parla una assistente sociale
la varietà di attributi, calati sul personale che si accingeva a frequentare il primo corso della regione Lazio per futuri operatori di consultorio familiare — riqualificati; riconvertiti; riciclati!!! — ha contribuito non poco, a rendere laboriosa, a volte incerta — e forse sofferta, proprio perché motivata — la presenza del primo set di tecnici a questo incontro. Diversi sono stati anche gli approfondimenti e le analisi sui vari momenti ed aspetti del corso (contenuti e modalità di gestione; utilizzazione del personale; presenze od assenze di certe professioni) condotti sia da parte di operatori più o meno interessati al futuro servizio — ma timorosi comunque di rimanere estranei ad un nuovo processo di aggiornamento — sia da parte delle forze sindacali, in maniera più costruttiva e stimolante.
Tuttavia, al termine dello scorso mese di marzo, mi sono ritrovata — operatore pluriennale dell’ex-GNMI — «riciclata» e teoricamente abilitata ad iniziare l’attività di consultorio, già codificata nella legge nazionale prima, ed in quella della nostra regione, successivamente. Nonostante le premesse, il mio impatto personale, si è rivelato in realtà per nulla deludente, ma interessante e rigeneratore, soprattutto nel momento formativo del corso. Infatti desidero considerare questo aspetto in particolare, avendolo vissuto da operatore, impegnato da diversi anni nel settore assistenziale e quindi già a contatto per necessità operativa, con strutture similari a quelle in cui dovrei lavorare in futuro. — Ritengo peraltro, che la parte informativa del corso — ampia e densa per essere assorbita funzionalmente in breve tempo — possa servire prevalentemente come momento di riferimento teorico, per ulteriori e specifici approfondimenti nel corso di un’attività di aggiornamento allargata, sul territorio e secondo le esigenze — e quindi la fisionomia — che il consultorio di quella zona, andrà assumendo.
Il metodo di formazione degli operatori è stato indubbiamente uno degli scopi — molto qualificante e dirompente — del corso della regione; questo momento caratterizzato da un sistematico lavoro di gruppo, in cui una partecipazione attiva e progressivamente critica degli operatori, ha favorito e consentito agli stessi il «superamento della settorializzazione dei singoli ruoli»; esso tra l’altro veniva assumendo durante lo svolgimento del corso, un particolare rilievo.
Il gruppo di lavoro cui ho fatto parte, oltre che essere costituito da operatori diversificati per contenuti e ruoli, era il più numeroso e caratterizzato dalla partecipazione dell’utenza: tale presenza era stata esplicitamente richiesta dai componenti che dopo i primi incontri di verifica delle proprie esperienze di lavoro pregresse, avevano sentito l’esigenza di vivere ed affrontare assieme i problemi che saranno del consultorio. La valutazione e l’analisi delle varie problematiche che, via via, si affrontavano nel gruppo, spesso perdevano — salutarmente — l’aspetto tecnicistico, grazie all’apporto realistico del vissuto dell’utenza. Diversi sono stati i momenti, più o meno manifesti, di vera crisi del proprio ruolo, soprattutto quando questo veniva oggettivamente e collettivamente, messo in discussione; anche gli strumenti operativi finora utilizzati acquisivano un aspetto diverso; l’atteggiamento professionale, concesso al vissuto personale, attraverso questa nuova dinamica di rapporto, si decantava e — in tempi diversi — nel gruppo si è venuta maturando una mutualità operativa, basata su una oggettiva comprensione dei contenuti delle rispettive professioni: in sostanza si è appreso a vedere i problemi con una dimensione professionale congiunta, senza drammatizzarli od appropriarsene secondo la specifica competenza. Devo riconoscere, che superate le prime difficoltose verifiche delle nostre esperienze lavorative, ho potuto sperimentare la possibilità di vivere un lavoro interdisciplinare che nei lunghi anni di rapporti con servizi consultoriali già esistenti, avevo vissuto solo formalmente e in maniera razionalizzante, privo di una partecipazione realmente personale, emotiva e professionale. E questa esperienza, penso abbia contribuito fondamentalmente a far recepire al nostro gruppo, il vero significato ed il modo diverso con cui si dovrà operare nel consultorio familiare. Questi momenti di conoscenza e di crescita nel rapporto interdisciplinare, fatti con stile diverso, si sono avviati: ogni operatore li riporterà sul suo territorio, ma ci si augura che qui non vengano interrotti o falsati dall’isolamento o da momenti di attività interdisciplinare errata o convenzionale; il lavoro consultoriale che ribalterà la tradizionale metodologia di lavoro, richiederà anche un tipo di approccio diverso sia in rapporto singolo, che di équipe, con la popolazione, la comunità, l’utenza. Ecco perché ritengo che l’avvenuto «riciclaggio», è solo un momento di spinta molto iniziale, che si può rivelare fragile se l’intervallo tra il momento di sperimentazione e quello operativo, si prolunga eccessivamente. Il lavoro di coscientizzazione intrapreso dagli operatori durante il corso è stato anche l’avvio di un lavoro di intuizione operativa di taglio diverso, di sensibilità professionale rivitalizzata, di messa in discussione di se stessi: è quindi necessario che questo processo non si fossilizzi nuovamente ma venga verificato operativamente, evitando con forza l’apertura di consultori familiari già vecchi e sedimentati.
Nonostante le premesse il mio impatto personale si è rivelato per nulla deludente, ma interessante e rigeneratore, soprattutto nel momento formativo del corso.