ‘Deborah — ma secondo la Woolf l’aspetto fisico e sensuale della donna è legato alle sue reazioni intellettuali ed emotive. La signora Ramsay viene descritta come una donna dall’intuito preciso, ma la Woolf ci suggerisce anche che la bellezza esteriore, che suscita un certo tipo di reazione negli uomini, può nascondere una donna interiormente tormentata da alternative inaccessibili”.
“Mi sembra che voi troviate che, in questo romanzo, la donna non abbia delle possibilità di scelta”, ho commentato “il vostro modo di considerare la maternità assomiglia o contraddice quello della signora Ramsay? Quali pensate che siano le sue ambizioni di madre?”. “Credo che la signora Ramsay aspiri ad incidere sulla realtà, a venire in soccorso dei bisognosi, ma anche a lasciare nei suoi figli, che mai dimenticano, immagini incancellabili. Desidera la bellezza e la pace, l’amore e la stabilità. Questi obiettivi non sono i miei. Io apprezzo la solidarietà, l’iniziativa, il senso di responsabilità e di libertà, la ricerca individuale e la partecipazione collettiva”.
“Non sono d’accordo con Deborah” ha detto Deena. “Non penso che l’obiettivo principale della signora Ramsay sia quello di incidere sulla realtà, ma di fare in modo che essa non sia troppo dolorosa, che i poveri non siano insoddisfatti, e che coloro che soffrono non muoiano. E’ molto più deprimente, come donna, arginare le forze del tempo, che, come uomo, andare avanti e conquistare”. “Ritieni davvero che frenare la spinta decadente appartenga ai ruoli materni?” — ho chiesto.
“No, ma in questo romanzo, la Woolf sostiene che una volta che gli uomini si sono arrogati il ruolo di pensatori e dominatori, alla donna non rimane che svolgere la parte di madri e formare il tessuto connettivo sociale — ha risposto Deena — Paradossalmente tocca alle madri lottare contro la decadenza della civiltà, in una battaglia contro la vita — proprio la parte più decadente, quella meno creativa”.
“II problema della Woolf consiste nel suo modo di valutare l’impegno” — è intervenuta Deborah —. “La signora Ramsay si è dedicata al signor Ramsay e ai suoi figli, e questo rappresenta un ideale di femminilità. Anche il signor Ramsay ha dedicato la sua vita ad un ideale, pur indulgendo talvolta all’autocommiserazione. Come artista la Woolf considera che vivere per un ideale sia onnicomprensivo. Mi chiedo però se il trasferimento di questa definizione di impegno al ruolo di madre sia valido. Forse rappresenta fedelmente gli ideali dell’alta borghesia vittoriana”.
“Essendo inserita nella tradizione americana, pragmatica ma flessibile, vedo la mia vita contrassegnata da continui adattamenti. Vivo esperienze che hanno una durata di almeno cinque anni — con occasionali interruzioni — e cerco in ogni segmento della mia vita di costruire intorno a me e ai miei figli, una comunità che ci dia l’opportunità di maturare. Quando vivevamo a New York, ho cercato di costruire intorno a mio figlio una comunità di gioco che ci facesse sentire inseriti, e che consentisse a me di continuare a lavorare”.
“Vorrei tornare a quando diceva Deena riguardo alla signora Ramsay, che costituirebbe un freno alla disgregazione, ma che non sarebbe creativa. Come madre, non ho mai pensato alla creatività come ad una componente del mio ruolo” —-ho detto “Perirne la maternità è stata una sfida intellettuale. Si tratta di due concezioni molto diverse. La creatività dà vita artistica al nulla, I bambini non sono mai “il nulla”“. A queste mie parole, Deena e Deborah hanno sorriso in segno di approvazione. “Anche se indifesi, i bambini appena nati hanno una loro personalità ben definita” — ho aggiunto — pensando a come Debby avesse dato, a sua madre ancora inesperta, una convincente immagine del suo Io. Il più delle volte teneva gli occhi chiusi e dormiva. Anche le sue continue pipi contribuivano a darmi fiducia. Potevo vantarmi di averla educata sin da piccola. Deena era nata con i suoi luminosi occhi castani spalancati. Curiosa, attenta, sempre in movimento, aveva una personalità diversa da quella della sorella. Non sono quasi mai riuscita a farle un ritratto. Due bambine diverse, e per ognuna una sfida. Ho sempre considerato la maternità una sfida intellettuale, non un processo creativo. Non ho mai confuso le due cose: i due momenti creativi che hanno sempre significato di più nella mia vita sono stati scrivere e dipingere”.
“Forse, mamma, in quanto madri e donne che vogliono diventare artiste, conosciamo la differenza fra le due” — ha affermato Deborah.
“Parlando di creatività e di maternità, mi viene in mente una conversazione che ebbi con un mio professore di arte a Brandeis — è intervenuta Deena —. Questi commentava con un gruppo di studentesse il fatto che ci fossero tante donne che si specializzavano in arte nelle scuole secondarie, mentre quasi nessuna conseguiva il dottorato. In tono semiserio riferì di una spiegazione che aveva sentito dare alla mancanza di donne artiste: il ruolo della donna sarebbe quel lo di mettere al mondo figli, non di creare opere d’arte”.
“Ci vuole molto perché l’atteggiamento verso le donne artiste cambi” — ha detto Deena — e le sue parole mi hanno ricordato di quando, da ragazza, volevo diventare artista, e dell’indulgenza con la quale la società circondava le pittrici donne. Sono — o forse erano — considerate solo come dilettanti, a meno che rimanessero nubili, e non si dedicassero ad altro. Deborah, quasi leggendo nei miei pensieri, ma allo stesso tempo cercando di riportare la conversazione al romanzo, osservò come fosse ironico che la signora Ramsay, la donna che fece da madre a tutti fino a quando le restava appena la scorza di sé per riconoscersi; s’era prodigata e spesa tutta quanta abbia avuto forse i maggiori successi come madre spirituale di Lily che scelse di non fare da madre ad alcuno e di diventare artista.
“Eppure — commentò Deena — il matrimonio è per la signora Ramsay l’ obiettivo prioritario delle donne e quindi anche di Lily. Pensate per esempio a quel tratto in cui descrive Lily: “Con quegli occhietti cinesi e quel visuccio vizzo, non c’era caso che quella trovasse marito; e non si poteva prendere sul serio neppure la sua pittura”. Che importanza poteva avere nella sua pittura il fatto che non si volesse sposare, ad eccezione che per la signora Ramsay? Il matrimonio, non la pittura,” è legato alla gente”.
“La tua osservazione riguardo agli insuccessi di Lily, secondo l’opinione della signora Ramsay è interessante anche perché questo romanzo è stato considerato autobiografico e potrebbe quindi riflettere il sentimento della Woolf di aver contrariato sua madre”. Mi sono sentita in dovere, a questo punto, di far conoscere alle mie figlie un po’ del passato della Woolf. “Sono possibili dei paralleli fra la vita della Woolf — così come la conosciamo dai suoi diari, dalle lettere, e nella Biografia di Bell — e avventure o opinioni così come sono espresse dai personaggi di Gita al Faro. Il signor Ramsay per esempio, somiglia al padre della Woolf; e le considerazioni di Cam riguardo al padre, mentre lo osserva leggere durante il viaggio verso il faro, sono simili alle annotazioni del diario della Woolf, che ci descrivono le sue reazioni nei confronti del padre — caratterizzate da un misto di odio e di amore, di ammirazione e di antipatia. Lily, una pittrice non sposata, e non una scrittrice sposata, esprime alcuni dei problemi che la Woolf dovette affrontare in quanto artista.
“Forse — ho aggiunto — il parallelo più significativo, è quello della signora Ramsay con la madre della Woolf. Suo madre, Julia Stephen, ora una donna molto affaticata, fisicamente e mentalmente — morì quando Virginia aveva tredici anni—, per cui direi che questo ritratto di una donna schiacciata dal peso della maternità che tanto ha influito sulla figlia, sia qui lievemente romanzato”.
“Molto affascinante, mamma, anche perché alla fine, Lily termina il suo quadro — ha fatto notare Deena — e diversamente dal signore e-dalla signora Ramsay, raggiunge lo scopo che si era prefissa. Allora, mi chiedo, questo raggiungimento negato alla signora Ramsay, potrebbe dipendere dalla visione che ha la Woolf della maternità? Si tratta di una critica alla signora Ramsay come madre, o come persona, o una critica all’ istituzione del matrimonio, per cui né la signora Ramsay né suo marito, saranno mai degli artisti?”.
“Penso che la Woolf si riferisca ai problemi che le donne devono affrontare quando scelgono di intraprendere una camera — ho risposto —. Nella biografia, ho letto che inizialmente Virginia voleva dei figli, ma che alla fine, lei e Léonard, consigliati da uno psichiatra, decisero che non sarebbero diventati genitori. In Gita al Faro, la Woolf scrive di Lily: “Voleva sottrarsi alla reverenza che ammantava tutte le donne, identificandosi con il suo sesso”. D’altra parte, la Woolf riporta un pensiero della signora Ramsay: “Una donna, se non si sposa, perde il meglio della vita”“.
“Lily Briscoe mi sembra un personaggio reale ed evoca ricordi della mia vita, quando ripenso al periodo in cui avevo deciso che sarei diventata un’artista, “pensò ad alta voce Deborah”. C’è in lei un’autoindulgenza che tendo a ritrovare nella mia vita sopratutto durante l’adolescenza, e quindi superabile e controllabile. Certamente la sua analisi dei problemi inerenti alla pittura è molto dettagliata; forse però eccessiva”.
Ricordo di aver dipinto all’aperto, nei musei, cercando di imparare e odiando tutti coloro che spiavano il mio lavoro, proprio come Lily. Una differenza sta nel coinvolgimento di Lily con la personalità della signora Ramsay, quando questa posa per un suo quadro. “Eppure, mamma, — ha aggiunto Deborah — la lotta con lo spazio, il tentativo di controllare le forme, la difficoltà di dare un’immagine esterna che corrisponda a quella interiore, il desiderio di riconoscimenti e apprezzamenti, queste sono tutte cose che ricordo di avere provato quando decisi di diventare artista. Ma ricordo anche di aver espresso il mio scontento e le mie frustrazioni verbalmente, non solo ripiegandomi su me stessa. Mi lamentavo come una bambina, mangiavo a quattro palmenti, oppure reagivo fingendo di ignorare il problema (e negando di avere un serio interesse nell’arte). Naturalmente Lily non fa nessuna di queste cose, anche perché la conosciamo quando è già una donna matura. Pensando all’imperfetto parallelo tra Lily e la Woolf, ho aggiunto: “Conosciamo quello che la Woolf ha raggiunto come artista, mentre non sembra che Lily possa diventare una grande artista o che ne abbia le capacità. E’ questo il fatto più triste. Se almeno si avesse la sensazione che Lily stesse percorrendo la strada del successo…”“. “Ma questo non è possibile, proprio per la posizione che hanno le figure femminili in questo libro — mi ha interrotto Deena — anche se viene accettato che il signor Pauncefort sia un artista — il presupposto è che abbia minor talento di Lily — a lei non si conviene. Anche quando William Bankes si dirige verso Lily che in quel momento è concentrata sulla sua pittura, che cosa pensa lui? che le scarpe di Lily sono “bellissime”. Per tutti lei è ormai una zitella, e la sua scelta di privilegiare 1′ arte al matrimonio non verrà mai accettata”.
“Pensate esista un conflitto insanabile, come suggerirebbe questo romanzo, fra l’essere artiste e l’essere madri? — ho chiesto.
“Se essere artiste implica un’eccessiva considerazione di sé, e autoindulgenza — è intervenuta Deborah — allora non è compatibile con la maternità. Avendo scelto quest’ultima, io ho rinunciato alla prima”.
Deena invece pensava che erano state le circostanze implicite nel matrimonio, e le concessioni che moglie e marito devono farsi reciprocamente, ad averla indotta a rifiutare la carriera artistica. I bambini e la maternità non avevano nulla a che vedere.
“Certo, nella scena della cena, la Woolf fa comportare Lily in modo tale che traspaia la sua solitudine e incapacità di creare dei contatti umani. Ma Lily ci appare anche desiderosa di “essere disonesta”, e aiuta Paul a cercare la spilla. Lily vuole entrare in contatto con gli altri, ma contemporaneamente vuole essere sicura di trovarsi in una condizione di invulnerabilità” —fio osservato—. “In un certo senso, Lily ha paura del mondo” — ci ha spiegato Deborah — “perseguendo immagini private che non verranno mai rese pubbliche. In altre parole, Lily rappresenta l’alternativa alla signora Ramsay, forse la tendenza futura. Conosce le norme e le relazioni sociali; conosce se stessa, e sa quello che vuole, e ostinatamente segue la sua strada”.
Pensando ancora alle scelte sulle quali la Woolf sembra tanto insistere, ho aggiunto: “Dedicando l’ultima parte del libro a Lily, l’autrice sembra volerci dire che una donna deve scegliere fra i figli e la carriera. Il continuo tentativo di Lily di evitare il signor Ramsay e la sua richiesta di attenzione, sono in evidente contrasto con l’atteggiamento della signora Ramsay. Questo spiega in parte il perché la signora Ramsay non ebbe e non avrebbe potuto avere una vita che non fosse quella della sua famiglia, di suo marito, dei suoi figli; Di nuovo mi domandavo se una donna può dipingere e allo stesso tempo tirare sui figli. Forse sì. Nel mio caso, comunque non fu possibile. D’altra parte è possibile che la mia non fosse stata un’ambizione seria. Ricordo di aver ritratto i miei bambini quando erano piccoli, ricordo che a tre anni una delle mie figlie mi prese il pennello dalle mani, nonostante gliene avessi dato uno tutto per sé. Quanto dell’interesse artistico della madre può essere trasferito alle figlie — l’amore dell’arte, la familiarità con i suoi strumenti? Nonostante le innegabili potenzialità artistiche, nessuna delle mie figlie scelse di diventare un’artista, e neanche io.
“Ma non si tratta solo del fatto di diventare artiste o madri — mi interruppe Deena — Alle donne nel libro non è permesso né di parlare di cose serie, né di dipingere. Questo è quanto cercavo di dire riguardo alla vita, all’arte, -e alla creatività. Si fa sempre in modo che Lily venga messa in imbarazzo dal signor Ramsay o da chiunque altro, ogni qualvolta viene scoperta a dipingere, a creare. Nessuno, nemmeno la signora Ramsay che cerca di convincerla a smettere di dipingere, la accetta in quanto artista”.
“Ecco perché questa non mi sembra la celebrazione della signora Ramsay, anche se tu dici che potrebbe rappresentare la madre della Woolf — ha insistito Deborah —. La signora Ramsay ha investito tutto — tutta la sua vita — nei figli. Due le muoiono ancora giovani; gli altri non la conosceranno mai veramente bene; riesce tutt’al più ad instaurare un rapporto materno con Lily, che le rammenta il suo passato”.
«Non credo proprio che tutto il libro sia incentrato sulla famiglia della Woolf — ha esclamato Deena — Direi piuttosto che si mette in evidenza come alle donne vengano negati i “normali” canali dell’auto-espressione. Pensate, per esempio, al ritratto di Charles Tansley. La Woolf ci dice che il solo fatto che Tansley (o qualsiasi altro uomo) aiuti Lily ad uscire dai suoi problemi, non significa che questo sia equivalente ad aiutare lui ad esprimersi. Egli aveva già sogghignato: “Le donne sanno dipingere, non_ sanno scrivere”, per cui un pari scambio di sostegno non esiste. Credo che il libro sia centrato più sul problema della donna artista che su quello della famiglia. Altrimenti, perché creare tutti quei personaggi?”.
“Ma allora — ho ribattuto — perché un terzo del libro riguarda la signora Ramsay?”.
Non c’erano dunque risonanze familiari con le loro vite di madri, né alcuna forma di identificazione con Lily, in quanto artista? Eppure io ricordo quei momenti di noia, di stanchezza, il desiderio di parlare con gente del mio livello intellettuale, e non solo con le bambine? Ricordo di quando prendevo un libro per leggerlo, e di accorgermi di non essere in grado di leggere altro che non fosse il quotidiano. Ricordo le lunghe telefonate con amiche anch’esse costrette a casa dai figli, nello sforzo di riallacciare i contatti con persone adulte.
Deena faceva osservare che «la Woolf intuisce la stanchezza che può prendere una madre, la costante attenzione per le cose più banali, l’obbligo di andare a fare la spesa, di curare il giardino, di preparare i pasti, di non dimenticare di innaffiare i fiori, di vivacizzare l’ambiente, e oltre a questo di andare a trovare i malati, i poveri, i sofferenti”.
Deborah ha obiettato riguardo alla tesi della Woolf sul ruolo di madre.
“In Una stanza tutta per sé, la Woolf dimostra che la ragione per la quale le donne tendono a fare della famiglia il loro unico mondo, come è il caso della signora Ramsay, deriva non già da una loro visione della femminilità, ma dai valori che le vengono imposti e che rispondono alle esigenze sociali ed economiche a cui esse sono soggette. In altre parole la figura materna, così come è intesa oggi, corrisponde all’assoggettamento economico, politico e sociale della donna, e non deriva dalle particolari attitudini femminili».
“Prima di analizzare i fattori sociali e politici — Deb — vorrei dirti che effettivamente ho trovato delle risonanze in questo romanzo, con le mie esperienze. Una per esempio,e quando la signora Ramsay si avvolge la testa con uno scialle nella stanza dei bambini. Vuole nascondere la verità a Cam, e creare l’illusione di una meravigliosa montagna piena di cose animate e felici. Tuttavia, James insiste nel voler conoscere la verità e nel cercare la testa sotto lo scialle. Attraverso questo tipo di esperimenti, quale quello di cambiare una favola, o coprirsi la testa, la signora Ramsay riesce a cogliere la verità e il suo impatto sui bambini. Questa è un’impresa molto più complessa e difficile che non quella di non falsificare mai la realtà».
“Come madre, ritengo che la “finzione” richieda creatività, immaginazione e intuizione. E’ molto più difficile ingannare i propri figli, che presentare loro la realtà in un modo che sia costruttivo ma anche brutale — ha aggiunto Deena.
“In un certo senso possiamo considerarlo come un processo creativo” ho detto.
“Questo porta alla seconda questione. Credo che la signora Ramsay — e ci sono molte signore Ramsay su questa terra — abbia considerato che il suo ruolo era quello di mettere al mondo figli. Quando James, il figlio più piccolo, cresce, non ci sarà più bisogno di lei come madre”.
“Non penserai certo che mettere al mondo dei figli sia creativo come dipingere o scrivere, vero Deena?” — ha chiesto Deborah.
“Non proprio, ma^ riesco a capire lo stato d’animo. Come madre, capisco il senso di protezione della signora Ramsay verso i suoi figli. E’ molto rasserenante entrare nella stanza del proprio bambino, e trovarlo che dorme nella sua culla, saper che lo puoi prendere e stringere fra le braccia. E’ lì, una piccola porzione di umanità, che aspetta di essere plasmata. Anche se inizialmente puoi immaginare tutto questo, alla fine, sopratutto dal momento in cui tuo figlio inizia a parlare, ti accorgi che non è poi così malleabile come te lo immaginavi. Se avere ed allevare dei bambini è considerato un fatto creativo, questo equivoca si rileva quando i bambini dimostrano di avere una loro personalità. A quel punto la madre sì rende conto di non disporre di un pezzo di argilla a cui imprimere una forma».
“Deena, vorrei tornare al rapporto madre-figlia, così, come suggeritoci dai ricordi biografici di mamma. Credo di potervi individuare dei paralleli con me stessa quale figlia”.
Finalmente, ho pensato, forse stiamo ritrovando alcune delle esperienze della nostra vita in questo romanzo.
“In Gita al Faro — ha proseguito Deborah — la Woolf ci suggerisce che la forza interiore e le capacità della signora Ramsay, le conferiscono il ruolo di madre di tutti coloro che entrano a far parte della casa. Questo atteggiamento può essere positivo quando si arriva al punto di dire; “Ora che abbiamo costituito una nostra società, possiamo ignorare le pressioni esterne”. Ma mi chiedo se la Woolf fraintenda la signora Ramsay perché questa rappresenterebbe sua madre. La Woolf non intende dire: “Questo è quanto questo donna è stata costretta a fare, forse si sarebbe comportata diversamente se solo non avesse avuto otto figli, e non fosse stata sposata con quell’uomo”. Un fatto sociale — il sentimento materno di sua madre — viene trasformato in qualcosa di creativo, ma in questo modo, i fattori sociali vengono messi in ombra.
“Ora in che altro modo una figlia potrebbe reagire nei confronti della madre? — ha chiesto Deborah — Tu qualche volta parli del passato in termini negativi, eppure, se lo chiedessi a me, ti direi che è stato un periodo molto bello. Ho avuto un’infanzia splendida. Dal mio punto di vista, tutto ciò che come madre hai fatto per me, è stato produttivo. Ho assorbito i tuoi ideali, per quanto tu dica di essere stata combattuta fra l’essere madre e proseguire la tua carriera. Potrei scrivere lo stesso libro, ambientato nella New York ebrea invece che in epoca vittoriana — un romanzo che renderebbe giustizia di tutte le cose che tu hai fatto come frutto della tua iniziativa, — che non penso rappresenti la situazione delle madri nella società. Ritengo che questo debito spirituale sia inerente al rapporto madre-figlia, soprattutto se la figlia sente di aver ricevuto qualcosa da sua madre”. La signora Ramsay aveva pensato: “E’ ai nostri figli che dobbiamo il continuo evolversi delle nostre percezioni”.
Anche io la penso allo stesso modo. “Ricordo che stavo bene con tutte e due voi, mi piacevano le attività che facevamo insieme, e la libertà che comportavano. Credo, tuttavia, che ci fosse il problema di trovare un modo per realizzare le capacità che io, come madre, stavo sviluppando”.
“Pensi che il prezzo per questo fosse troppo alto?”.
“Non credo che sia questione di prezzo. Dopo tutto la signora Ramsay aveva otto figli, e come ha intuito Deena, morì forse perché sentiva che il suo compite era terminato. — ho aggiunto —”.
“Questa è un’idea orribile — fece notare Deborah — soprattutto perché avendo così tanti figli, la sua vita sarebbe stata certamente molto piena. Nella nostra società una donna con due, tre, o più bambini, ha una sua vita da vivere anche quando i figli sono cresciuti”.
“Stai parlando della sindrome del nido abbandonato, vero mamma?” — mi chiese Deena.
“Sì, e penso anche che la società non lasci spazio a questa donna e alle capacità da lei sviluppate in quanto madre. Viene considerata inutile. Inoltre essendo vissuta solamente nella sua casa, è spesso timorosa del mondo esterno — un mondo dal quale per lungo tempo è rimasta esclusa.
“E’ ancora la società a dettare che cosa ci si deve aspettare da una donna. Gli uomini hanno difficoltà ad accettare i nuovi ruoli, anche se a parole, dicono che tali cambiamenti sono necessari.
“La Woolf coglie questo aspetto dell’esperienza femminile — ha commentato Deena — Ogni volta che una donna supera ì limiti del suo ruolo, ed esprime un’opinione su qualcosa che non siano i figli, suscita il riso. Le preoccupazioni della signora Ramsay riguardo al problema del latte non vengono prese in considerazione, e lo stesso dicasi quando Minta fa notare che le opere di Shakespeare non riscuotono abbastanza successo. Ma c’è di peggio. Quando la signora Ramsay prende un libro per leggere, il marito la guarda sorpreso”.
“La signora Ramsay mi colpisce in quanto convenzionalmente vittoriane ma detta convenzionalità è vista attraverso gli occhi di un genio letterario, che la arricchisce di una validità eterna, senza tempo — notò Deborah — e spiegò: “parla del futuro delle sue figlie in termini di matrimonio, famiglia, e di aspetto esteriore. La personalità è semplicemente una variazione sul tema”. Sono d’accordo. Non ha considerato, neanche per un attimo l’eventualità che una delle sue figlie potesse seguire la strada di Lily Briscoe pur riconoscendo che Rose ne avrebbe “sofferto”, in quanto aveva una personalità intensa ed artistica. Farvi da madre per me ha significato aiutarvi a sviluppare le vostre capacità, ad amarvi in quanto donne, ad essere a vostro agio in quanto donne, e a continuare questa crescita da adulte. Ma una madre non può mai essere certa del messaggio che sua figlia recepirà. Ricordate da parte mia delle pressioni affinché vi sposaste e metteste al mondo dei figli?”. “Questo genere di pressioni ci sono venute dall’esterno — ha detto Deena — per aspettative socioculturali”.
“Neanche io ricordo di aver subito delle pressioni di questo tipo a casa — ha aggiunto Deborah — anche se ricordo di aver desiderato un amore romantico, accettato l’idea del matrimonio, e aver avuto delle perplessità riguardo ai figli.
Sono sicura però che quelle pressioni c’erano nella mia vita. Ricordo di aver parlato del corredo quando, nel mio ultimo anno di scuola, Gram mi regalò un candelabro d’argento che aveva fatto. Certamente non ero immune da tutte le pressioni sociali”.
“Le aspettative familiari erano che si raggiungesse una posizione diversa da quella di casalinga — disse Deena. — La scelta di una carriera richiedeva molto ingegno e vivacità intellettuale”. . Deborah aggiunse che le pressioni più forti erano “di eccellere in campo artistico e intellettuale”.
“Allora, pensate che il romanzo parli anche di noi?” — chiesi.
“Né in quanto madri, né in quanto figlie — risponde Deborah — ma in quanto donne. Mi sembra interessante vedere tutto il mondo attraverso gli occhi di due donne. Il libro tratta molto delle donne, del loro modo di sentire, consentendoti di penetrare nella loro mente, mentre molto poco si dice della mente dell’uomo”.
“La prima volta che lessi il libro, mi infastidì quel ritratto di madre con i suoi otto figli, il suo ruolo di schiava silenziosa, o, per usare una metafora della Woolf in Una stanza tutta per sé “uno specchio magico” nel quale gli uomini vedono la loro immagine raddoppiata. Ma ad un’analisi più attenta ci si rende conto che la Woolf sta mettendo sotto accusa il padre, non la madre” — ho osservato.
“Una stanza tutta per sé ci fornisce il contesto sociale e il nesso economico del patriarcato e dell’oppressione della donna — fece notare Deborah — Il ritratto psicosociale della signora Ramsay porta o a celebrare l’intuizione delle donne, o a rifiutare il matrimonio e la maternità”. “Non credo intenda essere rappresentativo del sesso — ha obiettato Deena — Credo sia il ritratto di un certo tipo di donna. La signora Ramsay non è il ritrae to di tutte le donne più di quanto non lo sia Lily Briscoe, o qualsiasi altro personaggio femminile nel libro.
“I valori umani che hanno il maggior rilievo nel libro sono l’amicizia e l’amore fra persone del sesso opposto o dello stesso sesso. Le relazioni interpersonali sono centrate sul dare e il ricevere dividendo la propria vita e il prezzo che questo comporta. Deborah ammise che nonostante non amasse molto questo romanzo, aveva raccolto un messaggio “La madre muore: un’era finisce. Lily Briscoe sopravvive nonostante non avesse avuto bambini”. Tutto quello che ha sono i suoi quadri, che finiranno sotto il divano. Ma è lei ad indicare il cammino alle donne”.
“Forse Gita al Faro presenta la madre come “personaggio della storia” ha fatto osservare Deena — colei che rappresenta tutte le donne del passato, così come Mary Carmichael rappresenta in Una stanza tutta per sé tutte le donne autrici. Anche se adoro questo romanzo, non sono d’accordo sulla conclusione che le donne abbiano poche possibilità di scelta. Se lo pensassi, non avrei partecipato- a questa analisi”.
Neanche io. Anche se penso che la sfida sia immensa — crescere come un essere umano autonomo, e svolgere le funzioni di madre — è una sfida che le donne devono affrontare. “Ho scelto Gita al Faro perché sapevo che avrebbe suscitato la discussione. Credo che come donne, abbiamo ritrovato l’espressione di alcuni dei nostri problemi, abbiamo sentito l’eco dei nostri conflitti come artiste potenziali; abbiamo sentito le voci talvolta derisorie, talvolta lamentose, talvolta autocratiche degli uomini. Siamo state sfidate, pur non avendo trovato il sogno, la promessa e l’ispirazione di Una stanza tutta per sé. Grazie per esservi unite a me. Grazie di esistere e di comunicare”.