esercito di riserva

occupazione femminile

gennaio 1976

la parità salariale conquistata nel periodo ’60-64, dopo dure lotte e dei lavoratori e delle lavoratrici, — lotte che iniziano immediatamente dopo la guerra, negli anni ’50 —, se ha significato un grande passo avanti sulla strada dell’emancipazione femminile, ha però, naturalmente, anche tolto al padronato un largo margine di profitto che gli derivava dal sottosalario delle donne.

Non possiamo nasconderci che buona parte del «miracolo economico» degli anni ’58-63, è nato dalla fatica e dal lavoro di circa 6 milioni di lavoratrici sottopagate.

Raggiunta la parità salariale, la risposta del padronato, per ricomporre il proprio profitto si sviluppa in due sensi; da un lato licenziando la forza-lavoro femminile (tra il 63 e il 67 le lavoratrici diminuiscono di un milione di unità) dall’altro dequalificandole (in Lombardia le operaie qualificate e specializzate passano in quegli anni, dal 55,5% al 39,9%) per continuare a pagarle meno.

La ripresa vigorosa delle lotte negli anni ’68-69 e l’aumentato controllo operaio sull’organizzazione del lavoro, migliora le condizioni delle lavoratrici e rafforza il potere sindacale nelle fabbriche permettendo inoltre, attraverso successive conquiste — di cui l’inquadramento unico, rappresenta uno dei momenti più significativi —, di segnare nuove tappe vittoriose per la tutela della donna nel mondo del lavoro.

Ma il padronato cerca un’altra via di uscita e dal 70 inizia massicciamente ad organizzare il proprio sistema produttivo in attività produttive decentrate in piccole e piccolissime unità. Ciò provoca, di nuovo, una diversa collocazione della forza-lavoro femminile.

Le piccole e piccolissime unità produttive sono in realtà le sedi del lavoro a domicilio in cui l’85% dei lavoratori sono donne.

Le condizioni di lavoro che si ricercano con il decentramento produttivo sono: bassi salari (in media la retribuzione di una lavorante a domicilio è pari a 2/3 del salario minimo contrattuale); nessuna tutela assicurativa o previdenziale; nessun controllo sindacale.

Il padronato ha certamente maggior facilità ad utilizzare la manodopera femminile sottocosto (o dequalificando i settori «femminili» della produzione — infatti le mansioni in cui si concentrano le donne sono tradizionalmente collocate ai livelli più bassi della qualifica — o trasferendo interi cicli di lavorazione «al domicilio» delle operaie) perché le gravi carenze dei servizi sociali, il persistere di modelli culturali tradizionali fanno ricadere in primo luogo sulle donne gli impegni familiari, indebolendo la loro forza di contrattazione sul mercato del lavoro. I due ruoli, lavoratrice in casa e fuori casa, rende ogni donna in cerca di occupazione, una risorsa di lavoro più «ricattabile» dal padronato e quindi più facilmente sfruttabile.

Negli ultimi anni abbiamo anche assistito ad una ulteriore modifica «qualitativa» dell’occupazione femminile. Dall’agricoltura, in cui alto era il tasso di presenza femminile, negli anni ’47-48, oggi l’occupazione femminile si concentra invece soprattutto nel settore terziario dove non minori che in fabbrica sono le contraddizioni dell’organizzazione del lavoro, ma dove più debole è il movimento sindacale. Il primo grande problema che il movimento sindacale deve affrontare è quindi quello di tutelare la forza-lavoro femminile, già al primo impatto col mercato del lavoro in modo che, anche attraverso la collaborazione con le forze sociali e politiche più sensibili ad un rinnovamento della nostra società, alle donne siano offerte possibilità di lavoro e qualità di lavoro pari all’uomo.

Di primaria importanza è anche il controllo, — che deve essere continuo ed esteso anche alle zone in cui siamo più deboli, — sulla pratica attuazione delle leggi, finora ottenute, che tutelano la donna-lavoratrice (legge di tutela della maternità, legge di tutela e controllo del lavoro a domicilio) ; infatti assistiamo ancora troppo spesso a gravi inadempienze in campi in cui la legge è già intervenuta. I problemi aperti sono però ancora molti. Il divieto di adibire le donne al lavoro tra le ore 22 e le ore 24 ha cominciato ad essere posto in questione dal movimento sindacale soprattutto in relazione alla turneazione presente in molti settori industriali e alle esigenze specifiche di alcuni tipi di lavoro (giornalistico, ad esempio). D’altra parte invece le proposte, che da più parti stanno avanzando, di offrire alla manodopera femminile, lavoro a tempo parziale, sono state nel passato, e devono essere soprattutto, ora, battute, perché significherebbero aprire una nuova area di lavoro precario in cui concentrare le donne che continuerebbero così a supplire alle carenze infrastrutturali della nostra società e nello stesso tempo ad offrire ampi margini di manovra al padronato nell’utilizzo delle lavoratrici a part-time.

Strettamente connessa con i problemi dell’occupazione femminile è infine tutta la strategia sindacale per le riforme. È indubbio che solo in una società diversamente organizzata, oltre che fondata su un diverso modo di produrre, alle donne non sarà più riservato quel ruolo subalterno che finora hanno svolto, oltre che nella famiglia e nella società, anche nel mondo del lavoro.