le donne e l’esercito

Cominciamo a riflettere se e come le donne sono pacifiste. Pubblichiamo una lettera e un primo contributo sull’argomento.

luglio 1980

Care compagne, sono una ragazza di 24 anni, e faccio parte del CoSmiT: Collettivo per la Smilitarizzazione del Territorio, un gruppo da poco tempo formatosi a Bologna, come lo omonimo che da più tempo è presente a Roma. Per ora sono l’unica donna del collettivo, forse a testimonianza del fatto che di certi argomenti le donne se ne interessano, forse, ad un altro livello (fra di loro, in gruppi separati, ecc.), ma sono in genere le grandi assenti…
Il nostro collettivo si occupa dei temi inerenti alle servitù militari, al problema degli armamenti, all’industria bellica, agli ordinamenti giuridici politico-militari, con la finalità di giungere ad un ordine socio-economico svincolato dalla logica perversa dei blocchi militari e di porre le basi per una società nella quale non siano più necessarie una difesa armata ed un’industria di morte. Il che, dal mio punto di vista, significa lavorare per costruire una società anarchica, a misura delle esigenze di ogni singola persona e non di una struttura opprimente, che ti ritrovi sempre giudice e sovrana di tutto quel che fai.
Vi’ devo confessare che ho comperato e letto solo l’ultimo numero del vostro giornale (meglio tardi…), perché in passato non sono mai riuscita a superare la diffidenza nei- vostri confronti; diffidenza nata dalla conoscenza di molte donne che parlavano di voi come del Vangelo… E così, non avendo letto il giornale, non so se in passato avete affrontato un problema per me molto grosso e che il Deputato Falco Accame sta riproponendo a tutto andare con gran pubblicità su giornali, alla radio e televisione nazionali!… Si tratta di un progetto di legge del PSI, già presentato nella passata legislatura (ma anche la DC ne ha presentato uno suo) sul servizio militare volontario femminile. Non so che cosa ne pensiate sull’argomento, e se ne avete discusso sul giornale (in questo caso vi pregherei di mandarmi delle fotocopie degli arti, in questione; vi allego qualche lira); io vorrei saperne qualcosa di più sull’argomento in generale: visto che avete anche una biblioteca, avete una sezione particolare in cui affrontate il problema del militarismo (il solito discorso sbandierato ai 4 venti delle dorme nella resistenza, per fare amo squallidissimo esempio?). Potreste mandarmi una bibliografia sull’argomento? Il fatto altamente mistificante della proposta di legge, è che si illude, ancora una volta, la donna di renderla più libera dandole la possibilità di accesso alle tre Armi, possibilità prima negatale, e di imparare mestieri prima appannaggio esclusivo maschile. Invece di modificare la struttura lavorativa in campo civile, permettendo nel concreto uguali possibilità lavorative a donne e uomini, in un momento di grave crisi di disoccupazione femminile, questa proposta diventa lo zuccherino che: 1) mette a tacere tutta una schiera di donne, dando loro l’impressione dì ottenere finalmente la parità; 2) risolve gravi problemi all’ interno delle Forze Armate, che risentono della mancanza di molti volontari maschi, che verrebbero così rimpiazzati dalle donne (come ammesso dal Colonnello f. Manlio Genchi in un articolo del 1975); 3) perché in tutto questo polverone di discorso pseudo-libertario non fa minimamente cenno al discorso delle FF.AA.: perché esistono, a chi serve che esistano, quali interessi difendono, per non dire coprono, ecc. ecc.
Dai vari arti, su giornali tipo “Famiglia Cristiana”, “Grand Hotel” e simili ho appreso il nome di tutta una serie di paesi nei quali il servizio militare femminile, volontario o obbligatorio, viene svolto da diverso tempo o da poco tempo: Francia, Danimarca, Svezia, Rep. Fed. Tedesca, Gran Bretagna, Canada, URSS, Australia, Norvegia, Israele, Olanda, Grecia, Svizzera, USA, Rhodesia, Giappone, Iran, Mozambico, Cina.
Desidererei sapere se siete a conoscenza dì gruppi femministi, operanti’ nei singoli paesi, e se mi potete mandare i loro indirizzi: vorrei scrivere per conoscere attraverso quali meccanismi anche le donne sono state militarizzate, come hanno reagito loro…
Con questo credo di aver finito. Volevo solo aggiungere qualcosa a proposito del questionario per la parità tra lavoratori e lavoratrici. Ho avuto modo di conoscere un mare di offerte di lavoro discriminatorie, grazie al mio perenne e pluriennale precariato: non solo da annunci sul giornale, ma anche nelle assunzioni dirette. Per es., se cercavano un operaio in una ditta-officina, e mi presentavo, mi facevano’ un sacco di sorrisini ironici dicendomi che tutt’al più potevo andare a fare le pulizie nella stessa, ma non potevo fare altri tipi di lavoro (era implicito il motivo: perché donna, e per di più “magra”!).
Sorvolo su tutte le beghe che ho avuto ultimamente per poter accedere a un lavoro precario, fino a qualche mese fa (prima che scatenassi un semi-putiferio perché l’anno scorso non mi avevano assunta solo perché donna, mentre avevano urgente bisogno di altro personale, tanfè vero che il giorno dopo hanno assunto un mio amico, con le stesse qualifiche che avrei dovuto avere io!) destinato solo ai lavoratori maschi: veramente non è più possibile continuare così…
Un bacione a voi tutte
Marina

Penso che sia giunto il momento di imporci una riflessione che finora abbiamo rimosso: ci sono infatti alcuni temi, quali la pornografia, la prostituzione e appunto questo, su cui stentiamo a confrontarci. Mi sembra innanzitutto, che è necessario distinguere fra: a) impegno per il disarmo, per una diversa forma di sviluppo, e quindi per la pace, e, b) problema della partecipazione delle donne alla lotta armata, sia quando si tratta di eserciti di liberazione, sia quando si tratta di difesa del proprio paese.
Per quanto riguarda il primo punto. Nella storia dei movimenti femminili di partiti e delle associazioni delle donne, c’è un tradizionale impegno “per la pace”. Nel passato e ancora oggi, convegni, congressi, manifesti, conferenze nazionali e internazionali delle donne, sono dedicati a questo tema. Non fa eccezione la Conferenza di Copenhagen che ha per tema: Uguaglianza, sviluppo, pace. Così come è previsto che la Conferenza dell’internazionale femminile socialista che si terrà a novembre a Madrid sarà dedicata al tema del disarmo. Francamente non posso impedirmi di pensare che anche questo, (come i lavori tradizionalmente “femminili”) sia in qualche modo un prolungamento del “ruolo”. Il presupposto è infatti che le donne in quanto tali, sono contro la violenza… sono elemento di pace… non giuocano ai soldatini, ecc. E così alle donne organizzate, si assegna un compito: essere strumento di pressione (dunque sempre lontane dal potere, sempre tutt’al più Ninfe Egerie o Lisistrate!), battersi per la pace. Ma battersi contro chi? Contro gli uomini di un paese? Di certi paesi? Contro tutti gli uomini che, invece, per “natura”, sono portati alla guerra?
Una delle idee a cui sono più affezionata, per la verità, è quella di una mitica società in cui le donne non erano estromesse dal “pubblico”, dove non c’era la divisione sociale del lavoro ed era una società senza capi, senza armi, senza guerre.
Purtroppo però, siamo ancora troppo indietro nella rilettura della cultura e della storia e non è almeno per ora in nessun modo dimostrabile che una tale società sia esistita e che comandi una società pensata dalle donne sarebbe diversa da quella attuale, basata sull’espansionismo economico e politico.
Intanto comunque, viviamo in questa società che non abbiamo contribuito a costruire, e dentro cui siamo ingabbiate. E come non è lecito che ci si attenda da noi che, “in quanto donne” siamo contro la guerra così non possiamo semplicisticamente risolvere il problema della pace nel mondo dicendo che siamo contro il militarismo. Così, passando al secondo punto, e cioè al problema delle donne negli eserciti: in un momento in cui tante donne combattono, per conquistare o difendere la libertà dei loro paesi, sentire, come spesso avviene, dichiarazioni ferme e apodittiche, del tipo: “le donne sono contro la guerra e perciò non prenderebbero mai le armi”, mi fa sorgere un dubbio. Ma non sarà che, magari inconsapevolmente, chi fa quelle dichiarazioni sente il bisogno di aderire all’immagine della donna che è stata disegnata dall’uomo? Angelo del focolare, emotiva, irrazionale! Altro è infatti essere per il disarmo generalizzato controllato, come lo sono i democratici di ogni paese, altro è non tener conto che, nella transizione, un paese non può non avere un esercito difensivo.
E ancora: altro è volere un ‘esercito diverso, diversamente istruito, diversamente organizzato, un esercito democratico e veramente attrezzato per la difesa del proprio paese, altro è dire puramente e semplicemente che le donne, nell’esercito “non vogliono andar”.
Tra l’altro, nella nostra Costituzione è detto che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11), ma anche che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino» (art. 52). E non è fatta distinzione, (né sono posti limiti) fra uomo e donna. Ma è solo a 30 anni dalla Costituzione che sono state presentate le proposte di legge che aprono alle donne la carriera militare.
A questo proposito occorre fare un’altra distinzione: fra le proposte che furono presentate dalla DC e dal MSI e che offrono alle donne nell’esercito “spazi” come ausiliarie o “in corpi speciali», con limiti nelle attività e nella carriera,/e quella dell’ On. Accame, il quale propone per la donna, sia per quanto riguarda l’assunzione, sia per quanto riguarda le mansioni, lo stato giuridico, lo sviluppo della carriera, la durata del servizio e il trattamento economico e pensionistico, una situazione identica a quella dell’uomo.
Non si tratta del servizio di leva (come vorrebbe il principio di parità) ma dell’ingresso volontario nella carriera. Come in Francia. Nell’esercito la situazione è grave: su 28.000 volontari previsti dalla legge 31 marzo 75 n. 191, ne sono realmente in servizio 1.150, per i sottufficiali poi, il numero dei candidati è sceso da 5.750 a 3.400. Come al solito, allora all’“esercito di riserva” (questa volta è proprio il caso di dirlo), si offre un lavoro nel momento in cui viene dagli uomini meno apprezzato e disertato. Come considerare quest’offerta? Non è certo una “conquista”. D’altra parte delle conquiste diffidiamo sempre, perché spesso si tratta di strumenti di integrazione e di razionalizzazione e quindi mezzo per indebolire il grande potenziale di rinnovamento della società che il femminismo ha rappresentato in questi anni. Tuttavia mi sembra che un rifiuto intransigente da parte di quelle che hanno a disposizione un foglio, un microfono, di quelle poche che hanno “diritto alla parola”, di quelle che contano, sia in realtà un’inutile violenza sulle altre.
Conosco ragazze che vorrebbero fare il paracadutista o l’alpino e ragazzi che invece considerano intollerabile tale eventualità.
E poi se la nostra è una rivoluzione culturale che passa per la deruolizzazione della società e per la ricomposizione di un essere umano totale finalmente liberato da tutte le oppressioni, prima fra tutte, quella di dover essere “maschi”, e dunque “virili”, “femminili”, e dunque “remissive” e “pacifiste”, perché dovremmo perpetuare quella che alcune possono anche sentire come una discriminazione sessista? Credo del resto che poiché il nostro vissuto e la nostra storia sono diversi, anche se alcune di noi vorranno fare il soldato, o il pompiere, o il meccanico, non per questo rinunceremo all’affermazione dei nostri valori che sono diversi e che mirano a costruire una società senza violenza, in cui sia realizzata quell’integrazione fra esseri umani, fra popoli e paesi che è la vera premessa per l’armonia e la pace.