il 50% dei posti di lavoro alle donne
intervista a Eugenia Roccella sulla proposta di legge del Movimento di Liberazione della Donna
d.) Che cosa vi ha portato a proporre una legge di iniziativa popolare sulla eguaglianza tra i sessi e la parità di occasioni di lavoro? Qual è il rapporto tra la vostra iniziativa e l’attuale crisi economica in cui si assiste a un processo di espulsione accelerato delle donne dalla forza lavoro?
R.) Per quanto riguarda il contenuto della proposta, ti dirò che la necessità di ottenere l’indipendenza economica, di entrare da protagoniste nel mondo del lavoro, ci è sempre stata chiara; non solo, ma la verifichiamo ogni momento nella nostra attività politica e nel nostro privato. Ti faccio un esempio: il MLD ha messo in piedi a Milano, Torino e Roma dei centri contro la violenza sulle donne, in cui diamo assistenza legale gratuita, e cerchiamo di aiutare non solo le donne stuprate, ma anche quelle quotidianamente picchiate e violentate dal marito, dal padre, o che subiscono altre forme di violenza più sotterranea. Spesso il problema di queste donne è essenzialmente la dipendenza economica da un uomo, che non possono denunciare o abbandonare perché rimarrebbero su una strada.
Così per le donne che vengono ad abortire da noi, e che a volte vorrebbero magari tenersi il figlio, ma hanno difficoltà a trovare un lavoro per mantenersi e mantenerlo. Se non abbiamo lanciato questa battaglia finora è perché ritenevamo prioritaria la lotta per una maternità libera, per l’aborto libero, per la contraccezione: senza la libertà di decidere di noi stesse, di «gestirsi l’utero» e il corpo,, per ripetere vecchi slogan, non potevamo certo rivendicare altre libertà. Se ti riferisci allo strumento scelto, il progetto d’iniziativa popolare, ti rispondo che, volendo, potevamo farlo presentare in parlamento da qualche compagna; non l’abbiamo fatto perché vogliamo una risposta e una mobilitazione delle donne, vogliamo che abbiano la possibilità di esprimersi su questa proposta, e che non venga calata dall’alto. Però raccogliere 50.000 firme in pochi mesi non è facile, specialmente perché siamo senza soldi per pagare i cancellieri che autenticano le firme, e perché ci sono molti ostacoli, anche politici. Perciò invito tutte le donne che condividono questa proposta a darci una mano e a mettersi in contatto con noi. L’obiezione che c’è la crisi economica e quindi queste sono richieste velleitarie è sempre la prima che ci si fa, e ci. sono molte cose da chiarire su questo punto. Primo, che la nostra proposta non altera il mercato del lavoro, nel senso che non crea né fa diminuire i posti di lavoro disponibili, semplicemente, NE CAMBIA LA DISTRIBUZIONE cioè invece di assumere in schiacciante maggioranza maschi, si assumerà un po’ e un po’, in maniera meno squilibrata. Secondo, che con la storia del bene «comune» ci fregano sempre e dire che ormai sappiamo che il bene «di tutti» è in realtà il bene di metà della popolazione, cioè solo degli uomini, Terzo le statistiche sull’occupazione femminile sono agghiaccianti. Costituiamo solo il 19% della popolazione occupata ma in compenso siamo il 60% di quella licenziata; come a dire che verifichiamo la antica verità che le donne sono le prime ad essere mandate a casa e che come forza lavoro siamo la massa di manovra del capitale. Allora, c’è un unico modo per difendere oggi l’occupazione femminile, secondo il vecchio motto che la miglior difesa è l’attacco, rifiutandoci di accettare questo gioco sporco che il potere economico fa su di noi: ed è la richiesta del 50% dei nuovi posti di lavoro, e la proporzionalità dei licenziamenti in base al numero di lavoratori e lavoratrici presenti nell’impresa o nel settore da ristrutturare. Qualche «capofamiglia» resterà a casa? Vuol dire che lo «manterrà» la moglie, perché avrà più facilità di lui a trovare lavoro, e lui si sentirà un po’ meno capo. E che tutti insieme lotteremo per la piena occupazione, dove «piena» finalmente vorrà DAVVERO dire di tutti, e non solo di metà.
D). Pur riconoscendo che il progetto di legge è molto ben fatto, e certamente meglio del progetto di legge presentato dall’Anselmi, sembrano sussistere i motivi per qualche dubbio sull’opportunità dell’iniziativa, dato che in Italia non mancano le leggi, a volte buone, mentre è soprattutto dal lato dell’applicazione che si notano le carenze più gravi.
Così come per il progetto governativo, anche per il vostro progetto di legge sembra di poter dire che anziché sprecare forze di per sé già scarse per proporre, o anche ottenere, nuove disposizioni legislative a favore della donna, si dovrebbe lavorare a dare concreta e piena attuazione a quelle esistenti. Abbiamo infatti una buona legge sugli asili che è andata del tutto inapplicata, analogamente abbiamo una legge discreta sui consultori che non funziona. E gli esempi potrebbero essere numerosi per dimostrare come, una volta approvate le leggi non si fa più nulla per cercare di applicarle; ed è chiaro che non ci si può aspettare che sia la struttura amministrativa tradizionale a dar loro contenuto concreto, ma che ciò non può venire se non dall’iniziativa e dall’organizzazione autonoma delle donne.
R). Non sono affatto d’accordo con te che ci siano molte buone leggi per le donne. Il nostro compito come movimento deve svolgersi in entrambi i sensi: dobbiamo lottare per avere buone leggi e per farle ‘applicare, ma secondo me dobbiamo state attente a non sostituirci all’amministrazione pubblica, e a non farci coinvoglgere in strutture fasulle come le varie consulte femminili. Tu dici: non abbiamo abbastanza energie per fare tutt’e due le cose. Ma prima di tutto il nostro scopo è recuperare energie NUOVE, sensibilizzare le donne non femministe, rendere le donne coscienti dei loro diritti, per esempio il diritto ad un lavoro retribuito. E l’unico modo di stimolare la crescita del movimento è aprire il dibattito su prospettive nuove, prendere iniziative politiche, coinvolgere le donne su obiettivi che le toccano direttamente. La proposta di legge che parte da una nostra mobilitazione di base, da noi, è uno strumento in questo senso. Il progetto Anselmi che tu hai citato invece, è un clamoroso tentativo di truffa ai danni delle donne, perché è del tutto inefficace, tutelistico, inutile: solo un fiore «femminista» all’occhiello della DC.
È chiaro che raccogliere le firme e presentare la legge in parlamento è solo un primo passo; bisognerà poi lottare perché venga discussa e approvata. E non sarà facile: il nostro parlamento tiene in così gran conto le istanze della base che non ha mai discusso nemmeno una delle proposte d’iniziativa popolare che gli sono arrivate.
D). Lo slogan di questa vostra proposta di legge è quello del 50 per cento dei posti di lavoro alle donne; ci puoi spiegare concretamente in che cosa pensate che ciò possa tradursi? dato che vi riferite ai concorsi di assunzione puntate a femminilizzare al 50 per cento solo la pubblica amministrazione, o pensate in qualche modo di toccare anche il settore privato dove moltissime assunzioni non avvengono con concorsi formali? E per quanto riguarda il settore industriale, che è quello dove le donne hanno un gran numero di posizioni di «lavoro nero» che in genere fanno da ammortizzatore alle necessità congiunturali di riduzione del personale, come pensate di portare avanti gli obiettivi della vostra proposta? A parte le assunzioni, come credete che si possa imporre un trattamento non discriminatorio nei fatti e non solo nel testo della legge, anche per quanto riguarda le progressioni in carriera, le qualifiche, le retribuzioni? Non pensate che questa legge si presti’ facilmente a mantenere inalterata la condizione attuale del lavoro femminile attraverso la organizzazione di concorsi generici per l’ingresso in un certo ufficio, attribuendo poi le funzioni su base di selezione interna?
R). Intanto in realtà è sbagliato parlare di 50% dei posti riservato alle donne; non a caso abbiamo abrogato, nella nostra proposta, tutte quelle norme sulla tutela della donna che poi si sono risolte in altrettante occasioni di esclusione della donna dall’accesso al lavoro retribuito. Infatti attraverso queste leggi non si tutela la donna, ma IL SUO RUOLO, di madre, di moglie, ecc. Per esempio, noi riteniamo che il divieto al lavoro notturno non sia altro che il risvolto della violenza carnale in una società dove alla donna è vietata la circolazione nelle ore di buio, è quindi consentito brutalizzare la donna che, uscendo di sera, magari sola, si mette da se stessa fuorilegge. Quindi non abbiamo voluto dare alla nostra legge una impostazione protettiva, o da «legge speciale». Non siamo cani e gatti, di protezione non abbiamo bisogno abbiamo bisogno invece di «uguali opportunità», come dice il titolo stesso del progetto, cioè di uguali possibilità di partenza. Cosa molto diversa dalla parità solo formale che la legge ci assicura, lasciando i più ampio spazio alle disuguaglianze nei fatti, che sono considerate cose private, su cui alle leggi non è dato intervenire. Perciò tutta la legge è fatta per le donne e per gli uomini: cioè è una legge contro la divisione dei ruoli, dei compiti, delle funzioni fra i sessi, nella pubblicità, nella scuola, nel lavoro. E per quanto riguarda il lavoro abbiamo concluso che l’unica proposta efficace era quella de 50% dei posti di lavoro divisi tra i due sessi. Nei concorsi ciò avverrà attraverso liste separate per sesso, ma anche nell’impiego privato sono previsti meccanismi di applicazione del 50%, attraverso gli uffici di collocamento. Ti cito la legge: «Per ciascun settore di produzione e per ciascuna classe di collocamento saranno predisposte liste separate per sesso alle quali l’ufficio attingerà alternativamente». Non solo, ma ogni anno l’Ufficio di collocamento dovrà presentare al parlamento una relazione pubblica su come e con che effetti è stata applicata la legge, e sulla base di questa relazione il Ministero della Pubblica Istruzione e quello del Lavoro promuoveranno corsi di avviamento e facilitazioni in favore del sesso svantaggiato, in quei settori dove la differenza è ancora pesante. Il lavoro nero è in maggioranza femminile perché le donne non trovano facilmente lavori garantiti, non sottopagati, ecc. È chiaro quindi che se c’è una cosa che può farlo sparire o quasi è il fatto che le donne trovino lavoro con più facilità, e siano quindi meno ricattabili. Per quanto riguarda l’altro tuo dubbio, è espressamente previsto che «Nell’assegnazione delle mansioni i preposti agli uffici si atterrano a criteri di equa ripartizione tra i sessi». Invece, affermazioni come «Nelle carriere non ci devono essere discriminazioni» sono inutili, perché mancano poi sanzioni e strumenti di controllo: e se questi ci fossero si arriverebbe ad una situazione profondamente illibertaria, corporativa e tutelistica, che finirebbe per ritorcersi contro di noi.
D.) Da un punto di vista di principio la vostra legge certamente tende anche ad una affermazione generale, che ha quindi importanza anche al di là della limitatezza degli effetti pratici. Ma in questo caso non finisce per essere contraddittorio proporre che nei concorsi pubblici vengano fatte due graduatorie di merito distinte secondo il sesso dei candidati? In altri termini, se per ottenere risultati concreti in favore della parità di trattamento è plausibile che si accetti un trattamento legislativo differenziato, sul piano dei princìpi, e delle affermazioni di principio, ciò è tanto più pericoloso in quanto la legge rischia di essere aggirata nella sostanza e svuotata di effetti concreti?
R.) Come ho già accennato prima, questa legge non fa affatto passare differenziazioni né di principio, né di fatto. È una legge contro la divisione di compiti, e non è un caso se non c’è mai la parola donna ma solo la parola «sesso». In alcuni casi anzi favorirà gli uomini perché, agendo in ogni settore di lavoro, l’accesso dei maschi a quei mestieri che sono tradizionalmente occupati da donne perché «non si addicono agli uomini», sarà facilitato. Penso per esempio alla scuola materna, o a tutto l’insegnamento nelle scuole dell’obbligo, o a quei settori (tessili, elettronica) industriali dove le donne sono di più. Insomma noi vogliamo certamente fare spazio alle donne, ma non solo e sempre in alcuni settori lasciando tutti gli altri agli uomini: e il 50% agisce proprio in questo senso. Nei concorsi però la proporzionale agirà solo quando il numero dei candidati di un sesso sarà superiore di più della propria metà al numero dei candidati dell’altro sesso, cioè se c’è stata una pesante discriminazione: magari dovuta a fattori sociali o culturali, ad abitudini e non a precise volontà discriminatorie, però c’è stata, perché le donne sono per esempio 30 e gli uomini 90. Oppure come in un recente concorso per conducenti di autobus le donne zero e gli uomini centinaia… E questo meccanismo si autoannulla nel momento in cui si verificherà una maggiore parità almeno nelle offerte di lavoro. Più paritarie di così, non possiamo essere!
D.) Nell’articolo 21 del vostro progetto, proponete di stabilire che «sarà fatto obbligo ai comuni di istituire nella propria circoscrizione servizi di lavanderia, stirerie, mense, asili nido, parchi gioco e dormitori». Non vi sembra che questa proposta sia un po’ ingenua? Dato che questi servizi sarebbero parzialmente almeno a carico dei comuni e che questi hanno notoriamente deficit colossali, che contribuiscono peraltro in maniera sostanziale allo spaventoso deficit della spesa statale, questa vostra proposta appare più come un’altra affermazione di principio che come un’indicazione concreta di iniziativa. E questo per non parlare delle discriminazioni a cui hanno sempre dato luogo questo tipo di iniziative, in quanto solo i comuni e le zone più ricche del paese finiscono per offrire i servizi che la legge loro impone, e li forniscono per di più solo nei capoluoghi o nelle zone centrali delle città. Vi siete poste il problema di come mai in Emilia Romagna, dove si era fatto un tentativo di istituire lavanderie pubbliche, queste abbiano dovuto chiudere?
R.) Gli effetti del 50% saranno molteplici, e graduali. Uno degli effetti sarà per esempio una diversa qualificazione professionale delle donne, mentre sarà più lento l’effettivo raggiungimento della metà dei posti di lavoro. Un altro effetto sarà che qualche uomo resterà a casa o che se entrambi i genitori lavorano, il lavoro domestico, la assistenza a malati e anziani, la cura dei figli saranno problema di tutti e due e non soltanto di uno. O perlomeno che le donne, avendo facilità a lavorare fuori casa, chiederanno con forza, attraverso il sindacato, attraverso i partiti e non solo i movimenti femministi, i servizi sociali. Se le lavanderie in Emilia non hanno funzionato è forse perché, in mancanza di una reale necessità, noi donne, per abitudine radicata, preferiamo farle da noi, a casa, queste cose. Ma se a casa non ci stiamo, se troviamo un lavoro, tutto ciò diventa necessità improrogabile. Hai ragione, per noi questo articolo è più che altro un dato indicativo, e per questo ne abbiamo lasciato l’attuazione (e quindi una più accurata formulazione e specificazione) alle Regioni. Però il fatto di aver inserito questo articolo ci garantisce che se questa legge sarà approvata, le Regioni dovranno fare le leggi di attuazione entro due anni. Come anche tu hai detto, le spese non sono tutte a carico del comune ma anche degli utenti; d’altra parte non credo proprio che il risparmio in Italia debba cominciare dai servizi, e guarda caso dai servizi che servono alle donne! Ci sono ben altri sprechi, e credo che le donne siano stufe di pagare sempre per tutti.
D.) Un’ultima osservazione. Stabilito comunque che questa è un’ennesima legge emancipatoria, di parificazione della donna all’uomo nel quadro della società attuale, e che non tende — come ogni vera iniziativa di liberazione — a creare le condizioni, per una società nuova in cui è diversa la condizione dell’uomo e della donna, si rimane sorprese a vedere che per certi aspetti si è più indietro della proposta di legge Garettoni che alle misure formali per k
emancipazione prevede anche alcune norme come l’abolizione del matrimonio riparatore e delle norme di protezione del delitto d’onore.
R.) Guarda che nessuno ha stabilito che questa è una legge emancipatoria! Anzi, quello che sto tentando di dire è proprio l’opposto, che questa È UNA LEGGE CHE INVESTE ANCHE LE STRUTTURE PRODUTTIVE DEL PROBLEMA DELLA LIBERAZIONE DELLE DONNE E CHE SCARDINA PROFONDAMENTE, IN MODO ANTICAPITALISTICO, LA ATTUALE DIVISIONE DEI COMPITI E DEL LAVORO TRA I SESSI. In una fase di recessione economica chiedere il 50% di sicuro non può essere funzionale al capitale, come potrebbe rischiare di essere in una situazione di boom economico. Non solo, ma intaccare i meccanismi della divisione del lavoro è comunque un fatto abbastanza rivoluzionario. E non è una pura e semplice richiesta di parità, almeno non del tipo di parità che tutti sono disposti a concederci, ma interviene nelle disuguaglianze di fatto. La verità è che siamo abituate a considerare emancipatorio tutto ciò che riguarda l’inserimento della donna nel mondo del lavoro. Ma una lotta è «emancipatoria» non se verte su un tema genericamente considerato tale; lo è se è tale la impostazione, l’ottica in cui si pone, se sono tali gli effetti e gli scopi che in pratica raggiungerà. E questo non mi sembra proprio il nostro caso.
Per quanto riguarda la proposta Carettoni, bene farà la Carettoni a farla approvare, anche se per fortuna è superata dai tempi, mentre i licenziamenti femminili purtroppo no. Comunque noi non avevamo affatto l’ambizione di fare una legge totalizzante ma una legge sulle eguali opportunità sul lavoro, e contro le discriminazioni in base al sesso: e questo abbiamo fatto.
Tutte le donne che vogliono impegnarsi nella raccolta delle firme su questo progetto o vogliono informazioni e materiale possono rivolgersi al più vicino collettivo MLD o alla responsabile del coordinamento nazionale Claudia Macchia (PISA, tel. di sede 23637 – tel. di casa 500336) oppure alla sede nazionale (Roma, V. del Governo Vecchio 39, tel. 6540496). Chi vuole contribuire alla campagna per il progetto di iniziativa popolare può versare (specificando la causale) sul conto corrente numero 1/59856 intestato a MLD, Via di Torre Argentina 18 Roma.