dall’autodenuncia ai gruppi di quartiere
«Non si mendica un giusto diritto, ci si batte per ottenerlo». Queste parole di W. Reich traducono ideologicamente la lotta che lo MLAC conduce attualmente in Francia contro la repressiva ed ingiusta legge del 1920 che proibisce l’aborto. Ma che cosa è esattamente lo MLAC? Lo statuto stesso dello MLAC può esporre con chiarezza i principi che guidano la lotta, ed i modi che adottiamo. Lo MLAC «si dichiara solidale con la lotta di lavoratrici e lavoratori, per la emancipazione dallo sfruttamento, dalla oppressione e dalla repressione di cui sono vittime nella società contemporanea». Lo MLAC si propone di coordinare le numerose iniziative già in atto, e di portarle a compimento su un più largo fronte, contro gli attacchi del potere, lottando per: una informazione sessuale che:
1) cessi di fare della procreazione l’unico scopo della sessualità;
2) elimini tabù e processi di colpevolizzazione secolari;
3) non assegni più alle donne, come ruolo essenziale, la maternità: e l’allevamento dei figli come attività principale, prioritaria ad ogni altra attività sociale e politica;
4) permetta alle donne come agli uomini di esprimere spontaneamente e di arricchire la propria sessualità. Libertà di contraccezione e libertà di aborto: implicano la responsabilizzazione della collettività sui problemi della contraccezione e dell’aborto (finanziamenti da parte dello Stato, assistenza pubblica ecc.), la realizzazione delle condizioni e dei mezzi necessari per attuare una libera scelta in tema di procreazione: aumento del livello di vita, creazione di efficienti servizi sociali (alloggi, asili-nido ecc.). Lo MLAC lotta perché la gente prenda nelle proprie mani tutti questi problemi, organizzandosi a diversi livelli (quartiere, fabbrica, scuola ecc.). Lo statuto dello MLAC è stato sottoscritto da varie organizzazioni politiche (PSU, PS, Revolution Rouge, ex Lega comunista), dai sindacati (CFDT), dal Planning , familiare, da GIS (Gruppo informazione sulla salute), dal MNF (mutua degli studenti) e, naturalmente, da MLF (Movimento di Liberazione della Donna) e da vari gruppi di donne. Lo MLAC è stato costituito legalmente il 10 agosto 1973, ma già da tre anni, in Francia, alcune donne, quasi tutte del MLF, e alcuni medici, del GIS, propagandano l’aborto o lo fanno, assumendosi tutto il rischio di sfidare la clandestinità e la legge, oltre la propria riservatezza personale.
1971: lo MLF pubblica un manifesto in cui 343 donne si autodenunciano per avere abortito. Nessuna di loro viene incriminata.
Novembre 1972; a Bobigny, il processo contro la minorenne Marie Claire Chevalier, denunciata per avere abortito, rilancia l’azione, ed un forte movimento popolare costringe i giudici a concedere il «perdono» alla «colpevole», Febbraio 1973: manifesto di 330 medici (oggi sono diventati 630) che dichiarano di avere praticato degli aborti, senza fine di lucro, e affermano di voler continuare a praticarne fino a quando non si attui, in Francia, una realistica politica anticoncezionale. Nessuno viene denunciato
Marzo 1973: comincia a funzionare a Parigi il primo centro di aborti clandestini gratuiti, creato da femministe del MLF e da medici del GIS. Aprile 1973: creazione del MLAC. Denuncia di un medico del Planning familiare, Annie Ferré-Martin, che fa parte dei medici firmatari del manifesto dei 330. Giugno 1973: l’organizzazione del Planning familiare (approssimativamente potrebbe assimilarsi alPAIED italiano) decide di praticare nei propri centri gli aborti gratuiti.
Settembre 1973 e segg. in tutte le città di provincia e nei quartieri di Parigi, dove agisce un gruppo MLAG, si incominciano a tenere periodiche e pubbliche assemblee di donne che si organizzano per abortire.
A Parigi
Il primo centro clandestino MLAC ha cominciato a funzionare nel marzo scorso, e si tenevano assemblee ogni sabato pomeriggio, nella sede di rue Buffon 75. Le donne, al principio, che venivano a chiedere la soluzione del proprio problema non erano, settimanalmente, più di trenta. Oggi sono tra le 200 e 300 e continuano ad aumentare. Che fare? Non più di trenta donne alla settimana, al massimo, possono abortire a Parigi: non tutti i medici firmatari del manifesto di autodenuncia continuano a praticare l’aborto, e gli altri non possono certo con la loro opera rimediare alle carenze di uno stato ipocrita e preoccupato soltanto delle proprie scadenze elettorali.
All’inizio, quando non ce la facevamo, come équipe, a praticare tutti gli aborti richiesti, davamo gli indirizzi delle cliniche di Londra e di Amsterdam. È sempre meglio abortire fuori di Francia piuttosto che, essendo le nostre équipes insufficienti, affrontare i rischi di infezione, di emorragia, di morte, abortendo presso i soliti «profittatori del peccato» (su 800.000 aborti all’anno, in Francia, si verificano 5.000 morti). Da Parigi partono pullman di 45 donne alla volta, due volte alla settimana per Londra, e due volte alla settimana per Amsterdam.
L’idea ci è venuta dalle donne stesse: o partivano in tre o quattro in automobile, dividendosi le spese, o si riunivano in 10, tutte avendo deciso di abortire (si erano incontrate evidentemente nelle nostre «permanences») ed ottenevano riduzioni ferroviarie per l’Inghilterra o per l’Olanda. Abbiamo allora pensato di accompagnarle: da una parte, per spiegare loro esattamente a che cosa andavano incontro, aiutandole a sdrammatizzare l’aborto e a de-colpevolizzarsi: dall’altra, per controllare le cliniche cui si dirigevano, sia sul piano medico, sia sul piano del rapporto umano con le donne stesse.
Il problema dell’aborto è presto superato dalle discussioni sulla contraccezione, la sessualità, la struttura familiare, Tutte queste donne, d’età variabile (finora) dai quindici ai cinquant’anni, di provenienza la più diversa, geograficamente e per ceti, fanno il processo alla nostra società, sulla
base delle proprie esperienze personali: quando tornano in Francia la gran parte di esse, senza ovviamente trasformarsi in «suffraggette», frequentano i comitati MLAC del quartiere o della città di provincia, e sono comunque divenute consapevoli del ruolo imposto alla donna dalla società, e del fatto di essere state condizionate fino dalla nascita. A noi sembra che la contestazione che proviene da una donna di quarant’anni, vissuta fin oggi nel rispetto delle istituzioni borghesi e capitalistiche, abbia un valore esplosivo non inferiore, certamente, se non superiore, al nostro di giovani generazioni in rivolta.