le statali accusano

relazione delle lavoratrici statali – CGIL CISL U1L al seminario della federazione (10-11 dicembre 1975)

gennaio 1976

nella Pubblica Amministrazione la donna vive una condizione più favorevole che nell’industria, infatti è favorita dalla certezza del posto di lavoro, dall’applicazione della legislazione di tutela dall’orario di lavoro meno pesante. Tutto questo può sembrare a prima vista fattore positivo ma un più attento esame permette di individuare i problemi e le occasioni politiche che sono decisive sul terreno del movimento, negli spostamenti politici della trasformazione stessa della nostra società. Le lavoratrici statali avvertono con acutezza i limiti e le carenze della P.A.. Avvertono la pesantezza di lavorare all’interno di strutture burocratiche ed inefficienti, di svolgere un lavoro spesso inutile ed improduttivo, di godere di scarsa autonomia, di dovere percorrere gradino per gradino una scala gerarchica senza che a questo corrisponda una promozione professionale.

Tutto ciò per le giovani diventa sempre più intollerabile, genera stati d’animo di profonda frustrazione e di malcontento. In questo quadro e per porre la P.A. concretamente al servizio di una politica di riforme e di nuovo sviluppo economico e sociale, le lavoratrici statali non sono rimaste assenti da una disputa che riguarda la loro condizione di lavoro e la loro collocazione sociale.

Le lavoratrici statali rivendicano di modificare l’organizzazione burocratica del lavoro sostituendovi un regime di vita interna democratica e una gestione sociale delle strutture che informi l’azione dello Stato a quei principi riformatori per i quali si batte tutta la classe lavoratrice.

Questa modifica dell’organizzazione del lavoro coinvolge le lavoratrici statali proprio perché la loro condizione prevalente è quella di una condizione subordinata e quasi sempre relegata a funzioni raramente esecutive con conoscenza sempre marginale del lavoro la cui organizzazione d’altro canto è polverizzata e rappresenta la contropartita alla dequalificazione professionale. Proprio questa condizione esecutiva permette prestazioni appesantite dall’uso senza alternativa di macchine e strumenti burocratici ripetitivi ed alienanti e promuove l’inevitabile distacco nei riguardi di un lavoro al cui indirizzo non si è chiamati a partecipare in maniera responsabile. Prendendo coscienza di una diversa utilizzazione della donna in quanto tale le lavoratrici riaffermano nelle assemblee il diritto alla qualificazione e questo ha sviluppato un movimento di lotta ampio ed incisivo realizzando punte di unità e di maturazione, insieme sociale e politico tra donne di diversa esperienza, differente impostazione ideale portando poi di fatto a battersi sui grandi temi comuni. Questa lotta ha pure saputo dimostrare di avere in sé una carica innovatrice dirompente collaborando alla crescita che si sintetizza nella battaglia per le riforme e per la democrazia nel nostro paese e che rifiuta la volontà del padronato di voler mantenere il vecchio sistema carrieristico che è opposto a quello della qualifica funzionale che le confina a compiti impersonali, non responsabilizzanti e meramente esecutivi e ripetitivi e che le vede negata di fatto, anche se a livello normativo viene affermata, la parità salariale mediante la compressione dello sviluppo della carriera dovuta proprio a mansioni differenziate, Nonostante la recente approvazione del diritto di famiglia che vede anche la donna capofamiglia continuano ad essere in vigore norme contrastanti che offendono la dignità della lavoratrice, quali quella in materia generale di pensioni, che nega la reversibilità, come se per il lavoro della donna non fossero .stati versati contributi paritari. Analoga anomalia si registra nel campo degli assegni familiari. L’emancipazione femminile passa attraverso il riconoscimento del diritto al lavoro responsabile e cosciente, quindi è necessaria la creazione di una struttura sociale rispondente ai bisogni del paese.