una geisha per l’infanzia

«chissà perché dalla geisha alla madre morbida fino all’animatrice, questa parte di intrattenitrice acculturata torna ad infiltrarsi anche se la giustificazione democratica propone un ruolo professionalizzato (mimetizzato) anche alla donna».

marzo 1977

c’è il sospetto che fare animazione (animazione scolarizzata, decentrata, decantata) sia il nuovo mestiere della donna, come la ricamatrice, la crocerossina, la maestra d’asilo, la madre progressista, la decreto-delegata: una estensione del ruolo, una nuova moderna estrapolazione che sotto il velo di rottura nasconde nel migliore dei casi una sostanza ripetitiva e squallida: la richiesta dell’intrattenimento, dell’incantamento. Chissà perché dalla geisha alla madre morbida, fino all’animatrice, questa parte di intrattenitrice acculturata torna ad infiltrarsi anche se la giustificazione democratica propone un ruolo professionalizzato (mimetizzato) anche alla donna. A questo proposito è nostro compito ricordare che presso certi popoli primitivi e ‘nell’antichità esistevano lingue degli uomini e lingue delle donne, e in genere le lingue sacre erano parlate dagli uomini, erano lingue di potere perché ‘attraverso la parola, il gesto, la danza, si stabiliva la possibilità di un contatto con gli dèi e gli spiriti.
Si può cominciare a sospettare che anche l’animazione sia una lingua maschile, visto che ha avuto una così rapida distribuzione. Il patrimonio segnico delle danze, delle musiche (voci di spiriti), e delle maschere rituali, costruiva un patrimonio maschile da cui le donne venivano rigidamente escluse. Queste esclusioni sono presenti nelle loro trasformazioni e adattamenti ancora oggi. Nel senso almeno che il linguaggio, la figurazione, la musica portano ancora al loro interno fortissimi segni maschili. Sociologicamente sono in gran parte ancora appalto di produttori maschi di linguaggio (almeno nelle «pratiche di massa» dei linguaggi nella società), sono ideologia separata, non totalizzante. La scissione tra i due sessi sul piano della comunicazione è quindi un dato della cultura dominante. Oggi la donna non è esclusa dalla celebrazione dei linguaggi, anzi in certi casi come nell’animazione può essere un addetto privilegiato, ma ancora subalterno alla logica stessa di un linguaggio sociale oggi tanto consumabile. L’M.C.E. (Movimento cooperazione educativa) nel ’69-70 pose in termini scientifici il problema di una nuova operatività didattica, e animazione fu allora un reale lavoro di rottura e di proposta contro la cristallizzazione delle discipline separate. Ma oggi che la animazione è diventata il nuovo specifico «progressista», proposto e gestito da «tutte le forze democratiche», e che non deve scardinare nulla delle vecchie categorie (anzi!), si può cominciare a sentirlo come specifico-masticazione, specifico-digestione, in cui la donna invece di essere portatrice di alterità e non di alternative, è molte volte ancora passivizzata. Perché a chi diverte e serve questo giocherellare spinto dall’esigenza delle proprie viscere o tasche, che lo faccia ma non sulla testa dei bambini. I bambini stanno nuotando già in mari in-quinari. Se poi si tratta di stimolare creatività agli adulti (mutilati), questa tecnica frettolosa, prima di andare a chiedere al potere di codificare, di pianificare e distribuire un altro progetto di violenza (è un boomerang che torna nelle mani di chi l’ha promosso), vada a chiedere oggi e in fretta alle Strutture altre cose… In un lavoro di gruppo, durante l’esperienza di più incontri con bambini, ho avuto molta esigenza di chiarire, molta volontà di ridefinire. Alla luce di una esperienza vissuta al positivo, in uno spazio non istituzionale, propositivo, la denominazione di ciò che facevamo (animazione?) era entrata in contraddizione con me, con la mia storia, il mio mestiere, il mio modo di guardare. Da ciò a portare i miei problemi, almeno i più elementari, a tutte coloro che come me hanno a che fare e vogliono avere a che fare con il linguaggio dei segni, il passo è breve. Nel convento occupato dal movimento Scuola-Lavoro, in via del Colosseo, il nostro gruppo (la Lega comunicazione operativa, uno dei gruppi che ha aderito all’occupazione), si pose il compito, insieme a un collettivo che ha aperto un asilo-nido e spazio doposcuola, di richiamare e far vivere anche ai bambini la riappropriazione di quello spazio immenso e stimolante. Con un nome da spettacolatori (Tamburo Rosso), li convocammo, salutandoli con azioni visive e sonore, traversando il convento sottratto da anni anche a loro. Da questo incontro nacquero favole sul convento, rulli di carta disegnata e colorata, costruzioni impraticabili, secchi di colore dosati e mescolati da loro, burattini. Ciò che veramente mi spinse a voler ridefinire quel nostro lavoro fu la serietà con cui i bambini partecipavano. I bambini lavorano, non si animano. Lavorano sul materiale mondo, quando non glielo si sottrae. I bambini erano tanti ed erano seri. Il loro rapporto con la materia è rapporto di prova ed esperienza sensibili. È ricerca e richiesta di mondo. Li abbiamo visti toccare, misurare, pitturare, guardare, immaginare, unire, dividere, inventare, con la stessa serietà e serenità del neonato sazio, nel suo compito di esplorazione delle proprie percezioni. Analizzammo in gruppo l’esperienza e nel definire gli obiettivi di quel nostro lavoro, scoprimmo di non voler essere nel rapporto con i bambini il gruppo di animazione, e formulammo:
anima Azione
ancora privatizzazione
di sentimenti e di
vizio intellettivo
su chi?
(efficientismo)
Il lavoro di chi oggettivizza il materiale linguaggi può porsi con i bambini solo come chiarificazione di dati, quando sono richiesti. Oggi che nelle scuole e nei decentramenti animazione significa tutto e per lo più è solo gestione, si deve scientificamente lavorare per l’incolumità delle potenzialità percettive del bambino. Il continuo bombardamento di stereotipi, di tecniche, di prodotti, di canoni, di mistificazioni inibisce e costruisce presto individui mutilati e funzionali. Costruisce discorsi senza verità di comunicazione, sovrapposizioni mentali e non spessori umani. A chi tocca convivere con bambini e ragazzi spetta soltanto di preoccuparsi di restituire loro continuamente l’arma della propria testa. Le donne che oggi hanno cancellato le rassicurazioni e le complicità, conoscono bene quanto sia faticoso e costruttivo per un progetto totalizzante dubitare, decodificare, decifrare e finalmente leggere la realtà. Non si tratta quindi di stimolare a essere tutti Artisti, ma di istigare tutti a difendersi dalla seduzione del melodico, e del’ facile, dal colonizzante. Nel convento e alla scuola Vittorino da Feltre abbiamo proposto ai bambini il Laboratorio sui materiali.
MATERIA + LA VORO = LABORATORIO
Obiettivi: stimolare l’esplorazione diretta di quanto si trova fuori. Decodificare i segni ereditati (le bandiere, < segnali stradali, la cattedra, il centrino al centro del tavolo). Analizzare i possibili criteri compositivi che fanno di un insieme di gesti, suoni o segni, un messaggio. Quindi decomposizione del messaggio per ‘ricercarne le componenti. Forme di cogitazioni delle parti minime di linguaggi non verbali. Delle parti minime to’ poter leggere le complessità. Cosa è il bello, lo stile, il gusto? Quale ne è la nocività? Qual è la direzione  l’origine e l’efficacia di un segno?