partorire come?
Premessa: A Firenze il 22-24 aprile 1980 si è svolto un congresso sul tema della nascita. Tra gli interventi abbiamo scelto di pubblicare la relazione sui parto di Grazia Honegger Fresco:
il testo della relazione è stato concordato con Elena Gran-ini Belotti e la Commissione Maternità del Centro Nascita Montessori di Roma.
In questo congresso abbiamo sentito molte belle proposte, ma sul cambiamento non c’è da essere per ora ottimisti. Questo improvviso interesse per il parto naturale e per la nascita da parte di tanti medici, appare quanto meno sospetto, dato che è ben noto come tuttora si partorisce, la fatica che si fa per trovare un ospedale dove sia possibile trovare un minimo di risposte. Anche il termine inglese “rooming-in” accresce i miei dubbi: mi pare il solito recupero tecnico che la medicina fa per salvarsi e per non perdere potere. Si è parlato di abolizione drastica della nursery, di diritto/dovere della donna di stare col bambino. Di nuovo c’è qualcuno che si arroga il diritto di dirle “come si fa” mentre il discorso deve essere ben- altro: dare informazioni-ampie, corrette, non improvvisate e garantire un tessuto sociale tale da consentire alla donna le sue scelte consapevoli. Da tutto questo siamo ancora lontani, ma in ogni caso l’illusione dell’onnipotenza della medicina è caduta e io credo, per quello che riguarda l’ostetricia, soprattutto ad opera delle donne.
Anche alcuni medici hanno dato un grande contributo in questo senso, ma forse la loro azione di rottura sarebbe caduta nel vuoto senza le nuove consapevolezze portate avanti dal movimento delle donne. Voglio comunque ricordare qui tre ostetrici: Léboyer, che per primo ha scoperto il valore del neonato come persona; Odent, che nella ricerca di una modalità di parto la più personale possibile, dimostra che creatività e medicina sono, malgrado tutto, un binomio possibile e infine Braibanti, che avremmo voluto sentire qui, a testimoniarci delle sue esperienze ormai cariche di anni per un parto naturale a Monticelli d’Ongina, presso Piacenza.
Anche noi, come Centro Nascita abbiamo svolto, con forze limitate e spesso in sordina, tra molti ostacoli, un’azione di rottura. Attivo fin dal 1963, il nostro Centro prese avvio dalle esperienze di un gruppo che fin dal 1948 aveva cominciato a verificare e a concretizzare le intuizioni della Montessori circa i modi e i mezzi che potevano attenuare l’inserimento del neonato nell’ambiente extrauterino. Non- la nascita in sé è traumatica, ma l’indifferenza ai bisogni, il considerare il bambino un oggetto, un corpo senza reazioni proprie.
Gli strumenti, a nostro avviso, erano e sono: l’adattamento graduale attraverso la moderazione delle luci e delle voci, l’attenzione al caldo e al freddo, al modo di toccare, lavare, trasportare il neonato; non separare la madre dal bambino, ritardare il taglio del cordone il più possibile; non imporre orari o abitudini, ma leggere nei bisogni emergenti e dare risposte il più possibile individualizzate. E’ la stessa strada su cui anni dopo si sono avviati i Léboyer e i suoi allievi e su di essa ci siamo incontrati idealmente. Oggi i tempi sono maturi grazie soprattutto al fatto che le dorme hanno cominciato a porsi domande precise sul parto e sul diritto di riprenderlo come esperienza unica, vitale, da non delegare ad alcuno e tanto meno ai medici. L’aver debellato la minacciosa realtà di elevate morbilità e mortalità non giustifica in ogni caso la medicalizzazione a oltranza di ogni parto. A nostro avviso il binomio parto-nascita sono inscindibili, nel senso che due sono i protagonisti di questo evento e che quindi gli approcci necessari. Perché esso si verifichi in modo naturale, con il minimo possibile di danni alla donna e al bambino (danni di ordine anche psicologico) sono necessarie una serie di condizioni molto precise che cercherò qui di riassumere.
Fase preliminare: Sono indispensabili:
a) una diversa formazione del personale sanitario in senso “umanistico”
(umanizzazione del rapporto);
b)abolizione di rigide divisioni di competenze ad es. “tra il momento ostetrico e quello neonatologo” (Braibanti), tra l’ostetrica e il medico. Si consideri che in genere negli ospedali non esiste lavoro d’equipe e tanto meno revisione critica degli atteggiamenti da parte degli operatori nei confronti degli utenti. Lo psicologo che si auspica in ospedale, dovrebbe essere presente non solo e non tanto per sostenere le partorienti o le puerpere, quanto per aiutare il personale a verificare le proprie dinamiche e a trovare unicità e coerenza d’interventi, mancando i quali si getta spesso la donna in gravi situazioni di ansia.
c) il recupero del ruolo dell’ostetrica a favore del parto in casa o comunque di un’assistenza al parto “tra donne” nel senso espresso da Odent, in un clima di solidarietà femminile oggi assai raro in ospedale, in sala parto.
Preparazione della coppia: Da anni il Centro Nascita si batte per:
a) un concepimento consapevole quale diritto del bambino a essere voluto fin dagli inizi del suo esistere (proprio per la sua igiene mentale);
b) un parto non violento quale inizio di un rapporto non violento con il figlio;
e) nei corsi di psicoprofilassi (Lamaze o RAT) propone una figura unica di riferimento che sia capace di un valido rapporto umano e in situazione paritaria, che dia informazioni accurate alla coppia anche sul “dopo”, sulle esigenze del bambino, sul fatto che ha un suo “orologio interno” che funziona benissimo e un suo linguaggio non verbale, molto nitido per chi è attento.
Il C.N.M. in base alle sue esperienze auspica che, nei corsi di preparazione che dovrebbero aver luogo nei consultori, si eviti di far ricorso a un’equipe di operatori con conseguente spezzettamento delle competenze e delle responsabilità, ma che anzi la persona di riferimento che prepara la coppia al parto sappia mettere l’accento sulla sua normalità anziché sulla patologia e accompagni la donna nel decorso del parto, d) i corsi di preparazione non dovrebbero essere troppo affollati (6/7 madri al massimo secondo le nostre esperienze) per rassicurare, per consentire alle donne di parlare liberamente tra loro e inoltre di facilitare gli scambi verbali tra le coppie nei momenti a questo destinati. La preparazione a partire dall’8° mese ci pare senz’altro tardiva.
Assistenza al parto
• ci sembra essenziale un collegamento tra consultorio e ospedale di zona affinché la donna non si trovi tra sconosciuti al momento del parto.
• la donna — che sia preparata o no, con un metodo o con un altro — ha comunque diritto al rispetto delle sue scelte, della sua situazione, delle sue emozioni, va quindi protetta ma non resa passiva. E’ necessario che il perso-‘ naie sia preparato a questo, che sappia controllare le proprie ansie, che si abitui a usare un linguaggio in positivo, a sostenere il lavoro della donna senza maternalismi e tanto meno dileggiamenti (parlare di dilatazione anziché di travaglio, di contrazione anziché di doglie, di bambino anziché di feto — come suggeriva stamani Milani — è già un passo avanti sulla strada del rispetto). Quindi no alla separazione tra sala-travaglio e sala-parto, a volte così lontana che la donna vi viene portata in barella.
• Reinvenzione della sala parto perché la donna si trovi con altre donne che l’aiutano in un luogo confortevole, in una situazione non minacciosa: toni caldi, mobili gradevoli, silenzio, penombra se lo desidera, consentirle la libertà di trovare le posizioni che più le corrispondono rispettando i tempi del parto senza forzature e favorendo quella regressione naturale — nel senso di “distacco dal controllo del razionale” come sostiene Odent — così importante per partorire bene.
• Consenso a lasciare accanto alla donna una o due persone di sua fiducia — ricompagno, un’amica — che la rassicurino affettivamente e che siano testimoni contro ogni intervento che, senza ragione, voglia affrettare o alterare il processor
• Intervento medico limitato all’indispensabile e informazione minuta, continuativa, incoraggiante alla donna in primo luogo sull’andamento del parto, sull’uso di eventuali farmaci o necessità di interventi. Evitare quindi di ricorrere, se non ci sono rischi, al monitoraggio che obbliga la donna all’immobilità e la fa sentire In pericolo, all’uso dì ossitocici, di mezzi meccanici (forcipe, ventosa) all’induzione anticipata del parto, all’abuso dell’episiotomia. Come dice Léboyer, la salute non è un servizio, ma l’ospedale sì per cui la struttura e l’organizzazione di un reparto ostetrico dovrebbero essere realizzati come servizio per l’utenza, cioè la donna e il bambino, in modo da assicurare loro continuità nell’assistenza, protezione, consenso, eliminazione del clima di ospedale. Questo richiede costi alti? E’ chiaramente un discorso di investimenti per la salute psico-fisica della donna e del bambino e quindi per il nostro futuro.
Assistenza alla nascita
A nostro avviso tutte queste attenzioni alla madre non solo significano rispetto essenziale per i suoi bisogni ma condizione indispensabile anche a una buona nascita. Milani ci ha detto stamani come il bambino sia attivo e sensibile già prima della nascita. Occorre dunque proteggerlo al massimo nell’utero, nel percorso che intraprende attivamente per uscirne (Milani) e subito dopo all’ esterno. Dobbiamo dunque opporci all’ uso indiscriminato di anestetici che possono dare effetti iatrogeni irreversibili, agli abbagliamenti visivi, acustici, tattili, termici. Primi aiuti indispensabili: luci basse, silenzio o quasi, gesti delicati nel muoverlo, ritardo del taglio finché il bambino ha cominciato a respirare e il sangue è tutto defluito dal cordone, contatto con il corpo materno possibilmente nudo, bagno caldo e prolungato per ritrovare in parte le sensazioni rassicuranti dell’utero (la madre stessa può farlo) panni caldi anziché fasce o vestiti nei primi momenti, proteggerlo dal freddo, caldo nell’ambiente, culla riscaldata, attaccarlo al seno subito e più volte nelle prime ore quando lo chiede, lasciandolo vicino alla madre se possibile. Da qui partire per un’alimentazione al seno a richiesta. E’ essenziale sostenere, incoraggiare la madre, assumendosi le sue ansie perché viva il meglio possibile i primi momenti col bambino, suggerendole la posizione migliore per allattare. L’indifferenza e spesso la brutalità del personale riguardo a questo è di per sé un modo assai pesante per scoraggiare di fatto l’allattamento al seno. Evitare se non indispensabile, l’aspirazione profonda del muco, disinfezioni brutali, iniezioni, visita pediatrica spesso assai violenta. La nursery potrebbe essere usata il meno possibile, per casi particolari o come luogo dove padri e madri imparano a occuparsi praticamente dei loro bambini e dove possano incontrarsi gestanti e puerpere.