musica
pentagramma donna
«ammettiamolo: se una delicata adolescente ci dice di essere batterista, abbiamo un moto di disappunto o quantomeno di stupore…».
nel piccolo libro intitolato «Musica strega» (pubblicato dalle Edizioni delle Donne di Roma e in stampa presso le compagne di «Parigi e di (Bonn) espongo la mia tesi sul ruolo della donna nella musica. Definisco «musica strega» una musica di donne sulla quale si è abbattuta la repressione, una musica di segno femminile che è stata sistematicamente emarginata, perseguitata ”e sterminata, e della quale non ci è pervenuto che qualche residuo superstite: le ninne-nanne, i riti coreutici, le funzioni magico-mimetiche, spettacoli totali, coesivi, comunitari, con parte preponderante del canto e della danza.
Sulle scarse e circoscritte cose che facciamo in campo musicale ci pesano i dieci secoli e più di segregazione voluta dalla Chiesa, i tre secoli di castrati coi quali abbiamo condiviso i ruoli nel teatro musicale e tutto l’aspetto esteriore di costume che si identifica col «bel canto» e col «divismo» sulle nostre esecuzioni strumentali si sente l’equivoco di un rapporto interrotto e ripreso in maniera sballata. Qualche sparuto nome di donna compositrice non basta a colmare tanto silenzio femminile in campo creativo musicale dai tempi di Saffo. Possiamo constatare che anche nella musica la donna svolge un ruolo principalmente interpretativo, riproduttivo, se non ripetitivo.
Non penso che alle donne non abbiano insegnato a comporre come agli uomini né che le case editrici abbiano rifiutato di pubblicare i manoscritti di fattura femminile; sono invece propensa a supporre che la donna è stata estromessa dalla filogenesi della musica. Da attività totalizzante (in particolare, Saffo?), la musica si scinde, si depaupera, scaccia la donna. E la donna non fa musica perché non vi si sente espressa. Questa musica che è arrivata fino a noi, quella che ha vinto, non le concerne. Se la donna vuole fare musica e sentirsi coinvolta non solo in prima persona ma come donna, deve partire da altre premesse. A mio parere la donna ha un rapporto nevrotico con lo strumento musicale, e ciò potrebbe derivare da una storia privata molto frequente nella nostra civiltà cittadina, quella delle signorine perbene che erano costrette a prendere lezioni di pianoforte e a sollevare con grazia femminile le mani dalla tastiera; qualcuna poteva preferire l’arpa, considerato lo strumento «più plastico» per la donna: era però tenuta a nascondere pudibondamente con i ricchi volants della gonna l’antiestetico lavorio dei piedi per fare i diesis e i bemolle. Saper suonare è diventato per noi una funzione decorativa, una maniera di mostrare tramite tali costosi strumenti la provenienza sociale della famiglia, una merce in più da giostrare nel mercato dei mariti.
Tenendo lezioni di musica a dei ragazzi, mi capita spesso di osservarli alle prese col, pianoforte, per esempio. Le ragazze si divertono molto meno dei ragazzi di fronte alla tastiera. Le loro esibizioni normali sono costellate da pretesti del tipo «non ricordo», «mi scivolano le mani», «sono fuori esercizio», «non posso quando mi guardano», mentre i maschi, anche se si tratta di sconclusionati tentativi con un dito solo, continuano imperterriti per ore.
Credo che pesi ancora il retaggio delle signorine fine Ottocento anche nelle concertiste, versante egemonizzato dalle pianiste e dalle clavicembaliste, dove è del tutto stemperata la presenza delle direttrici d’orchestra. Mi sembra quindi che la donna risente, nel suo rapporto con lo ‘Strumento musicale, certi conflitti legati alla sua infanzia e al suo approccio alla musica, quasi sempre imposto. Si tratta di esperienze soggettive che si iscrivono, beninteso, in condizionamenti sociali. Non è ritenuto femminile, per esempio, suonare la grancassa o la tromba. Ammettiamolo: se una delicata adolescente ci dice di essere una batterista, abbiamo un moto di disappunto o quantomeno di stupore. Io ricordo lo scandalo suscitato da una violoncellista, non solo perché si riteneva «scomposta» la posizione a gambe divaricate, ma anche perché tra esse accoglieva uno di quegli strumenti che vengono paragonati spesso al corpo della donna. Infatti ovunque si usa paragonare le chitarre, le viole e i liuti col corpo femminile, e anche assimilare certi momenti particolarmente felici di un’esecuzione strumentale al corteggiamento, alla carezza, all’abbraccio amoroso, all’atto sessuale.
Si potrebbe supporre che siano ragioni di indole erotica che tengono lontane le donne dalla maggior parte degli strumenti musicali. Siccome lo strumento musicale viene fatto vibrare affinché produca suoni, spesso viene considerato come un organo munito di zone erogene sulle quali agire più o meno sapientemente. La donna quindi potrebbe essere stata estromessa dallo strumento per gli stessi motivi che l’hanno esclusa dall’erotismo attivo.
La donna ha invece un rapporto più saldo e liberatorio con il canto di quanto non l’abbiano gli uomini. Appare subito evidente che le cantanti superano in numero i cantanti, sia nel campo della musica operistica, da camera, folk o leggera, e che nessun corrispondente maschile, nemmeno il più azzeccato, riuscirebbe a superare una , Monserrat Caballé, una Kathy Barberian, una Maria Callas, una Mina, una Aretha Franklin, in facilità di emissione, duttilità ‘di accenti, ricchezza di sfumature, apporti espressivi originali, ripescati nei terreni più rimossi. Così come la danza si è aperta a nuovi orizzonti grazie alle donne, che l’hanno strappata dal ghetto del «femminile etereo e sognante», credo che con il lavoro delle donne si potrà riscoprire una musica agente, che ci esprima, ci faccia conoscere e ci potenzi. Ouel «contromanuale di musica», così per opera delle compagne che da ogni parte mi hanno chiesto di rendere eseguibili e audibili certe conclusioni teoriche e certe proposte di spettacolo, sta stimolando la nascita di laboratori di musica strega.