maternità: dietro il mito della mamma

«la maternità sociale… Non è forse quella dì scambiarci le madri, ogni tanto?» Papà è praticamente fuggito di casa. Comunque anche prima era come se non ci fosse…»

marzo 1977

la maternità sociale. Una via d’uscita dal binomio madre-figlio, dalla melanconica solitudine della famiglia, dal ruolo di madre eternamente donatrice di sé e sempre alle stesse persone. La possibilità, forse, di vivere come madri un rapporto più creativo con i figli, nostri e non nostri. Questa l’ipotesi su cui noi, tre o quattro madri di figli già grandi, avevamo deciso di lavorare, dopo una riunione a «Effe» sul tema della maternità. Volevamo incontrarci per confrontare la nostra maternità autogestita da anni, il nostro smarrimento eternamente dissimulato, la nostra incertezza quotidiana, le nostre scelte difficili. Perché, nonostante i nostri sforzi per sfuggire l’immagine della famiglia tradizionale, stritolata dai ruoli, non ci sembrava di essere riuscite a raggiungere con i nostri figli quelle intese necessarie a stabilire dei rapporti reali, profondi. La nostra discussione sarebbe partita da qui. Al primo incontro ci siamo accorte subito che la mancanza della controparte ci faceva cadere continuamente nell’aneddotica del femminismo prima maniera. Non avevamo a che fare con l’interlocutore maschio, ma con qualcosa di molto diverso. I molti interventi, invece che chiarire le idee, aumentavano la confusione. Il rapporto con il figlio non usciva dal suo aspetto privato, personale di ciascuna di noi. In questo modo non solo non saremmo riuscite a formulare qualche proposta di maternità sociale, ma saremmo rimaste ancora sole. Dovevamo far venire anche loro, i figli. A discutere e a discuterci in un incontro che non fosse un’assemblea, né una riunione, né una terapia di gruppo, ma piuttosto una famiglia allargata, alternativa: tante madri, tanti figli e una serie di problemi sul tappeto.
Questo è il resoconto più o meno stenografico di due incontri, alla fine dei quali abbiamo deciso di creare un gruppo aperto, di madri, padri (forse) e figli.
Al primo incontro c’erano:
Madri: Virginia, fotografa, separata da 5 anni, femminista militante, tre figli.
Marisa: impiegata in una casa editrice, molto lavoro politico al PCI, divorziata da dieci anni, convivente con un compagno da un anno, un figlio.
Isotta, giornalista, matrimonio annullato da 12 anni, due figli.
Figli: Pacho, 17 anni, figlio di Virginia; Matteo, 14 anni, figlio di Virginia; Gabriele, 11 anni, figlio di Virginia; Valentina, 14 anni, figlia di Isotta; Angelo, 13 anni, figlio di Marisa;
(Michele, 17 anni, figlio di Isotta, è comparso solo per dieci minuti e non ha voluto intervenire alla discussione). 
Isotta: C’è una situazione comune prevalente nei nostri figli. I genitori non sono conviventi, la madre lavora fuori casa e, nella maggior parte dei casi, risponde dei figli anche economicamente. Gestisce da sola la loro educazione. Inoltre è femminista e politicamente impegnata.
Virginia: Io sono una madre progressi-; sta, aperta, «illuminata», insomma,; certamente non reazionaria. Da me vengono figlie di amiche o non amiche a, parlarmi dei loro problemi, anche intimi. Ma tra me e i miei figli c’è un, conflitto. Tobia, il più grande, non mi parla. Rifiuta quel rapporto di confidenza a cui invece io tengo. Forse, nel sollecitarlo, io sono aggressiva…
Pacho: Guarda che io non ti vedo come una madre ideale. Sei onnipresente, mi: chiedi sempre dove vado, cosa faccio, e cosa farò, come fosse un tuo dovere. Io credo che il rapporto dovrebbe essere più libero, più spontaneo, e più da amici. Meno «classico». Marisa: Io invece faccio poche domande e non sollecito risposte. Ma credo di sapere perché noi risultiamo aggressive. Noi abbiamo rotto con certi schemi, diciamo tradizionali: con questo-siamo convinte di aver fatto una scelta giusta… E ci imponiamo anche a loro, che reagiscono… a loro modo.
Angelo: Tu forse non fai molte domande. Ma mi subissi con i tuoi problemi.: Mi coinvolgi in cose che non m’interessano.
Valentina: Mia madre crede di essere aperta, democratica, evoluta… Invece si, arrabbia di fronte a cose irrilevanti… come mi vesto, per esempio…
Isotta: Io credo che bisogna stare attente con l’ideologia del vestiario. Una che cerca per tutta Roma il cappellaccio o il gilet usato e macchiato, rischia dì non essere troppo diversa dalla pariolina a caccia della scarpa a punta. Non credo che i jeans sporchi e sbrindellati debbano, a tutti costi, essere proposti come motivo di l’ottura… Ma vorrei’ dire un’altra cosa. Valentina ormai da, quasi un anno partecipa a collettivi di movimenti giovanili, tipo PDUP o a gruppi femministi autonomi ecc. Quindi una certa sensibilità politica ce l’ha. Eppure è profondamente antidemocratica. Io lavoro tutto il giorno, non ho molti aiuti domestici. Negli ultimi tempi non avevo nessuno. Bene, nessuna speranza che mi proponga di aiutarmi, né lei né Michele. Io ho fatto uno sforzo per portarli all’autonomia, e non ci sono riuscita. Uno sforzo per portarli all’autosufficienza, all’autodisciplina. Parlando, dialogando. Mi è rimasto solo il dialogo, un certo affiatamento e una certa convergenza su temi non fondamentali. Tutto il resto, niente. Non c’è collaborazione, nessuno pensa di appartenere a una comunità. Comincio a sentire l’esigenza di cambiare tutto…
Valentina: …in altre parole tu vorresti riproporre una formula repressiva e usarla con me. Ma se torni indietro, se cominci qualcosa in questo senso, mi fai una violenza. Una violenza che io, tra l’altro non intendo subire. Se hai sbagliato, è un problema tuo…
Virginia: Voi siete politicizzati… L’età della vostra maturità, anche legalmente, si è abbassata… Voi forse sapete come è difficile la vita in generale e in particolare per madri sole, in una società praticamente priva di padri… E io penso che dovreste sentirvi in obbligo di collaborare, anche in casa. Siete dunque voi che vi mettete in posizione sbagliata rispetto a noi…
Matteo: Mia madre è una rompipalle… È un’ansiosa, domanda sempre delle cose…
Isotta: La solitudine come la intendete? Voglio dire, vi sentite soli anche quando noi siamo fisicamente presenti? E il padre o una figura maschile… vi manca?
Pacho: Papà è praticamente fuggito di casa. Comunque anche prima era come se non ci fosse. Si disinteressava di noi, di tutto. Mia madre, sempre lei era responsabile di tutto… Come posso dire che lui mi manca?
Gabriele: Mio padre è un estraneo; per me. Io, se ho bisogno di 300 lire, non gliele chiedo… Insomma mi vergogno a domandargli soldi…
Valentina: Io credo che mio fratello Michele voglia la famiglia… padre, madre, tutto regolare.,. Io non so, non immagino neppure mio padre e mia madre insieme. Avevo due anni quando si sono separati… In quanto ad altre figure, a me basta che non mi disturbino, che non mi coinvolgano…
Marisa: È sbagliato, secondo me. In questo modo ti crei una forma di autoemarginazione, rifiutando di partecipare alla vita degli altri. In qualche modo è lo stesso discorso di lavare i piatti, di raccontare di sé.
Virginia: Io non credo che siamo noi a dover educare i nostri compagni. O uno le cose le sente, ci arriva da solo.., oppure non c’è niente da fare… Io sono stata delegata di tutto. Mio marito mi ha reso responsabile anche delle mie gravidanze, come fosse un problema esclusivamente mio…
Angelo: Chiedevate se ci sentivamo soli, qualche volta. Io a 11 anni mi sentivo abbandonato…
Marisa: Perché abbandonato?…
Angelo: Non è colpa tua, io mi sentivo abbandonato…
Valentina: Io mi sono sentita sola in un altro senso. Avevo dei grossi conflitti coi nonni… e speravo che qualcuno fosse dalla mia parte. Invece questo non è mai successo…
Isotta: In questi casi mi sembra di averti dimostrato più di una volta la mia complicità… Mi sembra che tu qui tenti di fare del vittimismo.
Marisa: Credo che noi dobbiamo porci un problema come donne lavoratrici e madri. La società respinge la lavoratrice madre, nel senso che la mette ogni giorno in situazioni difficili, da cui doversi difendere. Questa situazione porta la «lavoratrice madre» a porsi il problema dei figli, come degli ostacoli da rimuovere… Questo crea confusione…
Virginia: Noi siamo femministe… Questo che cosa significa per voi?
Pacho: A me di avere una madre femminista non importa molto. Mi possono interessare i tuoi problemi, ma non i tuoi problemi da… femminista, che non mi toccano… probabilmente perché sono un maschio…
Valentina: Così si continua su linee separate… Per me è diverso. Il fatto che mia madre sia femminista mi avvicina a lei… «abbastanza»… Diciamo per il linguaggio comune che abbiamo. Le differenze sono altre… Dipendono dal suo carattere, forse. Isotta: Io credo che si possa parlare d’intercambiabilità di madri,.. Cioè, penso che oggi Valentina potrebbe, in privato, sentirsi più libera di parlare di certe cose con Virginia, piuttosto che con me… Anche perché tra di noi c’è come una forma di riservatezza, più che indisponibilità, a parlare di certe cose… Dei propri sentimenti, per esempio… Ma se Valentina vivesse per un periodo con Virginia, di colpo lei assumerebbe anche i ruoli «antipatici» di madre, quindi si riproporrebbero certi problemi…
Valentina: La maternità sociale… Non è forse quella di scambiarci le madri, ogni tanto?
Virginia: Io credo che non ce ne sia bisogno… Questi incontri, questi confronti tra di noi, ci possono aiutare a superare certi nodi, tra noi e i nostri figli… L’incontro di oggi è stato molto informale, quasi un happening… Ma io sono molto contenta. Sento che si aprono delle possibilità di intese più profonde, tra me e loro…
Pacho: Forse uno dice delle cose che direttamente a sua madre non direbbe. Ma non concludiamo niente…
Isotta: Il nostro obiettivo non è di concludere, ma di parlarci… Io vivo con una certa fatica il mio ‘ruolo di madre, probabilmente perché mi sento ancora molto figlia. Ho forse ancora un eterno rapporto con mia madre, che mi si pone in qualche modo come modello, da non imitare ovviamente, ma il modello resta… Il fatto di essere qui con voi, altre madri, mi dà un sostegno, mi aiuta in qualche modo a trovare un’identità…
Angelo: Ma parlate sempre voi… Ci prendete la mano… Questo è un rapporto di potere…
Valentina: Appena dai nostri discorsi salta fuori qualcosa, non ci lasciate andare avanti… Cercate subito una spiegazione a tutto, Ci prevaricate. Ci usate…
Marisa: Ma noi cerchiamo di fare una analisi… un’autocritica…
Angelo: Con te non si può fare autocritica…
Matteo: Con le madri femministe non si riesce a spiegarsi…
Virginia: Io avrei voluto avere una figlia. Questo tipo d’incomprensioni di ironie, anche banali, sono tipiche dei maschi nei confronti delle donne e specialmente delle femministe… e riflettono dunque già un orientamento generalizzato…
Isotta: Sì, ma forse dovremmo prendere atto, come diceva prima Angelo, che tra noi e i nostri figli esiste un rapporto di potere… Virginia: Vuol dire che noi ci mettiamo nei loro confronti nella stessa situazione del maschio verso di noi…
Isotta: Ma i nostri rapporti non si possono porre, proprio per la loro particolare natura, in termini di parità. Noi abbiamo solo dei momenti di parità.
Virginia: Comunque qui si ricrea il problema dei ruoli…
Marisa: Forse dovremmo riflettere su questo punto…
Pacho: Ma questo gruppo si dovrebbe
allargare… Con padri, magari, o con
gente che ha altri problemi da confrontare
. . . infatti qualche giorno dopo, siamo andati tutti a casa di Franca, antiquaria, che adesso si è iscritta all’università. Ha un marito professionista, spesso assente. La figlia, Laura, ha 14 anni. Con noi è venuto stavolta anche Michele, figlio di Isotta.
Laura: Mio padre non esiste. È una figura inutile. Mi dà fastidio. E mia madre, anche se si dichiara femminista, non lo è affatto. È psicologicamente dipendente da lui. Lui in casa è un ospite. Così lei in casa fa tutto… E poi rinfaccia… Mamma, devi addomesticare papà…
Virginia: …educare…
Laura: No, addomesticare. Lui è uno stronzo. Mi costringe a mentire, regolarmente. Per poter andare a un collettivo, per andare al cinema con gli amici, per stare con le compagne femministe… Ha paura soprattutto della politica e delle femministe…
Virginia: È un fenomeno molto comune nei padri…
Franca: Ma lui ha 53 anni. Che deve fare, cambiare? Figurati se quello cambia. Bisogna capire e Laura non sembra disposta a farlo. E io non credo di dipendere tanto da lui… Ho la mia vita. Lavoro. Vado all’università, ai concerti…
Laura: Ogni volta che esci di casa da sola, sembra tu vada a rubare la marmellata… Io vorrei proprio sapere se sei felice… Perché a me non sembri felice…
Franca: Sì, io sono felice… Sto in pace con me stessa…
Laura: Io invece sono infelice, specialmente il sabato e la domenica, quando devo stare con voi… Non sento il bisogno di stare con voi…
Franca: Tuo padre non ti vede mai… Cerca di capire questo suo desiderio. Ti chiede così poco…
Virginia: Mi sembra evidente che voi non- potete costringerla a venire con voi, se lei non ne ha voglia. Questo peggiora i vostri rapporti…
Franca: Ma Laura è libera… Può vedere chi vuole… La casa è sempre piena di suoi amici. Con noi si annoia… Sì, le manca qualsiasi buona volontà…
Valentina: Il rapporto tra genitori e figli, i momenti che questi stanno insieme, per parlare, dico; devono essere più spontanei…
Marisa: Ma vi mettete qualche volta nei nostri panni? Vi abbiamo creato una situazione… sì, di privilegio… in una società che vi reprimeva… Stiamo lottando per venire incontro alle vostre richieste, quelle vere… Ma voi, cosa avete capito?
Isotta: Non cominciamo coi rinfaccia-menti e coi ricatti sentimentali…
Virginia: Io non sono come il padre di Laura. Tradizionale, ottuso, in fondo repressivo. Ma il discorso tra me e i miei figli non è facile lo stesso. Forse esistono delle contraddizioni tra quello che dico e quello che faccio…
Marisa: Laura è molto critica nei confronti di sua madre. È anche cinica. Non fa nessuno sforzo per capirla.
Laura: A me basterebbe il dialogo. Che ci sia chi mi sta a sentire, per avere più stima di me stessa…
Franca: Ma tu non cerchi il dialogo. Non cerchi di capire nessun tipo di problema. Neppure quello di darmi un aiuto in casa, a cucinare, a preparare la tavola…
Laura: Neppure papà lo fa. Perché non lo fa? E tu se vuoi la tua tovaglia e i tuoi piatti borghesi… le tue cose fattele da te. Usiamo piatti di carta, tovaglie di plastica… Altrimenti non lamentarti.
Matteo: Ma non credere che mia madre sia così democratica come dice. È autoritaria. Passa il tempo a proibirci delle cose… Il motorino… Virginia: Io mi preoccupo, sì. Io sono ansiosa, sì. Per ragioni precise, reali. Non solo per il pericolo dei motorini. È un fatto più che affettivo. E ,mi preoccupo anche per altre cose. Pacho fa politica, lo sapete tutti. Recentemente ha avuto delle telefonate. Strane. Mi sembra che lui sottovaluti, anche politicamente, certi pericoli. Mi sembra che, in un momento politicamente così delicato (università ecc.) dobbiamo essere consapevoli di certi rischi…
Matteo: Ma tu resti sempre un’ansiosa… esagerata… polemica… ripeti sempre le stesse cose,..
Virginia: Io esigo la puntualità… Mettersi in pensiero, oggi, a Roma, quando a vari livelli di età, si ha un impegno politico, non è altro che attenersi a un principio di realtà… Isotta: Questo discorso ci porta un po’ in là. Cerchiamo di concludere l’incon-‘tro di oggi…
Marisa: Come avete trovato questo confronto?
Michele: A me non interessa non dibattito aperto sui miei problemi con mia madre. Io il rapporto lo voglio regolare tra me e lei…
Virginia: Ma questo è il limite del rapporto madre-figlio/a. Noi invece pensiamo che questo confronto si deve allargare di più…
Matteo: Chissà se riusciremo a sapere, con questi incontri, come deve essere il rapporto con delle madri «aperte»…

… il discorso, appunto è rimasto aperto. E continua. Altre madri, femministe militanti o no, ma soprattutto interessate a questo tipo di alternativa alla famiglia, assolutamente spontanea, completamente autogestita e disponibile ad allargarsi in tanti gruppi intercambiabili, ci hanno chiesto di partecipare ai nostri incontri. Noi vorremmo che i commenti su questi incontri, venissero dal di fuori. Altrimenti il nostro ruolo cambierebbe. Perciò non vogliamo trarre delle conclusioni.