il nostro corpo
130 chili di gioia
Carissime compagne di Effe,
avendo notato, che tra i vostri (nostri) molteplici problemi di donne, non avete mai parlato del ruolo della donna grassa, ho pensato di raccontarvi qualcosa in proposito visto che io, casualmente mi trovo in questa condizione.
Mi chiamo Fiammetta, peso 105 chili, faccio l’attrice e frequento generalmente, di conseguenza, l’ambiente più «aperto» più «disinibito» e meno «sovrastrutturato»………………………………………………………………………………
Vengo dunque a spiegare questi lunghi puntini di sospensione. Essendo grassa più o meno dall’età di nove anni, capirete che ho avuto molto tempo per rendermi conto cosa significasse questo ruolo in seno a questa bella società italiana visto che adesso ho trentaquattro anni. Uno dei problemi più spiccioli, per esempio, è quello che noi grassi non troviamo vestiti.da acquistare, prescindendo da Porta Por-tese o vari mercatini dell’usato, dove ogni tanto, con molta pazienza, troviamo qualcosa in genere d’importazione americana. Ma di fatto una persona come me non si può assolutamente servire in un grande magazzino, o in una boutique o in un qualsiasi negozio di abbigliamento, fatto impedito dal concetto che persone della nostra dimensione escono dai canoni istituiti e quindi non vengono affatto prese in considerazione: in una parola per quanto riguarda il commercio inerente all’abbigliamento noi non esistiamo.
A questo punto qualcuno mi potrebbe rispondere che ci sono i negozi specializzati, i cosiddetti «Taglie forti», dove potrei servirmi. Ma non so se qualcuna di voi ha mai provato ad entrare in uno di questi negozi, beh! Io sì. Vi consiglio di fare questa esperienza solamente in una splendida giornata di sole, se vi siete alzate di ottimo umore e se siete veramente disponibili. Tutte queste condizioni sono assolutamente necessarie se non volete precipitare nel più profondo squallore e nella più abissale tristezza, perché questi negozi sono in genere forniti, sì, forse, di capi della tua taglia, o grassa! ma come genere un vestito acquistato lì lo potrebbe portare solo mia nonna, ma neanche, perché mia nonna era una persona molto allegra. E questo perché preesiste la benpensante opinione che il grasso, specialmente donna, si debba in un certo senso nascondere, e quindi giù con i vestiti neri, pullover grigio ferro, gonne marroni e via dicendo, ma questi se permettete, oh magri!, sono cazzi miei e come si suol dire, la mia grassezza me la gestisco io, e se mi va, mi vesto di rosso a pois verdi, chiaro?! Quindi, da sempre praticamente, sono costretta ad andare dalla sarta, con conseguenze facilmente immaginabili, quali il triplo della spesa, tra stoffa e fattura e un grosso spreco di tempo. In proposito accarezzo da tempo l’idea di fare una manifestazione riunendo più grassi possibili, uomini e donne e andare insieme sotto il Ministero dell’Industria e Commercio, gli uomini in mutande e le donne magari in sottoveste, con dei grandi cartelli rivolgentesi all’attuale ministro dell’industria che dicessero che nessuno degli organi competenti ci può arrestare per offesa al pudore in quanto non troviamo niente per coprirci.
Il mio primo viaggio in aereo è stato Roma-Londra. Premetto che ho un terrore cieco dell’aereo e di conseguenza in quella occasione presi vari tranquillanti. Ero con una mia amica, che fortunatamente aveva già volato e parlava inglese — unica lingua in uso su quell’aereo —. Preso posto in una poltrona nella quale entravo appena, sperando che venisse dichiarato lo sciopero del personale di volo, si accende l’avviso di allacciare le cinture di sicurezza, in inglese naturalmente; la mia amica mi traduce simultaneamente ed io faccio per eseguire ma (oh meraviglia!) la famosa cintura non mi arriva ed io mi ritrovo oltretutto anche senza quella «sicurezza». Il mio terrore era al parossismo, tanto che la mia amica chiamò immediatamente l’hostess per spiegarle la cosa. Ea suddetta gentile signorina per tutta risposta si mette a ridere e poi dice, facendo la spiritosa, che non avevo nessun motivo di preoccuparmi, in quanto, se fosse successo qualcosa, io sarei rimasta incastrata nella poltrona.
Sono solita, quando mi devo alzare presto la mattina, mettere la sveglia telefonica. Una delle tante volte mi rispose un operatore della Sip più gentile degli altri che, coerentemente con il famoso gallismo italiano i(che secondo me non solo non è mai morto ma non è neanche diminuito), questi attaccò a parlare dicendo che avevo una bella voce, che ero simpatica, che non mi avrebbe calcolato la telefonata ecc…. Io risposi gentilmente ringraziandolo della sua premura e lui passò a domande più personali; voleva sapere come ero fatta fisicamente ed io, ovviamente, gli dissi che ero grassa, che .pesavo 130 chili (il fatto risale all’anno scorso), che avevo capelli ricci e che facevo l’attrice. Lui a questo punto stranamente si rifiutò di credere che ero come dicevo, dicendo «… Ma dai, mi prendi in giro, mi stai facendo uno scherzo, non può essere che pesi tanto…». Come se gli avessi detto perlomeno che avevo due nasi. Insomma non ci fu verso di farmi credere da questo signore. Passando ad altro lui mi chiese se ci potevamo vedere per prendere un caffè. Io rifiutai. Il giorno dopo lui tornò all’attacco: mi telefonò e mi chiese di nuovo l’appuntamento. E continuò ad insistere per diversi giorni. A quel punto accettai, non perché mi interessasse particolarmente conoscere uno che in partenza già non credeva a quello che io dicevo, ma soprattutto mi incuriosiva confermare, a questo punto, un’idea che già mi ero fatta a proposito del nostro incontro. Andai all’appuntamento all’ora stabilita, dopo avergli spiegato come sarei stata vestita, e lui dal canto suo mi aveva detto che sarebbe arrivato con una «500» rossa. Attesi circa un quarto d’ora e, proprio mentre stavo per andarmene, notai la suddetta «500» con un tipo dentro che, evidentemente, mi aveva vista e, proprio come io avevo previsto, se ne stava andando alla chetichella. Inutile dire che non lo sentii mai più neanche per telefono, dopo che invece mi aveva rotto le scatole almeno per una settimana.
D’altra parte non si può dire che i personaggi che io interpreto nel cinema aiutino questa situazione a divenire più reale. Voglio dire, sono circa dieci anni che io lavoro più o meno nel cinema e, ho sempre fatto ruoli del tutto stereotipati, che coerentemente seguono la linea che il grosso pubblico è abituato a vedere cioè la ragazza grassa che ne combina di tutti i colori in quanto tale, rompendo letti e sedie, mangiando panini imbottiti, facendo a pugni con i vari stuntman, rotolandosi su uomini magri rompendogli le ossa e via dicendo. In una parola sono sempre stata relegata nel ruolo della «cicciona». Non che questo non mi abbia divertito e portato anche una certa popolarità, però dopo tanto tempo che mangio e mi rotolo, non mi dispiacerebbe cambiare un po’. Sono anche cosciente che io stessa, accettando questi ruoli, non aiuto il pubblico a pensare che un grasso può interpretare anche, non so, una storia d’amore, un giallo o addirittura un personaggio drammatico. Ma bisogna pur lavorare e questo è quello che offre il mercato.
In proposito personalmente penso, non solo per quanto mi riguarda ma anche per quanto concerne i problemi di decine di ottimi «caratteri» del cinema italiano, penso che sarebbe ora che qualche sceneggiatore o produttore cominciasse a rischiare un po’ di più, imitando per esempio l’America, cinematografica naturalmente, che in proposito ci può insegnare moltissimo. Tornando un momento ai miei rapporti con gli uomini, sentimentali naturalmente, quelli che ricordo, non a caso credo con piacere, sono un paio di storie che ho avuto con ragazzi che i giornali di stampo tradizionale chiamerebbero disadattati mentre, per quanto mi consta, erano due persone meravigliose che non si ponevano assolutamente il problema del mio peso. Non avevano paura a farsi vedere con me, a presentarmi agli amici, ad andare al cinema, a cena, non avevano nessun tipo di vergogna: sì, è una parola che non piace ma che rende bene l’idea. Questo succedeva, secondo me, proprio perché erano persone semplici e sincere. Sperando di far capire ciò che intendo vi racconto un’altra storia che si commenta da sé. Anni fa ho avuto un flirt con un ragazzo che avevo conosciuto fuori per lavoro. Ci piacemmo molto e nacque una storia molto bella. Non appena tornammo a Roma, nel nostro ambiente, con amicizie comuni, la nostra storia si esaurì velocemente. E questo perché con il nostro ritorno, ritornarono anche tutta una serie di problemi, che poi sono gli stessi che non sarebbero mai venuti in mente ai due «disadattati» di cui parlavo prima. Chiuderò questa lettera osservando che in effetti, correggetemi se sbaglio, mi sembra abbastanza strano che in tutti questi anni trascorsi; in un certo ambiente composto da giovani impegnati, intellettuali, artisti comportamentali e concettuali, cioè tutto un tipo di persone «all’avanguardia», convinti di avef superato un sacco di tabù, sicuri di avere eliminato la cultura borghese, dicevo mi sembra abbastanza strano non avere avuto nessun rapporto con uno cu questi, che naturalmente prescinda dulia più profonda amicizia. Baci.