vecchie deleghe e nuova conoscenza
questo congresso dell’UDI, il congresso che in qualche modo raccoglie i contenuti e le contraddizioni emerse negli ultimi anni nel Movimento delle donne tutto intero, ha sollevato e ancora va creando discussioni e polemiche. Dalle mozioni del Congresso, dai discorsi delle donne si capiva molto bene quanto il livello di elaborazione dell’UDI sia cambiato, sia cresciuto in questi anni. Il congresso del ’73 era stato il congresso della chiarezza sui ruoli maschile e femminile nella società. Questo è stato il congresso sulla «casalinghità», sul maschilismo (inteso invero a volte quasi come «autoritarismo»), sulla volontà di sciogliere realmente l’annoso problema dell’autonomia. Si è cercato di individuare in questa fase difficile del movimento delle donne, di tutta la vita nazionale i motivi di una lotta che si fa complessa, tutta da reinventare.
Sulla questione della legge per l’aborto c’è stata a mio parere un’eccessiva rigidità nello stigmatizzare le altre forme di mobilitazione che il movimento si è dato.
Invece mi è molto piaciuta la parte dell’aspetto economico della crisi e di come questa interviene nella vita, nella capacità di evoluzione di ogni singola donna, la necessità, proprio in questa fase, di una «capacità di un impegno collettivo», la necessità di non farsi tirare indietro, è già successo, dalla crisi, dal riflusso complessivo. Tutti questi problemi sono venuti fuori nei venti gruppi di discussione in un momento molto stimolante, molto attento e fertile. Ed è per me difficile ancora oggi ricomporre i due livelli staccati, diversi ai quali ho vissuto questo congresso, da un lato come ho già detto, la capacità di interrogarsi su se stesse che le donne hanno dimostrato, e questo è avvenuto nei gruppi, dall’altro le assemblee rigidamente strutturate, l’articolo 5, il «di norma», i quadri dirigenti, tutte le lentezze di una burocrazia interna che sussulta,,è messa in crisi, ma non riesce ancora a rinnovarsi in modo credibile. Da qui forse anche le mie perplessità sulla proposta pollinica del movimento autonomo e organizzato. Finora abbiamo visto che la nostra coscienza che rinasce in un movimento di liberazione diviene troppo lacerante per essere facilmente assimilabile in una struttura. Bisogna analizzare la difficoltà del rapporto che la donna, per la sua cultura, ha con la politica, le diversità della politicità femminile, il nodo profondo della differenza tra emancipazione e liberazione. Ricomporre semplicemente il cambiamento e l’organizzazione, l’autocoscienza e Marisa Rodano, la segreteria e la base, l’elezione per delega (cartellino) e gli slogan femministi, tutto questo ci sembra un progetto di grandissima difficoltà, anche perché è guardato con compiaciuta bonarietà da troppa stampa, troppi compagni emancipati. Su questi dubbi, che abbiamo appena accennato, vorremmo realmente un confronto con le compagne dell’UDI, magari su parole d’ordine meno generiche, su un progetto politico più aperto. La coscienza delle donne va cambiando grazie anche all’impegno delle compagne dell’UDI; cerchiamo di approfondire i modi in cui il movimento femminista affronta oggi le difficoltà di una militanza e di una mobilitazione, su temi e con pratiche che appaiono impraticabili a molti collettivi, cerchiamo di analizzare come all’UDI stia scomoda (forse) una vecchia e farraginosa organizzazione che non risponde più alle istanze, alla nuova politicità delle donne che ci stanno dentro; esiste o non esiste la voglia da parte di tutte di trovare nel concreto nuovi strumenti per incidete, salvare la propria:memoria, la propria autonomia, il progetto? Esiste nel Movimento femminista la voglia di superare il vecchio settarismo, le paure? Esiste nell’UDI la volontà di riconoscersi senza rappresentare il referente-protagonista maturo e organizzato, nel movimento delle donne? Forse anche da qui il pessimismo quando ci vengono date le risposte già in termini organizzativi, la voglia di dare, i nostri tempi alle difficoltà che insieme si attraversano. Credo che oggi sempre più esista la necessità direi vitale, di un confronto tra le diverse parti di un movimento delle donne sempre più articolato. Credo anche che, cambiare la pratica, vuol dire acquistare la capacità di rischiare disordine e confusione, perdere magari qualche volta il rigore formale o la scioltezza organizzativa per affrontare realmente le «diversità», l’eterogeneità delle scelte. Credo infine che in questo senso non abbia molto aiutato un servizio d’ordine del congresso, così selettivo e corrucciato che contrastava con la volontà di una chiarezza di cambiamento delle donne che anche le compagne dell’UDI ci sembra volessero esprimere. Insomma questo congresso è stato un «successo politico» tutto dà verificare e costruire.